Bergamo: analisi del sistema alimentare

Che cos’è il sistema del cibo di una città e perché bisogna studiarlo? E perché distinguere ciò che del sistema del cibo si sviluppa in una città come Bergamo da tutto ciò che succede nel mondo?

Il report redatto da EStà, grazie al contributo del Comune e degli attori locali intervistati, cerca di rispondere a queste domande di fondo, alle quali è connessa una serie di questioni e problemi che riguardano le diverse fasi del ciclo alimentare che sono affrontati quotidianamente da molti attori della città: la produzione locale di cibo, i canali di approvvigionamento più utilizzati dai cittadini, l’economia generata dal sistema alimentare, il cibo sprecato e quello recuperato per finalità solidaristiche, l’efficacia dell’educazione alimentare, l’attrattività di un territorio generata dal cibo.

Altre questioni sono in relazione, direttamente o indirettamente, con il modo con cui la città nel suo complesso vive il mondo del cibo. Si pensi ad esempio ai diversi impatti ambientali creati dal modo di produrre, trasportare, distribuire, consumare il cibo e smaltirne gli scarti (o lo spreco) in termini di uso del suolo e dell’acqua, di consumi energetici, di impatti sulla qualità dell’aria e sul clima. Si tratta solo di alcuni esempi che danno l’idea di quanto il cibo impatti su una serie molto ampia di attività in cui sono coinvolte non solo imprese e istituzioni, ma anche l’intera cittadinanza.

L’obiettivo principale di questo report è dunque quello di ricostruire un’immagine complessiva del sistema urbano del cibo. Ovvero intende descrivere il contesto socio-economico ed ambientale di riferimento e delle diverse fasi della filiera del cibo: produzione, trasformazione, logistica, distribuzione, consumo e gestione delle eccedenze e dei rifiuti.

Global minds

© AQ studio (Adam Quest), 2014

Global minds

5 Gennaio 2017

© AQ studio (Adam Quest), 2014
© AQ studio (Adam Quest), 2014
 
La realtà in cui siamo immersi è complessa e fonde in un tutto indistinto elementi temporali, spaziali, materiali, cromatici, quantitativi, acustici, olfattivi… Per renderla più comprensibile la mente umana la analizza, ossia la separa in categorie più circoscritte. Questo procedimento è alla base di molti concetti che gli esseri umani usano quotidianamente, quali i colori, i numeri, le grandezze etc. Lo stesso procedimento è all’origine delle cosiddette “discipline” con molte delle quali ciascuno tra noi familiarizza a partire dalla scuola e dall’insegnamento separato in ore di “storia” , di “geografia” , di “letteratura”, di “economia” etc. Le categorie sono pertanto indispensabili per rendere la realtà comprensibile alle nostre menti, ma la loro definizione e il loro uso implicano un’analisi critica intorno a tre grosse questioni. La prima è la necessità di riconoscerne il carattere non oggettivo. Le discipline si sforzano di trovare una propria base condivisa (l’epistemologia), ma si tratta di uno sforzo in continuo aggiornamento, non di un risultato. Nella categoria “colori” vi sono popoli che chiamano “bianco” quello che altri popoli suddividono in decine di altre categorie. Nella categoria “tempi verbali” vi sono popoli che usano una o due forme di tempo presente, altri che ne usano decine. La seconda questione, è collegata con la prima. Ogni cultura sviluppa alcune categorie di pensiero e le radica al punto tale che i singoli perdono di vista il carattere di costruzione artificiale e tendono a considerarle naturali. Un esempio tra tutti è la tendenza disgiuntiva del nostro modo di ragionare, tendenza radicatasi nel cosiddetto “Occidente” a partire dagli ultimi tre-quattro secoli. Dalla diffusione del razionalismo cartesiano in poi le menti di chi cresce in questa parte del mondo tendono automaticamente a pensare in modo “separante”. L’aut/aut, ossia il pensare che una cosa o è in un modo o altrimenti deve essere in un altro, è un tratto del nostro modo di ragionare. In realtà molto spesso caratteristiche contraddittorie o addirittura opposte possono convivere nello stesso oggetto (o soggetto), così come insegnano i grandi pensatori orientali: ciascuno tra noi può essere razionale ed emotivo, affettuoso o collerico in funzione della specifica situazione in cui si trova. Il terzo problema è il più grave ed è a sua volta collegato con il precedente. Se la nostra mente per conoscere la realtà ha bisogno di separarla in categorie, la realtà nella sua essenza è un tutto unico e inseparabile. Pertanto, dopo aver affrontato il momento dell’analisi, la nostra mente dovrebbe concludere il processo cognitivo con il momento della sintesi, attraverso il quale ridare alla realtà il suo aspetto effettivo. Ma questo solitamente non avviene. Poche persone vengono educate a pensare sia in modo analitico, sia in modo sintetico, a separare il locale dal globale, le discipline le une dalle altre, le cause dagli effetti, e poi a ricondurre a sintesi il globale, l’interdisciplinare, le retroazioni.   Il rinforzo e la penetrazione capillare del modello analitico (separatore) è stato al contempo effetto e causa del tipo di struttura sociale ed economica che si è diffusa durante i decenni dell’industrializzazione di massa. Negli anni del fordismo e del taylorismo l’organizzazione del lavoro era fortemente compartimentata: la differenza tra tempi di lavoro e tempi di vita era netta, i ruoli lavorativi rigidi e tendenzialmente invariabili, la specializzazione prevaleva sia nelle strutture sociali (la famiglia in primis), sia nelle strutture produttive. La crisi del fordismo ha modificato profondamente l’organizzazione della realtà, e il nostro modo di pensarla ha risentito dell’avvento dei mezzi digitali che permettendo l’accesso immediato a un’infinità di dati e di contatti, suggerisce un modo di pensare non lineare e chiuso, ma ipertestuale, multimediale e aperto. In questo nuovo contesto l’idea di global mind, già promossa da Edgar Morin diversi decenni fa, trova un terreno più fertile. Essere una mente globale oggi non significa solo avere conoscenze in tanti campi disciplinari diversi, significa soprattutto essere in grado di connetterle in una lettura sintetica della realtà, che osservi i fenomeni da tanti punti di vista, ma sia contemporaneamente in grado di restituire in modo organizzato il prisma che ha composto. Il valore di queste letture sintetiche è molto maggiore della somma di tante letture separate; una mente globale agisce sulle inefficienze della separazione disciplinare, traducendo i linguaggi e i sistemi di codificazione specifici delle differenti discipline, in una lettura dove i salti sono appianati e le interconnessioni rese evidenti. Questo permette ad una mente globale di essere molto più efficiente nella progettazione di nuove idee, nuove attività e nella visione di scenari futuri. Sia la progettazione, sia la visione di scenari per loro natura sono attività chiamate a confrontarsi con una quantità di variabili appartenenti a campi diversi; tradurne gli iati in ponti e armonizzare problemi eterogenei verso soluzioni logicamente orientate, è uno dei tipi di lavoro in cui le global minds possono portare maggiore valore aggiunto. La capacità di muoversi in campi differenti aumenta inoltre la capacità di innovare e di rispondere creativamente ai problemi. Il controllo di un maggior numero di attrezzi mentali e l’abitudine a ricombinarli dota infatti le global minds di un ventaglio di possibilità superiore a menti abituate a ragionare in modo strettamente disciplinare. Spesso le riflessioni provenienti dal pensiero ambientalista sono un nutrimento per le global minds. La necessità di affrontare problemi complessi e non scomponibili in laboratorio come quelli posti dall’analisi degli ecosistemi è un’ottima palestra. Non a caso l’ONU ha creato il gruppo multidisciplinare dell’IPCC per studiare il problema dei cambiamenti climatici. Non a caso “innovazione eco-sistemica” può essere la definizione per uno dei campi d’azione privilegiati per una mente globale.

Una striscia di terra nuova

© Noa Snir, ComfortZone

Una striscia di terra nuova

4 Luglio 2013

© Noa Snir, ComfortZone
© Noa Snir, ComfortZone
 

L’interesse per l’imprenditorialità sociale e l’impatto positivo che essa può avere sulla società attirano l’attenzione di giovani studenti delle scuole di economia, curiosità che le università assecondano creando programmi di social business applicati a problemi sociali globali.

L’Università di Cape Town propone agli studenti MBA un impegno sul campo per lavorare sui piani industriali, sulle strategie e sui modelli finanziari delle imprese sociali sudafricane.

Reel Gardening è una start-up che ha concepito nuovi prodotti agronomici, di facile utilizzo ed economici, che rendono più accessibile l’autoproduzione di cibo. Lanciata nel 2010, la società di Johannesburg produce strisce di carta biodegradabile contenente semi, sostanze nutrienti e fertilizzanti organici. Le bobine seminate, che sono vendute ad un dollaro al metro, possono essere piantate nel terreno o collocate in un giornale o in uno shopper con un po’ di terriccio in caso di mancanza di terreno coltivabile. Tutto ciò che serve è la luce del sole e la giusta quantità di acqua.

Reel Gardening

Le strisce di carta usano l’80 per cento di acqua in meno rispetto ai convenzionali mezzi di giardinaggio in quanto trattengono la maggior parte dell’acqua e sono indicati proprio in quelle zone di difficile irrigazione. Semplici istruzioni, comprensibili anche da chi non sa leggere, sono stampate sulla carta con inchiostri naturali. Ogni nastro ha un diverso colore: indica la profondità di semina, eliminando così la necessità di comprendere aspetti più tecnici come la rotazione delle colture. Le bobine contengono diverse selezioni di semi a seconda della stagione e alternano ortaggi biologici e piante con fiori specifici per attirare gli impollinatori o scoraggiare i parassiti. Composizioni di nastri possono essere utilizzate per attrezzare parcelle di 100 metri quadri, abbassando il rischio di non germinazione per cause naturali come vento o uccelli granivori.

Reel Gardening e l’università di Cape Town stanno lavorando a numerosi progetti comunitari nelle zone povere, dove vi sono carenza di acqua e bassi livelli di istruzione. Oltre a coltivare il proprio cibo, le comunità possono aumentare il proprio reddito con la vendita dei prodotti in eccesso.

Un fenomeno sociale associato alla diffusione delle bobine di semi è il rapido sviluppo di community gardens nelle township, gli ex distretti suburbani creati durante il periodo dalla segregazione razziale, a Cape Town e Johannesburg e di orti scolastici per invogliare le giovani generazioni ad occuparsi della sovranità alimentare in zone in cui l’acqua scarseggia.

Anche in Italia il terreno è fertile per l’innovazione sociale: le business school italiane hanno coinvolto i propri studenti sul tema dell’innovazione sociale concentrandosi sulle necessità di policy making, mentre l’iniziativa Social Innovation Agenda dell’ex ministro Profumo promuove l’innovazione sociale dal basso, quella che nasce tra i più giovani.

La scelta inglese: innovare per il benessere sociale

© Harriet Lee Merrion, Parkinson's Drug without the Side Effects

La scelta inglese: innovare per il benessere sociale

20 Giugno 2013

© Harriet Lee Merrion, Parkinson's Drug without the Side Effects
© Harriet Lee Merrion, Parkinson's Drug without the Side Effects
 

In passato raggiungere il supermercato Sainsbury’s nel quartiere londinese di Islington senza un’auto privata non era semplice. Oggi è invece possibile per tutti: è, infatti, raggiunto dalla linea 812, un community bus il cui percorso è stato disegnato dagli utilizzatori. Concepito in base alle esigenze di anziani e disabili, ma a disposizione di tutti, il percorso 812 collega ai principali servizi: negozi, studi medici e i più importanti centri diurni.
La linea 812 non è semplicemente un’ancora di salvezza per i suoi utenti: è diventata un caso di miglioramento del servizio pubblico attraverso l’impatto sociale. Hackney Community Transport (HCT) è la più importante impresa sociale britannica nell’ambito del trasporti e gestisce i classici double decker rossi di Londra. È nata sui bisogni del suo quartiere, sviluppando il trasporto di alunni, anziani e disabili. HCT ha inserito nel contratto di servizio pubblico stipulato con il colosso Transport for London il concetto di outcome (risultato) superando quello di output (prodotto): la capacità, cioè, di generare nuovi servizi di impatto sociale partendo dagli stessi input (risorse) previsti dall’appalto. Il significato è chiaro: se attraverso l’esercizio del trasporto urbano è possibile dimostrare di aver ottenuto un miglioramento sociale ed economico della spesa pubblica in un settore sociale, questo outcome è un profitto sociale. Come tale può essere contrattualizzato, misurato e in seguito distribuito tra il contractor che l’ha generato e l’ente pubblico che ne ha beneficiato, alla stregua di un profitto economico.

 

Social Value Act

È inoltre possibile ottimizzare gli input dell’appalto, gli autobus, gli autisti, per produrre nuovi servizi nel mercato privato: questi ricavi extra andranno ad abbassare la spesa pubblica legata all’appalto stesso. La Gran Bretagna ha introdotto nel proprio ordinamento il Social Value Act, entrato in vigore alla fine di gennaio 2013, con cui il governo richiede a tutti gli enti pubblici di includere, all’interno dei contratti di servizio pubblico, il benessere economico, sociale e ambientale di una comunità locale. Come è avvenuto per l’Italia con l’avvio della cooperazione sociale, anche in Uk uno dei campi di applicazione più diffuso sarà quello dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e fragili (persone con disabilità, con problemi mentali, con precedenti penali). Riqualificare la spesa pubblica in modo più saggio, includendo il concetto di “profitto sociale” nell’erogazione di servizi pubblici, è quanto mai opportuno in questo periodo di budget ridotti. Con il Social Value Act gli enti locali mantengono la libertà di cercare fornitori di servizi, con l’aggiunta, però, di dover distribuire valore a una comunità locale, caratteristica, questa, fondativa del terzo settore europeo che può diventare, così, competitivo anche nel Regno Unito. Questa norma mette le imprese private tradizionali sotto pressione per fornire un valore sociale, oltre al profitto economico: sarà forse possibile assistere a un vero e proprio cambiamento nel modo in cui le aziende forniranno i servizi pubblici.

Social Impact Bond. Da un problema sociale ad un’opportunità finanziaria

© Terence Eduarte, Civil Society in Development

Social Impact Bond. Da un problema sociale ad un’opportunità finanziaria

4 Maggio 2013

© Terence Eduarte, Civil Society in Development
© Terence Eduarte, Civil Society in Development
 

In Inghilterra ci sono 7.160 bambini in attesa di adozione, il 15% in più rispetto a un anno fa. Mentre è relativamente semplice trovare famiglie per neonati e bambini piccoli, è più difficile per i gruppi di fratelli e sorelle, per i bambini con più di quattro anni e per minori appartenenti a minoranze etniche e in condizioni di salute precarie. Questi aspettano l’adozione per anni, restando in carico al welfare state britannico.

The Consortium of Voluntary Adoption Agencies (CVAA), un gruppo di agenzie per l’adozione, ha sviluppato un metodo per migliorare le performance di questo processo sociale, investendo nella formazione delle famiglie, nel supporto psicologico e nella mediazione culturale. E ha convinto il governo a finanziare con £ 52.000 ciascuna adozione andata a buon fine. Il risparmio stimato della spesa sociale per ciascun bambino adottato sarà di £ 800.000 nel medio lungo periodo. La novità è che, associato a questo progetto che mira a incrementare il numero di bambini adottati ogni anno, verrà emesso il primo Adoption Social Impact Bond: investitori privati potranno acquistare le obbligazioni finanziando direttamente CVAA. I bond saranno remunerati solo in caso di successo e se sarà chiaro e misurabile il miglioramento della spesa pubblica.

Nella figura viene descritto il modello del primo Social Impact Bond emesso da Social Finance in Gran Bretagna da cui tutti stanno traendo ispirazione. A livello mondiale esistono pochissimi casi di SIB non perché manchino investitori, quanto modelli e garanzie sul meccanismo di remunerazione. Conoscendo la propensione del mercato finanziario a costruire bolle speculative, la prudenza in questo caso è due volte più opportuna. Aderire a prodotti finanziari del genere significa, infatti, cambiare la vita delle persone, migliorare l’impatto sulla spesa pubblica e ottenere un ritorno dell’investimento.

C’è chi sostiene che strumenti come i SIB debbano essere concepiti al di fuori della finanza tradizionale. La finanza sociale si basa sulla trasparenza e sulla condivisione dei Big Data, processi che l’industria finanziaria ha sempre promosso controvoglia arrivando ad applicare modelli di rating e di valutazione dei rischi troppo complessi da sembrare opachi.
Il tema della trasparenza tocca però anche allo stato che deve ammettere, seguendo l’esempio britannico, di non sapere e di non potere più realizzare quell’innovazione sociale che il terzo settore si candida a gestire in modo misurabile. Per non enfatizzare l’attenzione più sul fronte finanziario che su quello dell’impatto sociale, occorre che gli attori in gioco, lo stato, l’investitore e l’operatore sociale, condividano garanzie e rischi comuni poiché quando un’adozione non andrà a buon fine, tutti e tre gli attori, con ruoli e misure diverse, se ne facciano carico.