Master Cibo e Società 2021

Master Cibo e Società 2021

29 Marzo 2021

Economia e Sostenibilità collabora anche quest’anno al Master Cibo e Società, organizzato dall’Università di Milano-Bicocca e giunto alla sua terza edizione.
EStà mette a disposizione soprattutto il know-how sviluppato in questi anni intorno alla politiche urbane del cibo, con l’obiettivo di formare specialisti capaci di ideare e gestire progetti innovativi sui sistemi alimentari sostenibili, tra istituzioni e attori sociali ed economici.

Per gestire la sostenibilità dei sistemi alimentari, la globalizzazione dei mercati del food e il fenomeno di urbanizzazione c’è infatti bisogno di nuovi strumenti e conoscenze integrate negli enti pubblici e privati chiamati ad elaborare soluzioni a problemi ed esigenze puntuali, così come a promuovere nuovi orientamenti nella relazione tra consumatore e sistemi del cibo.

I temi trattati nel modulo di Politiche Alimentari vertono su: globalizzazione; sistema alimentare e dimensione territoriale e urbana del cibo;  governance multilivello dei sistemi del cibo.  Il framework teorico di riferimento per l’analisi del sistema cibo è in chiave sostenibile da un punto di vista, non solo ambientale, ma anche sociale ed economico. Proponiamo l’analisi dei sistemi locali e urbani del cibo alle diverse scale: urbana, metropolitana e regionale. 

Questo master è una opportunità – unica nel panorama italiano – per accostarsi attraverso il cibo all’antropologia, la politica, l’economia, il diritto, la sociologia, la storia e per formare specialisti di tutta la filiera agro-alimentare.

Milano in ottobre
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Sede di Està, Cascina Cuccagna (MI)

Economia circolare del cibo a Milano

Economia circolare del cibo a Milano

15 Ottobre 2020

 

È possibile fare di Milano un laboratorio permanente di politiche integrate rivolte all’economia circolare del cibo? La ricerca Economia circolare del cibo a Milano, condotta dal centro di ricerca Economia e Sostenibilità (ESTà), fornisce gli elementi di base per connettere e valorizzare in ottica circolare le risorse esistenti nel territorio milanese: competenze, driver istituzionali, asset industriali e opportunità. L’obiettivo è sostenere il Comune di Milano e Fondazione Cariplo nel loro ruolo di impulso, supporto e facilitazione di tutte le forme di innovazione sociale, tecnologica e organizzativa che possono concorrere ad attuare gli obiettivi della Food Policy e i principi dell’economia circolare.

Il sistema alimentare (produzione, trasformazione, logistica, distribuzione, consumo, gestione delle eccedenze e dei rifiuti) è pervasivo e rilevante dal punto di vista degli impatti ambientali, sociali ed economici. L’applicazione a tale sistema dei principi dell’economia circolare, minimizza l’estrazione dall’ambiente di risorse finite, riduce i tassi e i tempi di trasformazione della materia in rifiuti, promuove modalità di riciclaggio e upcycling di questi ultimi. Le città in questo senso sono contesti privilegiati, poiché concentrano in uno spazio limitato una grande quantità di rifiuti, vedono la presenza di organizzazioni, tecnologie e saperi che lavorano per garantire diminuzione, recupero o trasformazione di questi rifiuti, combinando avanzamento tecnologico con forme di innovazione sociale che danno origine a nuove economie e nuovi servizi; infine possono promuovere, direttamente o con azioni di advocacy, politiche integrate che governano il sistema del cibo nel suo complesso.

La ricerca analizza tre ambiti che hanno grande impatto sul sistema alimentare: i rifiuti urbani legati al sistema alimentare (in particolare frazione organica dei rifiuti solidi urbani, imballaggi in plastica e in carta-cartone), le eccedenze di cibo fresco destinabili all’alimentazione umana, i fanghi di depurazione delle acque reflue. Per ciascun argomento, fornisce un inquadramento generale (funzionale sia all’individuazione delle questioni principali, sia a soddisfare una finalità divulgativa) e un’analisi specifica sulla città di Milano, analizzando gli attori del sistema connessi con l’interesse pubblico e i principali meccanismi di interazione reciproca; valutando le dimensioni dei flussi fisici, il valore economico del sistema (principalmente per i rifiuti) e i suoi impatti ambientali; segnalando le innovazioni di prodotto e di processo più significative per dimensioni e per potenzialità di miglioramento in futuro. La ricerca è stata condotta intervistando 40 esperti appartenenti sia a soggetti chiave del territorio milanese (A2A Ambiente, AMSA, AMAT, SogeMi, Milano Ristorazione, Politecnico di Milano, CAP, MM, Ufficio Food Policy del Comune di Milano, Recup, Banco Alimentare), sia a  soggetti che operano anche a scala sovralocale (Biorepack, COREPLA, COMIECO, CIC, Assocarta, Assobioplastiche, Novamont), sia a soggetti che si occupano a vario titolo di economia circolare (Materia Rinnovabile, UNISG).

Nella sezione relativa ai rifiuti urbani, l’inquadramento generale del tema presenta l’importanza di una corretta raccolta differenziata (e le strategie per favorirla), in particolare al fine di migliorare i processi di riciclo del rifiuto umido (che portano alla produzione di compost, biogas e biometano) e di produrre nuovi prodotti a valore aggiunto.

A livello di dati si segnala come: la presenza nel rifiuto umido di materiale non compostabile (MNC) generi costi pari a 52 milioni di euro (costi diretti per la separazione del MNC e costi indiretti per lo smaltimento); le modalità di raccolta porta a porta facciano registrare una percentuale di MNC pari al 4,3%, mentre quelle a cassonetto stradale una percentuale pari al 10,1%;  il principale contaminante dell’umido resti il sacchetto di plastica tradizionale (nel quale è vietato conferire l’umido) che costituisce quasi il 27% del totale del MNC. Questi dati sono ancora più rilevanti se si pensa al ruolo della raccolta differenziata dell’umido (principale frazione raccolta) nel raggiungimento dei nuovi obiettivi di riciclo fissati a livello europeo (55% al 2025, 60% al 2030 e 65% al 2035).

La sezione prosegue analizzando: i processi di trattamento della frazione organica (digestione anaerobica e compostaggio) e alcune problematiche legate agli impianti (si segnala in particolare una carenza impiantistica pari a 1 milione di tonnellate, che diventeranno 2 milioni nel 2025, per colmare la quale sarebbe necessario un investimento di 2 miliardi di euro); le relative innovazioni di processo per superare le problematiche di cui sopra (investimenti nelle tecnologie di preselezione, processi di compostaggio ad hoc per gli scarti); le recenti innovazioni di prodotto che consentono di estrarre dal rifiuto umido prodotti a valore aggiunto maggiore rispetto a compost, biogas e biometano (mangimi, prodotti per alimentazione umana, biopesticidi, bioplastiche e biomateriali vari). Nella sezione vengono evidenziati: il grande valore ambientale del compost di qualità (attenuazione dei fenomeni di desertificazione, miglioramento delle caratteristiche fisiche dei terreni, apporto dei principali elementi fertilizzanti) a cui non corrisponde un altrettanto significativo valore di mercato (5-10 euro/tonnellata); la tendenza a spostare i processi di trattamento dell’umido verso la digestione anaerobica (spinta dagli incentivi al biometano) con conseguente diminuzione della produzione di compost.

La ricerca analizza anche i processi di raccolta e trattamento dei rifiuti da imballaggi e food service in plastica e carta, individuando i casi in cui è auspicabile la sostituzione dei prodotti tradizionali (i poliaccoppiati, gli imballaggi altamente inquinati da cibo) con analoghi prodotti in materiali compostabili che possano quindi essere conferiti insieme all’umido.

In questa sezione l’analisi sulla città di Milano vede la ricostruzione dei flussi e della geografia della gestione dei rifiuti urbani, affidata ad AMSA/A2A: Milano è la più grande città europea con il sistema di raccolta porta a porta e la quantità di rifiuto umido pro capite raccolta è tra le più alte registrate nelle capitali europee: nel 2019 il tasso di raccolta differenziata era al 61,8%. L’analisi  relativa a Milano prosegue: presentando le esperienze recenti più significative realizzate all’interno del perimetro urbano (il miglioramento della raccolta dell’umido nei mercati settimanali scoperti2500 tonnellate come target, con un risparmio di 420 tonnellate di CO2 – i progetti di mediazione linguistico culturale per migliorare la raccolta differenziata degli esercizi etnici di ristorazione con somministrazione); stimando fatturato, occupati ed emissioni evitate per singola frazione raccolta, dimostrando che un sistema circolare di gestione dei rifiuti implica fatturati maggiori, un più elevato impatto occupazionale e una diminuzione di emissioni di CO2: per esempio, considerando che la frazione organica del Comune di Milano ha raggiunto nel 2019 le 154.000 tonnellate, si possono stimare 230 unità lavorative, un fatturato di oltre 41 milioni di euro (includendo anche le numerose attività correlate al riciclo, ad esempio il supporto tecnico per la realizzazione e la progettazione di impianti, le attività per la valorizzazione e l’impiego del compost) e 32.000 tonnellate annue di emissioni di CO2 evitate. La sezione si conclude segnalando i punti più deboli del sistema milanese (carenza impiantistica per la frazione umida, destinazione del plasmix ad incenerimento).

 

Nella sezione relativa alla redistribuzione delle eccedenze di cibo fresco in ottica solidaristica, l’inquadramento generale del tema presenta il problema dello spreco alimentare, le motivazioni per le quali è diventato una priorità a livello mondiale, i volumi aggregati e gli impatti (ambientali, sociali, economici, culturali), i problemi definitori e di assenza di standard di misurazione condivisi (che rendono difficile un’azione di contrasto efficace) e alcune soluzioni innovative nella prevenzione e gestione delle eccedenze. L’analisi su Milano si concentra sull’esperienza del primo hub di quartiere (microdistretto veloce di redistribuzione delle eccedenze) che nel 2019 ha recuperato e distribuito 77 tonnellate di cibo edibile a 3.950 persone (di cui 1.480 minori), con un risparmio di 170-240 tonnellate di emissioni di CO2. Tale esperienza ha consentito di ovviare alla crisi del sistema di aiuti alimentari generatasi durante l’emergenza COVID (la maggior parte dei volontari che si occupano di redistribuzione delle eccedenze è costituita da soggetti a rischio perché anziani), permettendo al Comune, in collaborazione con altri soggetti, di organizzare “Milano Aiuta”, un sistema di 10 hub temporanei dislocati nelle zone periferiche della città per la consegna di generi alimentari ai soggetti fragili durante il lockdown. Vengono poi analizzate le esperienze di recupero nei mercati settimanali scoperti (54 tonnellate recuperate da Recup, 21 tonnellate di emissioni di CO2 evitate) e delle due società possedute dal Comune di Milano che si occupano di ristorazione collettiva (Milano Ristorazione, 59 tonnellate di pane e 79 tonnellate di frutta recuperati, per un totale di 83 tonnellate di emissioni di CO2 evitate) e dell’ortomercato (SogeMI, 1.500 tonnellate di ortofrutta recuperate, 590 tonnellate di emissioni di CO2 evitate). 

Nella sezione relativa ai fanghi di depurazione delle acque reflue, l’inquadramento generale del tema presenta: i processi di produzione e trattamento dei fanghi negli impianti di depurazione (i fanghi costituiscono il 90% degli scarti prodotti dal processo di depurazione delle acque); gli impieghi attuali di tali fanghi (ovvero riutilizzo in agricoltura per spandimento, produzione di compost e di ammendanti – l’utilizzo agricolo e la possibilità di estrarre dai fanghi elementi che tornano all’agricoltura, costituiscono i motivi per i quali la ricerca ha preso in considerazione il tema – produzione di biogas, incenerimento e smaltimento in discarica -. NB: a livello nazionale poco meno del 20% dei fanghi viene smaltito in discarica, per il restante 80% la destinazione agricola è l’opzione prevalente); i principali problemi derivanti dall’utilizzo dei fanghi in agricoltura (questioni normative, presenza di inquinanti – metalli pesanti, microinquinanti organici, farmaci e sostanze psicotrope, agenti patogeni – e quindi possibile contaminazione del suolo e delle acque superficiali e sotterranee, maleodorazioni).

L’aumento del volume dei fanghi, i costi di trattamento e smaltimento (che possono incidere fino al 60% del totale di costi della depurazione, sebbene il volume dei fanghi prodotti da un depuratore rappresenti solo una minima parte delle acque in ingresso) e le limitazioni allo smaltimento in discarica, inducono a focalizzarsi sulle possibilità di riutilizzo e recupero dei fanghi (i depuratori come presidi di circolarità): massimizzazione della produzione di biogas, recupero di materia (riutilizzo in agricoltura – diretto per spandimento o indiretto con produzione di compost – per i fanghi di alta qualità,  recupero di specifici prodotti – per esempio nutrienti come il fosforo – elemento fondamentale per l’agricoltura e in via di esaurimento – e l’azoto o chemicals organici come biopolimeri o cellulosa).

In questa sezione l’analisi territoriale si è concentrata sia su Milano che sulla Città Metropolitana. In particolare vengono esaminati: i processi produttivi, le quantità e i destini dei fanghi generati da Metropolitana Milanese (i due depuratori di Milano, 59.000 tonnellate di fanghi tal quale prodotti nel 2019 e destinati all’agricoltura o a vettore energetico, nessun ricorso allo smaltimento in discarica) e CAP Holding (i 40 depuratori della Città Metropolitana, 59.000 tonnellate di fanghi prodotti nel 2018 destinati all’agricoltura – anche con produzione di fertilizzanti – e a vettore energetico, con ricorso marginale allo smaltimento in discarica); le innovazioni in termini di recupero di materia ed energia e le tendenze future: per MM la ricerca di soluzioni tecnologiche che consentano di inserire un processo di digestione anaerobica nella linea fanghi di entrambi i depuratori senza erigere cupole, la sperimentazione della produzione di fertilizzanti in linea nel depuratore di Nosedo e la sperimentazione di modalità diverse di combustione anche per il recupero di fosforo dalle ceneri; per CAP la completa uscita dallo smaltimento in discarica e dallo spandimento in agricoltura, tramite conferimento del 25% dei fanghi (quelli «alta qualità») in agricoltura come fertilizzanti, riduzione del volume dei fanghi attraverso la produzione di biogas (e biometano) e incenerimento per un recupero di fosforo dalle ceneri.

Master Cibo e Società 2020

Master Cibo e Società 2020

22 Febbraio 2020

Economia e Sostenibilità, insieme all’ateneo di Milano-Bicocca, organizza la seconda edizione del  master Cibo e Società, mettendo a disposizione il know-how sviluppato in questi anni principalmente attorno alle Urban Food Policy, con l’obiettivo di formare specialisti capaci di ideare e gestire progetti innovativi nel settore della distribuzione e del consumo alimentare.

Per gestire la sostenibilità dei sistemi alimentari, la globalizzazione dei mercati del food e il fenomeno di urbanizzazione c’è infatti bisogno di nuovi strumenti e conoscenze integrate negli enti pubblici e privati chiamati ad elaborare soluzioni a problemi ed esigenze puntuali, così come a promuovere nuovi orientamenti nella relazione tra consumatore e sistemi del cibo.

Questo nuovo master è una opportunità, unica nel panorama italiano, per accostarsi attraverso il cibo all’antropologia, la politica, l’economia, il diritto, la sociologia, la storia e per formare specialisti di tutta la filiera agro-alimentare.

Un punto di forza è la straordinaria rete di partner per il placement, ciascuno portatore di solide esperienze imprenditoriali, istituzionali e di impresa sociale.

Master Cibo e Società

Master Cibo e Società

19 Settembre 2018

 

Economia e Sostenibilità, insieme all’ateneo di Milano-Bicocca, organizza il  master Cibo e Società, mettendo a disposizione il know-how sviluppato in questi anni principalmente attorno alle Urban Food Policy, con l’obiettivo di formare specialisti capaci di ideare e gestire progetti innovativi nel settore della distribuzione e del consumo alimentare.

Per gestire la sostenibilità dei sistemi alimentari, la globalizzazione dei mercati del food e il fenomeno di urbanizzazione c’è infatti bisogno di nuovi strumenti e conoscenze integrate negli enti pubblici e privati chiamati ad elaborare soluzioni a problemi ed esigenze puntuali, così come a promuovere nuovi orientamenti nella relazione tra consumatore e sistemi del cibo.

Questo nuovo master è una opportunità, unica nel panorama italiano, per accostarsi attraverso il cibo all’antropologia, la politica, l’economia, il diritto, la sociologia, la storia e per formare specialisti di tutta la filiera agro-alimentare.

Un punto di forza è la strordinaria rete di partner per il placement, ciascuno portatore di solide esperienze imprenditoriali, istituzionali e di impresa sociale.

Politiche alimentari urbane per città sostenibili

© Terence Eduarte, 2016

Politiche alimentari urbane per città sostenibili

9 Gennaio 2017

© Terence Eduarte, 2016
© Terence Eduarte, 2016
 
In questo articolo ci occupiamo dell’urgenza per una città di dotarsi di una politica alimentare, degli strumenti utili per attuarla e di alcune modalità di applicazione nel mondo. Il sistema alimentare di una città si presenta come specchio di diverse problematiche, strettamente correlate con gli aspetti della vita quotidiana dei cittadini – organizzati o singoli – con le politiche messe in atto dai soggetti privati, con le iniziative del terzo settore e con le competenze e gli ambiti di intervento del governo locale. Alcuni esempi di tali problematiche sono: il benessere, quindi le relazioni del cibo con la salute e gli stili di vita; l’educazione, ovvero lo sviluppo della consapevolezza relativamente al tema dell’alimentarsi; o ancora l’ambiente e l’agroecosistema, dunque le implicazioni che il ciclo alimentare ha con l’aria, l’acqua, il suolo, le interazioni con il territorio e il paesaggio; la finanza, dunque gli investimenti e i meccanismi fiscali legati al sistema alimentare. Risulta evidente che per trattare queste problematiche non basta pensare ad interventi settoriali che coinvolgano pochi attori o addirittura la sola pubblica amministrazione; serve piuttosto una strategia, una politica alimentare urbana (che nei contesti anglosassoni viene abitualmente definita come Food Policy o Food Strategy), che si occupi di portare il sistema alimentare della città verso una situazione di maggiore sostenibilità, decidendo le modalità con cui una comunità coltiva il cibo, lo consuma, lo studia, ne discute, ne legifera. Una politica alimentare urbana deve esplicitare una visione (quanto più possibile condivisa), definire gli obiettivi che concorrono a concretizzarla, dotarsi di strumenti per realizzare gli obiettivi definiti e misurarne la realizzazione. Si tratta di una forma di politica relativamente nuova, di cui un Ente Locale si dota volontariamente al fine di mettere a sistema tutte le attività legate al cibo promosse dai diversi attori della città; per questo, alle rappresentanze istituzionali esistenti che si occupano tendenzialmente di temi di settore, spesso si affiancano i Consigli del Cibo (Food Council), strumenti importanti per definire e sviluppare una politica alimentare. Pur variando sensibilmente a seconda delle specificità locali, in generale i Consigli del Cibo sono costituiti da gruppi di attori coinvolti a vario titolo nel sistema alimentare (soggetti della filiera, consumatori, associazioni e terzo settore, soggetti istituzionali). Questi attori incrociano competenze e interessi – anche molto diversi tra loro – con lo scopo di esaminare il funzionamento del sistema alimentare (dal livello locale a quello regionale e statale) per indirizzarlo verso una condizione di maggiore sostenibilità economica, sociale e ambientale. Per portare avanti una politica alimentare non è obbligatorio creare un Consiglio del Cibo, ma in molte città del mondo la formalizzazione di queste strutture è indicata come uno degli obiettivi specifici del processo di costruzione della politica alimentare; questo sia per questioni di efficienza dei processi – anticipare i conflitti tramite l’apertura di dialoghi pubblici fino dalle fasi di impostazione preliminare delle politiche – sia per questioni di efficacia delle azioni – includere più punti di vista per facilitare l’assunzione di co-responsabilità da parte di tutti. Le declinazioni che una politica alimentare assume in diversi contesti urbani nel mondo, sono interessanti per capire le diverse urgenze. In particolare riportiamo alcuni esempi relativamente a quattro tematiche – sprechi, accessibilità, produzione e socialità – che ci paiono interessanti anche per il contesto italiano.

Effetti climalteranti del trasporto agroalimentare

© Anna-Kaisa Jormanainen

Gli effetti climalteranti del trasporto agroalimentare variano in funzione del contesto territoriale e dell’organizzazione della filiera. Solo una valutazione complessiva e simultanea dei trade-off – quelli tra sostenibilità ambientale delle componenti produttive e trasportistiche di una filiera e quelli tra chilometri percorsi dalla merce ed efficienza del sistema logistico – permette l’individuazione delle soluzioni più sostenibili.

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Efficienza energetica della filiera alimentare: scenari a confronto

© Steve Scott, Sushi Train

La ristorazione scolastica pubblica milanese, con i suoi 80.000 pasti giornalieri, influenza significativamente i flussi di energia e materia all’interno di un territorio. Un’analisi degli impatti ambientali prodotti durante il ciclo di vita degli alimenti utilizzati, può influenzare in modo significativo tali flussi e portare alla definizione di scenari ottimali di produzione, trasformazione e consumo a scala locale.

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Le città e l’economia circolare

Le città e l’economia circolare

30 Dicembre 2016

 

Scenari e questioni rilevanti
Le città contemporanee sono sistemi in crescita, sia in dimensione, sia in complessità. Secondo le previsioni dell’ONU nel 2050 il 66% della popolazione umana vivrà nelle città (oggi la percentuale è vicina al 55%), ed in molte area del pianeta la crescita riguarderà soprattutto i centri urbani vicini ai mari.
Il tema se da un punto di vista quantitativo tocca in particolare le metropoli del Sud del mondo, da un punto di vista qualitativo riguarda le città di ogni latitudine: il mondo diviene più interrelato, differenziato, interdipendente e le città sono i luoghi dove questi flussi si incrociano ad alta velocità, producendo questioni sempre nuove.
Questa complessità crescente richiede politiche adeguate, capaci di pianificazione a medio-lungo termine in grado di affrontare in modo sistemico i problemi e di valorizzare le opportunità. Clima e ambiente, diseguaglianze sociali e migrazioni sono gli ambiti in cui negli ultimi anni le grandi città europee stanno ragionando relativamente al proprio ruolo, arrivando in alcuni casi a chiedere agli stati nazionali maggiore autonomia nella gestione delle relative politiche.
Fra le questioni sempre più rilevanti per il futuro delle città si collocano sia la dipendenza dall’esterno per ciò che attiene alcuni flussi e stock strategici (energia, cibo, acqua, suolo), sia la crescita continua dei rifiuti prodotti, anch’essi fonte di dipendenza da fattori esterni per il loro smaltimento, oltre che causa di costi e inquinamento.

L’economia circolare
A questi due temi/problemi offre una risposta sistemica l’economia circolare urbana. L’economia circolare è una modalità di organizzazione della produzione che si basa sulla trasformazione degli scarti in nuova materia prima. Questa modalità si inserisce all’interno del più ampio movimento di transizione dell’economia globale verso un modello ecologicamente e socialmente sostenibile. Se nel campo dell’energia le fonti rinnovabili (solare ed eolico in particolare) appaiono la risposta più adeguata per coniugare riduzione dei danni ecologici e innovazione economica, nel campo della materia è la cosiddetta “economia circolare” lo strumento per produrre gli stessi impatti. La progettazione di oggetti e apparecchi destinati a non divenire rifiuti, l’utilizzo degli scarti come materia prima per nuovi cicli, la riduzione della quantità di materia per unità di ricchezza prodotta (PIL) sono tutte pratiche che contribuiscono ad evitare che la materia disponibile si trasformi in scarti ambientalmente inquinanti ed economicamente inutilizzabili.

Le applicazioni urbane
Trasferito al campo urbano il principio dell’economia circolare (trasformazione degli scarti in nuova materia prima) appare sia una risposta adeguata ai due problemi segnalati in precedenza (dipendenza delle città da flussi esterni, produzione crescente di rifiuti) sia un veicolo per sviluppare nuove forme di lavoro all’interno del perimetro urbano. In generale i settori di applicazione dell’economia circolare possono essere diversi, mentre in ambito cittadino i due più interessanti appaiono la filiera delle costruzioni e la filiera del cibo. Nel caso delle costruzioni il riutilizzo di materiali provenienti da edifici precedenti riduce notevolmente il bisogno di importare nuovi materiali, abbassa la produzione di CO2 ed offre nuovi posti di lavoro in un settore che conosce una difficoltà seria negli ultimi anni. Perché la circolarità dei materiali possa trovare effettiva applicazione occorrono una serie di pre-condizioni: un disegno intelligente dei nuovi edifici, procedure efficienti per la separazione dei materiali provenienti dalle demolizioni, facilitazioni e stimoli da parte degli enti pubblici.

Cibo e circolarità urbana
Nel caso del cibo le basi della filiera circolare si appoggiano sulla vasta produzione di materiali organici che all’interno di una città provengono non solo dalle imprese produttrici e distributrici, ma anche dai mercati alimentari pubblici e privati, dai piccoli esercizi e dalla grande platea dei cittadini. La massa indistinta dei rifiuti organici può essere trattata in maniera differenziata per produrre una molteplicità di effetti: gli scarti degradati possono divenire sia fonti di energia, sia e soprattutto nuovo cibo o nuova materia prima (se separate in anticipo, alcune parti dei rifiuti organici possono essere la base per produrre nuovi alimenti, altre per produrre carta, collanti, materie plastiche); le grandi eccedenze dei mercati alimentari, prima di divenire rifiuti possono essere trasformati in conserve ( a seconda dell’alimento: marmellate, succhi, conserve sotto sale…) Queste ed altre operazioni offrono lavoro a nuove imprese, rendono la città più autonoma dall’esterno, ne riducono i rifiuti, ne sviluppano le economie e la rendono più sostenibile e competitiva.

Upcycling del cibo: impatti economici, ambientali, occupazionali
I processi di upcycling dei rifiuti organici possono essere suddivisi in diverse categorie in funzione di quanto valore aggiunto producono, quali esiti hanno sull’ambiente e quali sull’occupazione.
Il valore aggiunto economicamente più alto è generato da quelle operazioni che trasformano un rifiuto (ad esempio il pane secco) in un alimento o bevanda ad alto potenziale di mercato (ad esempio la birra). Questi casi (ai quali se ne possono aggiungere altri, tra cui la trasformazione degli scarti di caffè in funghi) producono tanto una forte crescita di valore economico tra il rifiuto iniziale e il prodotto finale, quanto uno stimolo all’innovazione e all’occupazione. All’opposto la trasformazione dei rifiuti in energia (tramite combustione) aggiunge ben poco valore economico, ha impatti ambientali negativi, produce meno innovazione, meno imprenditorialità ed occupazione. In un’area intermedia i cui valori aggiunti sono ancora da valutare si collocano infine altri utilizzi: rifiuti alimentari specifici che, in eventuale combinazione con ulteriori elementi, si trasformano in materiali altri (oltre ai citati carta, colle ad alta tenuta, in prospettiva anche bioplastiche, pneumatici etc.)

Le città di mare: un potenziale di circolarità in più
Attualmente le città e i territori situati in prossimità delle coste vivono a volte una situazione di minore coesione territoriale rispetto ai centri urbani dell’entroterra. Una delle difficoltà maggiore è dovuta alla scarsa circolarità del rapporto tra economie costiere ed economie delle aree agricole. Le esternalità prodotte dalle prime possono trasformarsi in problemi per le seconde: un’eccessiva pressione del turismo costiero può consumare terreno agricolo, mentre quantità e qualità dei rifiuti delle economie rurali possono influenzare negativamente le componenti delle economie del mare (turismo, acquacoltura, pesca). Una pianificazione strategica può rendere circolari i flussi e trasformare queste fragilità in risorse, favorendo uno scambio virtuoso tra gli ecosistemi: le eccedenze dei mercati ittici urbani, così come quelle dei mercati ortofrutticoli, possono essere trasformati in mangimi (oltre che in conserve ad alto valore aggiunto); le ricerche sulle alghe mostrano come possano essere usate a vantaggio del sistema urbano: strumento per la depurazione degli scarichi urbani e rurali, materiale grezzo da combinare con le conchiglie per realizzare ottime pavimentazioni e strati isolanti.

La pianificazione
Per rendere circolari le filiere urbane del cibo è necessario un lavoro preventivo di analisi e pianificazione. Occorre innanzitutto conoscere la realtà esistente: le filiere, le strutture, i meccanismi di interazione tra produttori, distributori, esercenti, pubbliche amministrazioni. Per farlo sono necessarie ricerche urbanistiche, economiche e sociali, completate da interviste con le diverse tipologie di soggetti chiave. La fotografia che emerge costituisce la base per una strategia di intervento urbana che ridisegni le filiere lineari trasformandole in filiere circolari agendo sulle normative, le strutture e infrastrutture urbane, lo stimolo a nuove imprese, la sensibilizzazione e le facilitazioni per i cittadini e gli esercenti; un processo di trasformazione che passa anche attraverso la riqualificazione di spazi e strutture esistenti per dedicarli a incubatori di nuove imprese e a luoghi di raccolta materiali, oltre che a hub per organizzare attività di sensibilizzazione della cittadinanza. Un intervento sistemico e realistico, adatto agli obiettivi dell’economia circolare.

La complessità di un sistema alimentare

© Mike McQuade, editorial illustration for Bon Appétit

La complessità di un sistema alimentare

28 Dicembre 2016

© Mike McQuade, editorial illustration for Bon Appétit
© Mike McQuade, editorial illustration for Bon Appétit
 

In questo articolo spiegheremo perché quando si parla di alimentazione sia necessario riferirsi ad un sistema e perché di conseguenza non sia sufficiente rendere sostenibili singole fasi o componenti del sistema alimentare, ma sia necessario considerarlo in tutta la sua complessità. Questo approccio sistemico è l’unico che ci permetta di rispondere a domande apparentemente molto semplici, come per esempio chi decide come e di cosa ci alimentiamo, quali conseguenze hanno queste decisioni sul territorio in cui viviamo o su territori molto distanti da noi, o ancora se un’alimentazione salutare per noi è salutare anche per il pianeta e per le persone che producono il cibo che mangiamo.

Le componenti di un sistema alimentare
Una modalità per schematizzare e capire di cosa si compone il sistema alimentare è quella che fa riferimento al ciclo alimentare e al contesto di riferimento. Il ciclo alimentare comprende tutti i passaggi coinvolti nella produzione e nel consumo di cibo, che possono essere raggruppati in 6 attività o fasi fondamentali: produzione, trasformazione, logistica, distribuzione, consumo e gestione degli scarti e dei rifiuti. Analizzare il ciclo alimentare significa analizzare tipologie e quantitativi di produzioni agricole, processi di trasformazione dell’industria alimentare, sistemi di confezionamento, stoccaggio e trasporto, modalità di vendita, abitudini di consumo, quantità e qualità degli scarti prodotti da tutte le componenti del ciclo stesso, metodi di recupero e gestione di questi scarti. Il contesto di riferimento è costituito invece dalle condizioni sociali, economiche, culturali e ambientali in cui il ciclo stesso si esplica: l’accesso ad un’alimentazione adeguata, gli aspetti demografici generali, le appartenenze etniche; l’innovazione e la ricerca, la legalità, le condizioni di lavoro, le regolamentazioni; la consapevolezza e l’educazione delle persone, le scelte alimentari e la salute; l’agroecosistema e la biodiversità, le condizioni climatiche.

La stretta relazione tra ciclo alimentare e contesto di riferimento
Ciclo alimentare e contesto sono interdipendenti, si influenzano e si modificano a vicenda. Il contesto fornisce risorse, materiali e immateriali, rinnovabili e non rinnovabili, al ciclo alimentare: materie prime, suolo, biodiversità, acqua, energia, risorse ittiche, servizi ecosistemici, forza lavoro, regolamentazioni, capitali, tecnologie, innovazioni. ll ciclo alimentare utilizza tali risorse per produrre cibo in maniera più o meno efficiente e le modifica, producendo degli impatti, sia su queste stesse risorse sia su altre componenti del sistema. Questo si verifica sia per le risorse ambientali che per le altre: un utilizzo intensivo del suolo ne causa l’impoverimento, ma anche una minor capacità di sequestrare CO2 con conseguente maggiore emissione di gas climalteranti in atmosfera; l’impiego vessatorio della forza lavoro o la gestione speculativa dei capitali producono disoccupazione, discriminazioni, divari sociali sempre più ampi ed illegalità.

Diversi livelli di approfondimento delle componenti del sistema alimentare
Nelle analisi sui sistemi alimentari, alcune delle componenti citate vengono studiate in termini approfonditi, tipicamente quelle legate al ciclo alimentare e ai suoi impatti ambientali. Numerosi studi dimostrano le conseguenze di una gestione non sostenibile delle risorse naturali utilizzate ad una velocità maggiore della loro capacità di rigenerazione con loro conseguente riduzione, così come i fenomeni di squilibrio del sistema derivanti da impatti superiori alla capacità di assorbimento degli stessi da parte di componenti ambientali. Esiste infatti una consapevolezza diffusa sull’importanza di considerare in maniera più attenta sia i tempi necessari alla rigenerazione delle risorse rinnovabili, sia la resilienza delle componenti ambientali al fine di ridurre esternalità negative quali degrado del suolo, perdita di biodiversità, emissione di gas serra, inquinamento delle acque. Minor consapevolezza esiste su altri aspetti. Si pensi per esempio alla carenza di dati disponibili relativamente ai flussi di cibo che attraversano una città: è molto difficile sapere da dove provenga tutto il cibo consumato in città o al contrario dove venga venduto e consumato tutto quello prodotto in città. I dati ci sono ma sono frammentati e spesso gelosamente custoditi da attori che, secondo la loro visione, sarebbero danneggiati da una “eccessiva” trasparenza.

La complessità di un sistema alimentare
Studiare il sistema alimentare di un territorio è molto complesso, poiché tanto il ciclo alimentare quanto il contesto di riferimento possono comprendere dimensioni spaziali molto vaste e un’enorme quantità di attori diversi, che travalicano i confini del territorio che si vuole analizzare: in particolare è il caso delle città – organismi in continua crescita, che spesso sperimentano situazioni di insicurezza alimentare – che soddisfano il proprio fabbisogno acquistando il cibo sia da produttori locali sia da mercati nazionali o internazionali. Il sistema alimentare mette allora in connessione le città sia con il territorio agricolo circostante sia con quello disponibile in altre parti del mondo. Questo pensiero è per esempio alla base dell’approccio City Region Food System (CRFS) adottato da FAO e RUAF e sintetizzato nel documento “A vision for a City Region Food System – Building sustainable and resilient city regions” (link al documento): in tale approccio il sistema alimentare ha la funzione di sottolineare questa connessione al fine di affrontare questioni di rilevanza internazionale (i diritti, il cambiamento climatico, la resilienza) in modo più pratico e focalizzato.

Conclusione
Le riflessioni fatte sul sistema alimentare aprono quindi una serie di questioni: come è possibile conciliare la scarsa disponibilità economica di un numero di famiglie sempre crescente con la possibilità di mangiare cibo sano? Esistono stili alimentari allo stesso tempo salutari e sostenibili dal punto di vista ambientale? Si può pensare di difendere il territorio agricolo rimasto all’interno dei contesti urbani senza sostenere i prodotti che da questo territorio arrivano? L’integrazione di persone provenienti da territori molto diversi può non tenere conto anche delle specifiche esigenze alimentari di queste persone? Obiettivo del sistema alimentare dovrebbe essere quello non solo di produrre cibo, ma sicurezza alimentare (ovvero cibo sicuro, sufficiente, accessibile e adeguato culturalmente), sostentamento e adeguate condizioni di lavoro per lavoratori impiegati nel ciclo alimentare (in qualunque parte del mondo si trovino), occasioni di fruizione del paesaggio, inserimento lavorativo di persone svantaggiate, integrazione e contaminazione tra culture diverse, consapevolezza di ciò che si mangia, salute e benessere delle persone, limitati impatti ambientali. Questo è possibile solo se l’intero sistema alimentare lavora in maniera sostenibile, limitando le esternalità negative e massimizzando quelle positive.

La logistica agroalimentare in Lombardia

© Jun Cen

La logistica agroalimentare della città di Milano può essere studiata solo in relazione ad un’area più ampia chiamata Regione Logistica Milanese, che comprende le province di Milano, Lodi, Piacenza, Pavia, Novara, Varese, Lecco, Como e Bergamo. Si tratta del crocevia più importante del sistema italiano delle relazioni economiche internazionali e comprende il 30% del fatturato italiano della logistica.

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