Ridurre la CO2, aumentando l’occupazione

Ridurre la CO2, aumentando l’occupazione

20 Luglio 2022

© Bratislav Milenkovic, Everything factory
© Bratislav Milenkovic, Everything factory

L’economia industriale, fin dai suoi albori nel 1800, si è sviluppata attraverso una serie di grandi ondate di innovazioni succedutesi nel tempo: dall’applicazione del vapore alla produzione tessile, alle rivoluzioni nei trasporti ferroviari e marittimi, guidate dalle commesse statali, all’era dell’acciaio del petrolio e dell’elettricità, fino alla produzione fordista di automobili ed elettrodomestici “bianchi” e poi ai cambiamenti introdotti dalle tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione. Negli ultimi anni le innovazioni si stanno orientando verso un paradigma intersettoriale che alcuni etichettano con il termine di Green economy e che potrebbe offrire l’occasione per il rilancio del sistema produttivo e occupazionale.

La Green economy recentemente sta usufruendo di un quadro strategico e normativo che può accompagnarlo verso quel salto di paradigma finora realizzato solo parzialmente. La strategia europea del Green Deal, fortemente voluta dall’attuale Commissione insediata a Bruxelles, offre un contesto per un rilancio e un ripensamento delle priorità industriali e agricole continentali. Il Green Deal nasce come spinta istituzionale a fare dell’Unione europea il luogo dove gli obiettivi obbligatori di decarbonizzazione decisi nella COP di Parigi del 2015 si sposino con obiettivi di rilancio produttivo dell’Europa a 27. Inizialmente disegnato come strategia generale, nel tempo il Green Deal si è dotato di strumenti cogenti tra cui la Legge climatica, che definisce obbligatoriamente le tappe di decarbonizzazione europea, e il pacchetto Fit for 55. Quest’ultimo entra nel merito di scelte riferite a singoli settori, come ad esempio il comparto automotive a cui impone il divieto di vendere dopo il 2035 autoveicoli a motore endotermico (ossia alimentato da benzina e gasolio), disegnando la cornice per nuovi percorsi di ricerca e industrializzazione.

L’elemento culturalmente, oltre che economicamente, più caratterizzante di questi percorsi è il tentativo di integrare obiettivi che fino a pochi anni fa apparivano confliggenti. Scelte di tipo economico in contrasto con priorità di tutela ambientale hanno infatti contraddistinto le diverse fasi della rivoluzione industriale ricordate all’inizio, e il contrasto è divenuto sempre più aperto a partire dagli anni Settanta del ‘900 quando, in diversi paesi, ha cominciato a maturare una sensibilità e una pratica di natura ecologista. In Italia ancora oggi l’Ilva di Taranto è uno dei principali simboli della divergenza fra le “esigenze del PIL e dell’occupazione” da un lato e le esigenze di salvaguardia della salute degli esseri umani e dell’ambiente dall’altro.

Oggi lo scenario culturale è parzialmente diverso, ma cogliere l’obiettivo di integrare la sfida di mantenere il clima planetario entro limiti che lo rendano adatto alla vita umana e di aumentare al contempo ricchezza e occupazione richiede un salto di paradigma per il quale non bastano le  dichiarazioni di principio, e si rende necessario un apparato analitico e di politiche adeguato alla sfida del tempo.

Un primo livello analitico e operativo attiene al campo degli interventi trasversali o sistemici, ossia a quelle letture e a quelle proposte che si rivolgono a un sistema nella sua interezza. Come ogni salto di paradigma anche il pieno dispiegarsi di un’economia decarbonizzata ad alto impatto di occupazione qualificata, richiede un investimento adeguato di ricerca e sviluppo e di successiva industrializzazione di brevetti che collochino l’Europa e l’Italia nei punti della filiera dove si colloca il maggior valore aggiunto. La messa in posa dei pannelli fotovoltaici e la progettazione di pannelli fotovoltaici di ultima generazione non sono la stessa cosa. La prima produce basso valore aggiunto e occupazione pagata poco e precaria, mentre un’industria dei pannelli fotovoltaici avanzati, o delle batterie al litio o al sale ad alta densità energetica produce molto più valore aggiunto e un’occupazione di qualità ben diversa. Naturalmente la ricerca e sviluppo hanno bisogno di adeguati investimenti, e la successiva industrializzazione deve disporre di lavoratori adeguatamente formati e aggiornati.

Un secondo livello analitico e operativo attiene invece ai singoli settori economici, ciascuno dei quali ha caratteristiche specifiche e richiede interventi mirati per aumentare l’occupazione. Ad esempio l’agricoltura a bassa emissione di gas climalteranti e ad alto assorbimento di carbonio tende a richiedere un’intensità di lavoro maggiore e operatori più qualificati rispetto all’agricoltura industriale convenzionale. Ancora, la produzione di energia rinnovabile, rispetto alla produzione di energia fossile, secondo gli scenari dell’agenzia IRENA prefigura impatti occupazionali circa 2,8 superiori, offrendo una prospettiva virtuosa sia a livello emissivo, sia a livello lavoratvo. Diversi sono invece gli scenari relativi ad altri comparti: il settore metallurgico e metalmeccanico offre prospettive rispetto alle quali l’intervento pubblico di accompagnamento a una transizione a saldo occupazionale positivo è fortemente necessario.

EStà dal 2020 è impegnata a fornire strumenti analitici per il miglior bilanciamento possibile tra esiti di decarbonizzazione ed esiti occupazionali. Nel 2020 ha prodotto con l’Italian Climate Network (ICN) il report di ricerca “Il Green Deal conviene” (https://assesta.it/new-site/wp-content/uploads/2020/11/Green-Deal.-Benefici-occupazionali-1.pdf) nel quale ha condotto sia una ricerca sulle politiche trasversali, sia una ricerca sui singoli settori produttivi italiani, per valutare come massimizzare la decarbonizzazione aumentando l’occupazione. Oggi EStà, attraverso metodi di analisi originali, sta indagando due settori produttivi del territorio lombardo: l’agroforestale e l’automotive. Nel primo caso per valutare scenari carbonico-occupazionali relativi a scelte sul cosa e sul come coltivare nella regione: quando e dove è meglio destinare un terreno a foresta o a un determinato tipo di coltivazione? Con quali tecniche si ottengono quali risultati ? Che tipo di combinazione di impatti carbonico-occupazionali si produce con ciascuna scelta? Nel secondo caso per analizzare i rischi effettivi e i potenziali di creazione di nuovo impiego all’interno della transizione tra auto endotermica e auto elettrica: quali tipologie di veicoli permettono di rispettare gli obiettivi della legge climatica europea? In Lombardia quali occupati e in quali settori sono esposti alla transizione e ai rischi occupazionali? Quali nuovi posti di lavoro e in che settori è legittimo attendersi dal cambio di produzione automobilistica?

Il modello di analisi applicato da EStà  deriva da una serie di presupposti teorici e di metodo applicati nell’analisi empirica: l’analisi della struttura economica complessiva e della relazione tra domanda e offerta; lo studio sul livello di specializzazione produttiva dei sistemi economici come cartina di tornasole delle potenzialità per un’occupazione di alta qualità, l’esame dei dati primari ricombinati con il sapere degli attori chiave per fotografare in maniera dettagliata e realistica gli impatti sulle emissioni e sui posti di lavoro; l’utilizzo di indicatori primari e di indicatori ricombinati per offrire diversi livelli di sintesi della situazione esaminata; l’uso di domande di ricerca che rispondano ai bisogni di chi utilizzerà i risultati per prendere decisioni; l’uso di linguaggi testuali e infografici rigorosi, ma non tecnici, per facilitare le letture; le raccomandazioni di policy argomentate da evidenze scientifiche per connettere il mondo della ricerca ai bisogni socio-politici; la scenarizzazione per facilitare la presa di decisioni attraverso cruscotti integrati socioeconomico-ambientali. Un bagaglio teorico e metodologico in continuo sviluppo per  affrontare adeguatamente una fase probabilmente epocale dello sviluppo economico: il passaggio da un modello produttivo basato sull’energia fossile, ad un modello basato sulle energie rinnovabili. L’ultima volta che l’umanità ha cambiato il tipo di fonte energetica di riferimento è iniziata la Rivoluzione industriale.

 

 

La resilienza per le PMI tra digitalizzazione e territorio. Il caso dello Spazio Alpino.

“Come rafforzare la resilienza delle PMI nello Spazio Alpino?” è la domanda di ricerca che ha guidato lo studio di EStà all’interno del progetto AlpGov2 di EUSALP, l’agenda strategica della macro regione alpina.

Il report prodotto da EStà ha investigato i concetti di vulnerabilità e resilienza attraverso una metodologia di indagine mista. Da una parte, un set di indicatori socioeconomici offre un’ampia panoramica del sistema manufatturiero della regione alpina, dall’altra i risultati dei questionari alle PMI e delle interviste ai principali stakeholders del progetto indagano le capacità di innovare, di integrare l’economia circolare e la digitalizzazione nei processi produttivi e di costruire una rete di forti relazioni esterne.

I principali risultati delle analisi quanti-qualitative hanno permesso di costruire una matrice di vulnerabilità che restituisce in modo diretto e graficamente efficace il grado di vulnerabilità delle filiere produttive (quattro oggetto della nostra analisi: legno, chimica, meccanica-meccatronica e plastica) nelle diverse regioni della fascia alpina.

Il concetto di resilienza delle PMI è stato inoltre sviluppato attraverso l’analisi del contesto geopolitico e occupazionale delle regioni alpine, producendo un aggiornamento territoriale della Resilience Dashboard elaborata dalla Commissione Europea.

Il documento delinea un campo d’azione popolato da un ampio insieme di attori che agiscono sull’innovazione in campo normativo, tecnologico e green e che, nei prossimi anni, possono rendere la macroregione alpina protagonista dello sviluppo territoriale europeo.

 L’obiettivo del report è dunque quello di fornire indicazioni strategiche e organizzative alle imprese e strumenti di analisi chiari alle istituzioni e alle organizzazioni di rappresentanza al fine di migliorare la loro offerta di politiche e servizi a sostegno della resilienza.

I giovani, il cibo, il clima. L’analisi di EStà per il progetto FOOD WAVE.

In occasione della Giornata mondiale della Terra si rende pubblico il rapporto redatto da EStà grazie con il coordinamento di Mani Tese all’interno del progetto europeo Food Wave.

Si tratta di una ricerca che analizza le 18 città partner in differenti contesti europei, offrendo un panorama molto ampio e significativo di come si sviluppano le politiche relative al cibo e al clima e dei modi in cui i giovani sono oggetto o co-protagonisti di queste politiche. 

Il rapporto pone l’attenzione su ciò che sta accadendo a livello locale con l’obiettivo di comprendere meglio l’impatto che gli attori territoriali e le istituzioni hanno nel plasmare politiche e iniziative che rafforzano il nesso cibo-clima. Mostra come le città costituiscono un osservatorio privilegiato in cui non solo si sta costruendo la consapevolezza delle interconnessioni tra temi complessi, ma si sta anche sperimentando la loro concreta attuazione.

Le esperienze delle città dimostrano che le alleanze tra istituzioni e attori territoriali sono una spinta importante verso politiche su misura del contesto, sia che si tratti di cibo, clima o giovani. Includere i destinatari delle politiche nel policy making – attraverso strutture amministrative ad hoc, progetti europei, iniziative e altro – spinge un nuovo modo di intendere l’azione sociale nella mentalità amministrativa locale. Inoltre, la raccolta ed il monitoraggio dei dati a livello locale sono un’altra parte fondamentale della creazione di politiche basate sull’evidenza, pur essendo molto complicati da raccogliere e condividere.

Rispetto ai giovani, questo rapporto dimostra la presenza di una serie di approcci diversi attraverso cui le politiche giovanili non sono solo per i giovani (relative, per esempio, all’istruzione o all’occupazione) ma sono sviluppate direttamente dai giovani. Tuttavia, mostra anche che le iniziative dei giovani non sono sempre nel radar delle amministrazioni, il che genera opportunità mancante se si considera l’impatto positivo che queste hanno nei territori.

Infine, il consumo di cibo è un punto di osservazione interessante per guardare le complessità dell’attuale sistema alimentare. L’impatto delle nostre abitudini di consumo e la possibilità di implementare alternative sostenibili, sia a livello individuale che sociale, sono importanti leve di cambiamento.

L’analisi effettuata fornisce quindi uno sguardo molto ampio su come i governi locali e i gruppi della società civile oggi affrontano questi temi, contribuendo a una base di conoscenza per stimolare sia l’azione istituzionale sia quella sociale.

Il rapporto:

Bergamo: analisi del sistema alimentare

Che cos’è il sistema del cibo di una città e perché bisogna studiarlo? E perché distinguere ciò che del sistema del cibo si sviluppa in una città come Bergamo da tutto ciò che succede nel mondo?

Il report redatto da EStà, grazie al contributo del Comune e degli attori locali intervistati, cerca di rispondere a queste domande di fondo, alle quali è connessa una serie di questioni e problemi che riguardano le diverse fasi del ciclo alimentare che sono affrontati quotidianamente da molti attori della città: la produzione locale di cibo, i canali di approvvigionamento più utilizzati dai cittadini, l’economia generata dal sistema alimentare, il cibo sprecato e quello recuperato per finalità solidaristiche, l’efficacia dell’educazione alimentare, l’attrattività di un territorio generata dal cibo.

Altre questioni sono in relazione, direttamente o indirettamente, con il modo con cui la città nel suo complesso vive il mondo del cibo. Si pensi ad esempio ai diversi impatti ambientali creati dal modo di produrre, trasportare, distribuire, consumare il cibo e smaltirne gli scarti (o lo spreco) in termini di uso del suolo e dell’acqua, di consumi energetici, di impatti sulla qualità dell’aria e sul clima. Si tratta solo di alcuni esempi che danno l’idea di quanto il cibo impatti su una serie molto ampia di attività in cui sono coinvolte non solo imprese e istituzioni, ma anche l’intera cittadinanza.

L’obiettivo principale di questo report è dunque quello di ricostruire un’immagine complessiva del sistema urbano del cibo. Ovvero intende descrivere il contesto socio-economico ed ambientale di riferimento e delle diverse fasi della filiera del cibo: produzione, trasformazione, logistica, distribuzione, consumo e gestione delle eccedenze e dei rifiuti.

“UN SACCO ET(N)ICO”: raccolta differenziata e ristorazione multiculturale

“UN SACCO ET(N)ICO”: raccolta differenziata e ristorazione multiculturale

Il progetto si rivolge alle attività di ristorazione etnica attraverso l’approccio della mediazione linguistico-culturale, con il duplice obiettivo di migliorarne la qualità della raccolta differenziata dei rifiuti, incrementarne l’avvio al riciclo e comunicare le restrizioni introdotte dalla direttiva europea SUP (Single Use Plastics) proprio su alcuni prodotti in plastica non compostabile monouso largamente utilizzati nei servizi di asporto e di consegna a domicilio del cibo (posate, piatti, cannucce e palettine per caffè; contenitori per alimenti e bevande in polistirene espanso).

Il progetto, finanziato da Fondazione Cariplo  e Novamont , si svolge contemporaneamente su tre città (Bergamo, Brescia e Milano) e vede come partner le aziende che gestiscono la raccolta differenziata (APRICA e AMSA), due realtà locali esperte di mediazione linguistico-culturale (la cooperativa Ruah  e l’associazione ADL a Zavidovici), il  Dipartimento di Scienze della Mediazione Linguistica e di Studi Interculturali dell’Università degli Studi di Milano e l’associazione Economia e Sostenibilità come capofila. I tre comuni coinvolti patrocinano il progetto, sostenuto anche da ANIPS e Ascom Bergamo.

I mediatori culturali stanno contattando le circa 340 attività di ristorazione (200 a Milano, 65 a Bergamo e 75 a Brescia) per presentare il progetto ed ottenere l’adesione da parte del ristoratore. Verranno consegnati materiali informativi (le linee guida per la raccolta differenziata, la brochure del progetto con i riferimenti principali) tradotti nella lingua madre dell’esercente (cinese, arabo, turco, spagnolo e urdu).

Gli esercenti che aderiranno al progetto saranno coinvolti in due ulteriori incontri con il personale di AMSA e APRICA, sempre accompagnati dai mediatori culturali: il primo incontro per chiarire gli eventuali dubbi sulle procedure di differenziazione dei rifiuti e sull’applicazione della direttiva europea SUP e per fornire informazioni sui prodotti in plastica monouso utilizzati. Il secondo, a distanza di qualche mese, per permettere di valutare i risultati dell’intervento, sia sulla qualità della differenziata che sul grado di sostituzione dei prodotti in plastica monouso vietati. Ciascun esercente coinvolto riceverà in omaggio circa 1.000 food bag compostabili da testare.

Il progetto è iniziato a marzo 2021 e si conclude ad agosto 2022.

www.unsaccoetnico.it

La statistica nella lettura dei fenomeni socio-economico climatici

© Harriet Lee Marrion, Fertile Earth
© Harriet Lee Marrion, Fertile Earth
 

Il ruolo della statistica nella lettura dei fenomeni socio-economico climatici

 

In una società complessa e sempre più caratterizzata dall’interazione tra uomo e macchina è inevitabile dover discutere di fenomeni economico-sociali e ambientali utilizzando dati empirici e informazioni raccolti sul campo. È altrettanto inevitabile l’utilizzo di appropriate metodologie di analisi di questi al fine di comprendere il reale contenuto informativo che essi possono fornirci. Nel corso degli ultimi anni, e la pandemia COVID ha dato una ulteriore spinta, sono entrati nel nostro vocabolario giornaliero diversi termini, quali ad esempio Big Data, Intelligenza Artificiale, Data Drive, o Modelli empirici. Tutti termini che in qualche misura hanno a che vedere con la disciplina della Statistica e dell’Analisi dei dati[1].

Anche la società si è modellata di conseguenza: i telegiornali e i media offrono sempre più servizi su queste tematiche, invitando esperti dei settori o realtà connesse; sono nati molti corsi di laurea e master per formare esperti in analisi dei dati in grado di interpretare i fenomeni che ci circondano e tentare di trasformare i fenomeni in opportunità.

In effetti diventa sempre più difficile ottenere visibilità e credibilità se non ci si trova sulla frontiera di queste tematiche. Anche EStà ha colto questa opportunità e ha cercato di espandere le proprie competenze interne sviluppando collaborazioni con il mondo accademico e della ricerca per sviluppare metodologie solide e utili per comprendere con occhi oggettivi, guidati dai dati, la sempre più intricata relazione tra lo sviluppo economico moderno, l’ambiente, il mondo dell’energia e la società in continua evoluzione.

Ma facciamo un passo indietro. Di cosa stiamo parlando davvero? Con quale realtà ci dobbiamo confrontare? Partiamo da una semplice definizione di Statistica: la statistica è una disciplina che ha come fine lo studio quantitativo e qualitativo di un particolare fenomeno collettivo in condizioni di incertezza o non determinismo, cioè di non completa conoscenza di esso o di una sua parte[2].

Già nella definizione sono racchiusi molti concetti fondamentali che è necessario sviluppare. Innanzitutto il termine disciplina indica la Statistica come una materia, un insieme di metodologie e di teorie. Non si tratta di semplici formule o numeri. È un corpus di contenuti che ha una propria filosofia sottostante, delle regole e dei metodi che permettono di interpretare i fenomeni, ossia eventi, che ci circondano. I fenomeni sono collettivi, riguardano una popolazione di interesse (un gruppo di soggetti o oggetti che si vogliono analizzare), che vengono studiati in un contesto di incertezza. Incertezza è tra tutti il vero cuore della definizione, il punto focale. La parola incertezza esprime il concetto di ignoranza (in senso positivo chiaramente) su qualcosa, la mancanza di informazioni totali e solo una conoscenza parziale e limitata del fenomeno. Indica che non tutto è controllabile (appunto, non è deterministico) e che, pur facendo il massimo nei nostri sforzi di modellistica, qualcosa sfuggirà sempre al controllo e potrebbe determinare importanti variazioni tra ciò che si afferma e la realtà. Incertezza e Caso, sono i due concetti che distinguono la Statistica e i suoi adepti, gli Statistici, da altre figure professionali e di ricerca. In un certo senso è come dire che per quanto uno si sforzi nel comprendere un fenomeno, un errore (distanza tra realtà e il nostro risultato) dovrà essere sempre tollerato. Il punto è come rendere questo errore minimo, poco influente, senza però avere la pretesa di eliminarlo o ignorarlo.

Già da qui è chiaro che si tratti di un mondo complesso, e a volte oscuro, che richiede una notevole cura e competenza nell’utilizzo degli strumenti che ci mette a disposizione. E a cosa serve davvero tutto questo? Una risposta semplice, ma non banale potrebbe essere quella di voler raccontare una storia. Prima di raccontarla, però, devo comprendere la storia e i dati ci danno una grande mano.

Torniamo al concetto di Popolazione, perché è da qui che nascono le parti più interessanti. Con la parola popolazione intendiamo qualunque gruppo di soggetti o oggetti accomunati da qualche caratteristica che li rappresenta e di cui siamo interessati ad ottenere delle informazioni. Con popolazione potremmo intendere ad esempio, l’insieme di tutte le imprese italiane operanti in un determinato settore oppure l’insieme di tutti gli studenti italiani in un dato momento. Oppure il numero di membri di una determinata specie di animali in una foresta o il numero totale di alberi di un’area.

Spesso non è possibile raggiungere tutta la popolazione complessiva. Perché troppo grande (quanti alberi ci sono esattamente in Italia? Difficile a dirsi), perché non si conoscono le ‘generalità’, i ‘nomi’ di tutti i membri della popolazione (quante sono esattamente le persone immigrate in Italia nell’ultimo anno? Tra migranti regolari e irregolari non è facile contare). Per questo motivo si utilizza un campione (un sottogruppo, sottoinsieme) della popolazione di interesse, lo si studia e analizza e infine si prova a trarre qualche conclusione sulla popolazione complessiva partendo dai risultati campionari. Questo processo di passaggio dai dati campionari a stime sulla popolazione complessiva prende il nome di Inferenza Statistica. Ovviamente, dal momento che utilizzo solo parte della popolazione e la inserisco nel campione, commetteremo un errore di approssimazione che è tanto più piccolo tanto più il campione è grande e tanto più esso rappresenta la vera natura della popolazione. Facciamo un esempio: se volessi stimare l’altezza media dei cittadini italiani (diciamo circa 60 milioni), dovrei costruire un campione quanto più ampio possibile (diciamo almeno qualche migliaio di persone) e questo campione deve rispettare la distribuzione della popolazione in termini di genere (stessa % di maschi nel campione e nella popolazione), di fascia di età (stessa % di persone tra i 40 e i 50 anni nel campione e nella popolazione) e di area geografica (stessa % di cittadini Lombardi nel campione e nella popolazione). Il campione così ottenuto è rappresentativo (rispetta le caratteristiche chiave, le proprietà) della popolazione. L’errore, come anticipato, esisterà sempre e non potrà essere eliminato. Al più possiamo cercare di ridurlo al minimo con degli appropriati metodi. L’incertezza è la chiave di comprensione dell’inferenza.

Partendo dall’inferenza posso poi fare delle previsioni nel tempo (previsione per serie storiche), nello spazio (previsione con modelli geo-statistici o spaziali) o su soggetti della popolazione non presenti nel campione (previsione cross-sezionale). Vale a dire, usando informazioni osservate posso ottenere delle stime di valori che sono ancora ignoti nel tempo (il meteo di domani), nello spazio (le concentrazioni di inquinanti in una certa città) o su un particolare soggetto (qual è la ricchezza di un soggetto che ha certe caratteristiche socio-economiche). Ancora una volta, anche la previsione dà luogo ad un errore di previsione che va considerato.

Ora, facciamo uno sforzo, e proviamo ad applicare questi concetti nei contesti dello sviluppo economico sostenibile, dell’ambiente, dell’inquinamento o della società. Ciò che EStà sta maturando in questi anni è la convinzione che alcuni fenomeni e trend ambientali ed economici possano essere interpretati e, sotto certe condizioni, previsti. Basti pensare ai cambiamenti climatici: i dati raccontano che le temperature in tutto il globo sono in evoluzione, abbiamo aree del mondo in cui la temperatura si alza e altre in cui si abbassa (lo scioglimenti dei ghiacci polari ha questa assurda contraddizione giudicata senza senso da tanti scettici, ad esempio l’ex presidente degli Stati Uniti, ma che ha solide basi scientifiche); il livello del mare si sta alzando un po’ ovunque; le concentrazioni di inquinanti si stanno riducendo in varie aree d’Italia (la Lombardia ad esempio registra ossidi e particolati in forte diminuzione dal 2014 in avanti). Escludendo eventi esogeni, cioè che non dipendono dalla struttura economico-sociale di un sistema economico, anomali come la pandemia da COVID-19, anche lo stato di salute di una economia può essere analizzata e prevista. Ogni anno gli istituti nazionali e internazionali di statistica ci offrono stime sugli andamenti della ricchezza, sia nel tempo che a livello territoriale e le banche centrali tentano di interpretare l’evoluzione dei prezzi. Non bisogna stancarsi nel dire che, pur quando sono fornite da enti certificati e accreditati (come può essere ISTAT o Banca d’Italia), le stime possono essere errate proprio in virtù di quell’errore ci sempre accompagna gli statistici.

EStà sta impegnando molte risorse e tempo nello studio delle metodologie più appropriate per sviluppare modelli e analisi di qualità che permettano di indirizzare gli interlocutori verso scelte ragionate e basate quanto più possibile su criteri oggettivi. Fermo restando che non sempre sia possibile fornire una indicazione esatta, ma quanto meno sensata e solida nei fondamenti.

 

 

[1] Facciamo attenzione ad un aspetto davvero importante parlando di dati: due concetti connessi non per forza si sovrappongono. Statistica, Machine Learning, Ingegneria del dato, sono termini tra loro connessi e identificano campi e filosofie complementari, ma al tempo stesso contrastanti. Ognuno di questi campi ha visioni diverse e richiedono competenza diverse, ma devono comunicare per una corretta evoluzione della ricerca.

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Statistica

I numeri e la società

© Loulou and Tummie, 2015
© Loulou and Tummie, 2015
 

I numeri e la società

I fenomeni economici e sociali non possono e non sono ravvisabili nei numeri. La statistica descrittiva aiuta a studiare i fenomeni quantitativi e qualitativi della collettività, sebbene le condizioni di incertezza, cioè di incompleta conoscenza di essa o di una sua parte, assegnano alla logica e all’intelligenza un ruolo ancor più stringente. La semplice rilevazione di un numero, per esempio l’inflazione, non permette di catturare il fenomeno dell’inflazione. Occorre accoppiare sempre un’altra rilevazione per catturare e interpretare la crescita dei prezzi: possono crescere i profitti, il costo delle materie prime, oppure gli investimenti non hanno dato i risultati attesi. Possiamo anche sostenere che la crescita della massa monetaria ha permesso la crescita dei prezzi dei titoli quotati in borsa; è una crescita del valore dei titoli trattati o una crescita dei prezzi dei titoli trattati?

La dissertazione è un avvertimento ai naviganti circa le misure e gli indicatori. Sono sempre utili e funzionali all’interpretazione dei fenomeni, ma è solo grazie al metodo e all’intelligenza che i numeri possono raccontarci qualcosa di interessante, che rimane pur sempre parziale e verificabile (Popper e la discutibilità della tesi).

L’esperienza e il lavoro aiutano. Passo dopo passo permette di affinare le informazioni statistiche, di testarle e verificare la loro attendibilità (parziale) rispetto ai fenomeni economici e sociali.

EStà ha maturato alcune convinzioni rispetto ai numeri che più e meglio di altri aiutano la comprensione della società.  Sono un supporto prezioso per catturare il ben-essere della collettività ravvisabile nei cambiamenti climatici, occupazionali e di reddito disponibile. Rispetto al reddito disponibile utilizziamo sia la contabilità dei fattori, sia quella della domanda. Si tratta di due facce della stessa medaglia, ma con un significato economico abbastanza diverso. Il primo tende a misurare il Reddito dal lato del consumo, degli investimenti e della spesa pubblica; il secondo osserva la sua distribuzione, ovvero la ripartizione tra salari, profitto e rendita. Inoltre, EStà cerca sempre di comparare le informazioni statistiche con quelle di altre realtà socioeconomiche che meglio di altre possono essere associate al Paese o alla Regione Lombardia. Diversamente i “numeri” raccolti hanno una capacità esplicativa manifestamente contenuta. La comparazione è un tratto caratteristico del nostro lavoro.

Alcune ipotesi di ricerca sviluppate nel tempo e con un certo grado di raffinatezza, pur nei limiti sopra ricordati, suggeriscono che 1) alcune variabili sono più rappresentative di altre e 2) la combinazione tra due variabili permette di catturare (in parte) alcuni tratti dei fenomeni indagati. Solo per offrire una prima rappresentazione immaginiamo di voler catturare l’innovazione tecnologica e/o il contenuto tecnico degli investimenti. La prima potrebbe essere legata all’innovazione incorporata negli investimenti (investimenti su valore aggiunto), la seconda nell’intensità tecnologica (ricerca e sviluppo su investimenti). Naturalmente il fenomeno è più complesso, ma nel tempo ha mostrato una certa solidità, anche accademica, attraverso un certo numero di pubblicazioni.

Alcuni indicatori sono consolidati nella pubblicistica e difficilmente è possibile rinunciarvi:

  • Consumi
  • Investimenti
  • Spesa pubblica

A questi possiamo associare:

  • Reddito da lavoro;
  • Reddito da profitto;
  • Reddito da rendita, ancorché quest’ultima abbia non poche implicazioni economiche di difficile soluzione.

Come è facile intuire, è solo attraverso la comparazione con altre realtà socioeconomiche omogenee che queste variabili possono consegnarci un risultato adeguato a esprimere una qualsiasi valutazione. Inoltre, è necessario considerare le poste indicate utilizzando alcune sotto categorizzazioni: pro-capite, a prezzi costanti e/o correnti, in rapporto all’aggregato e via discorrendo.

EStà ha poi indagato nelle proprie ricerche la struttura economica, ovvero il contenuto quali-quantitativo dell’offerta. Di norma utilizziamo il valore aggiunto per addetto, sostanzialmente la produttività, nella consapevolezza che il valore aggiunto è soggetto a molte considerazioni. Infatti, il valore aggiunto, così come la sua dinamica, variazione su un anno base, è legato al posizionamento del settore rispetto alla domanda, al contenuto tecnico e tecnologico dell’output e alla specializzazione produttiva. Di norma tentiamo di catturare questi fenomeni in quanto restituiscono la “resilienza” del settore e del sistema economico nel suo insieme. Il processo potrebbe essere rappresentato come una approssimazione quali-quantitativa che assume ancor più significato se le informazioni considerate vengono comparate. In particolare:

  • Investimenti su valore aggiunto (reddito)
  • Ricerca e Sviluppo su investimenti che in alcuni casi può anche rappresentare la conoscenza incorporata nei beni capitali
  • Incidenza del valore aggiunto aggregato per settore che restituisce il quanto e il come una realtà economica è specializzata

Tale approccio è apparso un punto di partenza utile per catturare la grande sfida tecno-economica sottesa al Green deal e alla digitalizzazione. In effetti, se agli indicatori appena menzionati associamo le emissioni climalteranti (CO2 eq.)  possiamo “valutare” alcune correlazioni (link) tra le emissioni di CO2 con gli investimenti, la Ricerca e Sviluppo, il valore aggiunto e la specializzazione produttiva, ottenendo indicazioni su come un ambito settoriale e/o territoriale si colloca rispetto alla sfida cogente della decarbonizzazione. Più precisamente:

  • CO2 su valore aggiunto
  • CO2 su investimenti
  • CO2 su ricerca e sviluppo
  • CO2 su intensità tecnologica
  • CO2 su reddito da lavoro.

EStà si è anche cimentata in alcune stime circa gli effetti occupazionali e di valore aggiunto di investimenti, ricerca e sviluppo tesi a ridurre l’impatto climalterante della CO2. Una sfida che affonda le sue radici in approcci metodologi diversificati perché riflettono modi differenti di vedere la società, ma utili per costruire le stime, le quali rimangono tali. In effetti, un modello che catturi il potenziale paradigma tecno-economico non esiste, nemmeno nella teoria della complessità veicolata da Mauro Gallegati.

EStà non rappresenta il mondo per quello che è, piuttosto interpreta e suggerisce delle idee rispetto ad alcune variabili testate nel tempo. La materia economica e statistica non sono una scienza neutrale. Chi guarda il mondo ha sempre occhiali e fotografie da utilizzare.

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L’economia circolare urbana

24 Marzo 2021

AUTORE

Massimiliano Lepratti

© Anna-Kaisa Jormanainen
© Anna-Kaisa Jormanainen
 

L’economia circolare urbana

Le città e le relative aree urbane non possono pensarsi come unità economiche autosufficienti, né questo avrebbe senso per ragioni naturali, economiche e culturali. Da un punto di vista naturale le città non possiedono le superfici agricole e acquatiche sufficienti per assicurarsi l’autonomia; da  un punto di vista economico la produzione di molti beni di origine industriale diviene  più conveniente se collocata al di fuori di aree urbane, costose in termini di affitti e poco funzionali in termini di spazi e di servizi connessi; da un punto di vista culturale gli scambi relativi a beni o servizi di tipo cultural-artistico o artigianale è utile che avvengano anche su scale territoriali ampie per favorire la conoscenza e il confronto arricchente con le diversità.

Una serie di flussi di entrata e di uscita invece è opportuno che seguano principi di circolarità su scala locale, per ragioni sia ambientali, sia sociali ed economiche e per questo la distinzione tra flussi ad orientamento circolare-locale, e flussi che interessano scale territoriali diverse è un’operazione che evita approcci autarchici o semplificati e offre una chiave di lettura verso cui orientare le interpretazioni e le relative scelte politiche.

L’economia circolare a scala locale ha senso laddove la produzione, il riuso e il riciclaggio sono più efficaci economicamente, socialmente e/o ambientalmente rispetto ad opzioni diverse. Questo avviene in una parte dei flussi di approvvigionamento quotidiano, ossia nel campo del cibo e dell’energia.

Mentre già da alcuni anni sono disponibili studi sull’impatto occupazionale dell’economia circolare, ad oggi è invece difficile stimarne l’impatto economico complessivo, in termini di aumento del valore aggiunto prodotto. Occorrerebbe considerare contemporaneamente l’influsso di una serie di variabili, spesso di segno diverso, quali: la diminuzione dell’acquisto di beni nuovi; la produzione di beni a valore aggiunto maggiore; lo sviluppo di servizi di recupero (latu sensu), alcuni dei quali potrebbero portare all’estrazione di sostanze chimiche o allo sviluppo di processi di trattamento dei rifiuti ad alto valore aggiunto, oggi ancora di difficile valutazione; la presenza o meno di barriere di diverso tipo affinché alcune evoluzioni possano avvenire o meno (ad esempio barriere normative sull’utilizzo di beni end of waste).

Sul piano socio-economico un effetto indiretto poco considerato negli studi di tipo macroeconomico è il ventaglio dei vantaggi per il consumatore. Conservare nel tempo le funzioni di uso di un oggetto, progettandolo per questo scopo e poi riparandolo e rigenerandolo, diminuisce la frequenza degli acquisti, abbassando non solo l’impatto ambientale, ma anche i relativi esborsi in denaro.

 

NB. Il contenuto di questo articolo è tratto dal saggio in inglese di M. Lepratti, coordinatore di Està, The circular economy, contenuto nella pubblicazione Training for Education, Learning and Leadership towards a new MEtropolitan Discipline: Inaugural Book.

Di seguito è possibile scaricare la pubblicazone integrale del progetto TELLme, esito di una collaborazione tra università, enti di ricerca e ong in Italia, Spagna, Messico e Argentina che contribuisce allo sviluppo di una “disciplina metropolitana” per comprendere, concettualizzare, progettare e gestire la dimensione metropolitana delle città. Il progetto, pubblicato da CIPPEC, ha coinvolto partner europei e latinoamericani, tra cui: Fondazione Politecnico di Milano, Politecnico di Milano, DOBA Faculty, Universidad de Sevilla, Cnr – Irea, Universidad Autónoma Metropolitana, Universidad de Cuyo e Universidad de Guadalajara.

 

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Sviluppo e sostenibilità

10 Marzo 2021

AUTORE

Massimiliano Lepratti

@ Luke Best, Updates
@ Luke Best, Updates
 

Il rapporto tra industria e natura

La terra è un pianeta che dall’esterno non riceve alcun apporto di materia e che invece, grazie al sole, riceve continuamente e indefinitamente un’immensa quantità di energia. Al contempo gli abitanti del pianeta terra da due secoli si procurano le principali fonti di energia attraverso la depauperazione progressiva della quantità di materia data. Uno dei meccanismi chiave delle rivoluzioni industriali è celato dietro questo paradosso: pur disponendo di una quantità limitata di materia (fossile) ad alto potenziale inquinante, il mondo 200 anni fa ne ha fatto la base per alimentare un nuovo sistema produttivo a crescita rapidissima e potenzialmente illimitata.

Oggi il paradosso si pone con forza rinnovata. Due secoli di rivoluzione industriale hanno aumentato indefinitamente il potenziale produttivo e comunicativo dell’umanità connettendo i continenti, moltiplicando le rese agricole, stimolando in soli trent’anni (1945-’75) un aumento di ricchezza globale superiore a quello verificatosi nei mille anni precedenti. Negli stessi trent’anni si è avverato appieno quanto preconizzava già nel 1873 il geologo italiano Antonio Stoppani, quando proponeva di definire l’epoca che stava vivendo con il nome di era “antropozoica” a segnare il grande potenziale di dominio che l’essere umano stava acquisendo sul resto della natura. Ma la natura ha chiesto conti che sono diventati sempre più salati, manifestandosi tra l’altro nei disastri umani e ambientali di Seveso in Italia nel 1976, di Love Canal negli Usa nel 1978, di Bhopal in India nel 1984, di Cernobyl in Urss nel 1986, della Exxon Valdez in Alaska nel 1989, dell’incendio dei pozzi petroliferi in Kuwait nel 1991.

Davanti alla contraddizione tra economia e ambiente oggi nuova rivoluzione industriale è chiamata a riconnettere lavoro e natura in un percorso che riconcili dinamiche finora contrastanti, che abbassi il consumo di materia aumentando il contenuto intellettivo dei beni e dei servizi prodotti, che rispetti i limiti climatici senza porre limiti allo sviluppo della ricchezza sociale, che restituisca all’energia illimitata dallo spazio la preminenza sulla materia fossile e limitata utilizzata finora dagli esseri umani.

Ogni rivoluzione economica provoca terremoti, quella futura li provocherà se non avverrà, quelle passate hanno lasciato i loro splendori e i loro dolori:

Andate a dire ai buoi che vadan via/ che quel che han fatto è fatto/ e che oggi si ara prima col trattore/ E piange il cuore a tutti se li guardi/ che dopo che han lavorato mille anni/ adesso se ne vanno a testa bassa / dietro la corda lunga del macello (Tonino Guerra, traduzione dell’autore)

 

Il contenuto di questo articolo è tratto dal saggio di M. Lepratti, coordinatore di Està, Sviluppo e sostenibilità, contenuto nell’ebook di Fondazione Feltrinelli Progresso inconsapevole.

Il calcolo della raccolta differenziata

 

RACCOLTA DIFFERENZIATA IN ITALIA AL 61,35% NEL 2019, MA COSA SI NASCONDE DIETRO QUESTO DATO?

In Italia nel 2019, la raccolta differenziata ha raggiunto il 61,35%. Se il metodo di calcolo non fosse stato modificato nel 2016 tramite Decreto ministeriale la percentuale si fermerebbe solo al 55,56%.

La percentuale di raccolta differenziata dei RSU (rifiuti solidi urbani) ha subito una crescita notevole di anno in anno, ma non tutto è dovuto ad una più attenta differenziazione dei rifiuti.

La principale problematica nell’elaborazione dei dati sulla gestione dei RSU riguarda la corretta computazione dei rifiuti considerati differenziati. Di fatto, se si considerasse solo il dato di andamento della percentuale di raccolta differenziata si incorrerebbe in gravi anomalie, in quanto la computazione negli anni degli RSU ha subito variazioni. Infatti dal 2016 – per effetto del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare “Linee guida per il calcolo della percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani” (pubblicato su Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 146 del 24-6-2016) – ISPRA effettua le elaborazioni sulla produzione e raccolta differenziata dei RSU considerando come rifiuti differenziati anche i rifiuti ingombranti (200307), i rifiuti da spazzamento stradale (200303), rifiuti da C&D (costruzione e demolizione, 170107 e 170904) e gli scarti provenienti dalla selezione della multimateriale.

Dal 2016 quindi i dati sono difficilmente confrontabili con quelli precedenti. ESTà ha conseguentemente rielaborato i dati con un unico metodo di calcolo per poter utilizzare un’unica serie storica.

Come si può osservare, lo scostamento tra le due metodologie è notevole. La “percentuale RD registrata” rappresenta la percentuale ufficiale dichiarata da ISPRA, mentre la “percentuale RD con unica misurazione” rappresenta la rielaborazione di ESTà che, a partire dai dati ISPRA, non imputa tra i rifiuti differenziati quelli da pulizia stradale a recupero, gli ingombranti misti a recupero e i rifiuti da C&D. In Italia la percentuale di raccolta differenziata nel 2019 è risultata al 61,35% contro il 55,56% del metodo di calcolo unico utilizzato da ESTà. Il grande balzo in avanti degli ultimi anni non è quindi solo dovuto ad una miglior gestione dei rifiuti, ma principalmente ad una normativa che ne ha variato il calcolo.

La rilevazione di una percentuale di raccolta differenziata inferiore ai dati ufficiali non deve essere letta solo come dato negativo, ma anche come maggiore possibilità di migliorare l’intercettazione delle diverse frazioni merceologiche con conseguenti risparmi in termini di costi ed emissioni di CO2.

 

Di seguito l’analisi dei dati, curata da Emanuele Camisana.