EStà presenta una serie di strumenti utili a calcolare l’impronta carbonica delle Organizzazioni Non Profit.
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EStà partecipa a RISE Africa 2024! Il Festival dedicato al futuro delle città africane sostenibili
Continue readingEStà partecipa al Festival del clima di Palermo
EStà partecipa al Festival del clima di Palermo dedicato alla giornata della Terra.
Continue readingIMPATTO CLIMATICO DEGLI ENTI NON PROFIT
EStà svolge per Fondazione Cariplo un’indagine sull’impatto climatico delle Organizzazioni Non Profit
Continue readingGUIDA PER LA POLITICA DEL CIBO DI TORINO
La giunta comunale della Città di Torino ha approvato una delibera che include la 𝗚𝘂𝗶𝗱𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗹𝗮 𝗽𝗼𝗹𝗶𝘁𝗶𝗰𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗰𝗶𝗯𝗼.
Continue readingCOP28: accordo storico su allontanamento da combustibili fossili
Raggiunto accordo storico su allontanamento dai combustibili fossili. Ma come realizzarlo in pratica? EStà avanza soluzioni di policy a livello locale, con particolare focus sul settore automotive.
Continue readingRaccomandazioni per il rafforzamento delle filiere locali del legno
Raccomandazioni di policy
L’interpretazione degli indicatori socio-economici, le interviste ad alcuni attori dell’industria del legno e l’analisi della letteratura scientifica sui temi del progetto ci permettono di fornire alcune indicazioni strategiche ai decisori politici e agli stessi attori del settore nello Spazio Alpino.
Queste indicazioni sono classificate secondo sei dimensioni che abbiamo ritenuto di primaria importanza nell’odierno contesto economico e politico: le politiche pubbliche, la struttura della politiche pubbliche, la struttura della filiera, la questione dei dati, la struttura delle aziende locali e la proprietà del territorio, gli attori principali e il ruolo della comunicazione.
Questo lavoro rappresenta un approccio per raccogliere e sistematizzare opinioni, indicazioni e dati provenienti da un’ampia varietà di attori che svolgono ruoli diversi nella filiera. Per questo motivo, le indicazioni che seguono possono essere talvolta contrastanti, ma proprio per questo offrono un’interpretazione articolata dei molteplici interessi in gioco nella catena di filiera del legno dello Spazio Alpino.
Esempi di infografiche estratte dal report
Clima e rischi sociali: la transizione giusta per l’automotive
Clima e rischi sociali: la transizione giusta per l’automotive
7 Ottobre 2022
Introduzione: il metodo di EStà.
A partire dai lavori multisettoriali sulla relazione tra diminuzione della CO2 ed effetti su occupazione e valore aggiunto, EStà sta elaborando un modello di analisi che permetta di valutare contemporaneamente gli impatti carbonici e gli impatti occupazionali dei singoli settori economici, offrendo evidenze scientifiche e scenari per la scelta di policy informate.
L’applicazione del modello all’analisi del sistema automotive lombardo sta producendo una serie di dati e considerazioni di cui di seguito si restituiscono alcuni elementi chiave, come anticipazione di un lavoro completo che verrà pubblicato da EStà nei primi mesi del 2023, grazie al contributo di Fondazione Cariplo.
La crisi di vendita dell’automotive in Italia
Il settore automotive tradizionale in Italia e in Lombardia è in forte crisi da tanti anni e e vive un calo proporzionale dell’occupazione, indipendente da qualunque vincolo esterno di natura climatico-ambientale.
La crisi è attestata sia dall’andamento storico del peso manifatturiero automotive italiano (v. figura sotto), sia dal numero di vetture italiane sul totale venduto a livello nazionale e lombardo (v. tabella sotto) .
Figura 1 – Rapporto produzione automobili Italia/Mondo (elaborazione EStà su dati ANFIA)
Tabella 1 – Immatricolazioni auto Italia e Lombardia per case nazionali e straniere (elaborazione EStà su dati ANFIA)
Le nuove normative europee (Fit for 55) sul divieto di vendita di veicoli endotermici dal 2035 e il passaggio a un nuovo modello di autoveicolo, anziché essere viste immotivatamente come un fattore di crisi, sarebbe quindi più opportuno fossero inquadrate come un’opportunità di rilancio e occasione per trovare nuovi ambiti di specializzazione dentro una filiera in via di ridisegno.
Cosa dice e che obblighi concreti comporta la normativa Fit for 55 sull’automotive?
La normativa Fit for 55 prevede che dal 2035 gli autoveicoli messi in vendita non possano emettere gas climalteranti durante l’uso (NB si parla di emissioni in fase di circolazione, non di emissioni in fase di LCA) e che già dal 2030 le automobili nuove dovranno emettere il 55% in meno rispetto ai dati del 2021, mentre per i furgoni è prevista una diminuzione intermedia del 50%. Sono indicate eccezioni per le auto di lusso. È previsto che nel 2026 la Commissione Europea valuti la necessità di riesaminare il provvedimento tenendo conto degli eventuali sviluppi tecnologici.
Quali sono le tecnologie che possono realisticamente soddisfarla?
Sono poche le possibilità concrete di sostituire i motori endotermici con altre tecnologie contemporaneamente in grado di essere disponibili in tempi stretti, a costi competitivi e garantendo le emissioni climalteranti prossime allo zero in fase di circolazione. Le analisi economiche e ingegneristiche svolte da Columbia SIPA; Global CCS Institute; Kyoto club – CNR – IIA; International Council on Clean Transportation (ICCT); MIMS (Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile); Politecnico di Milano e Torino; Transport & Environment sono infatti unanimi nell’indicare che solo l’auto elettrica pura a batteria (BEV) è in grado di soddisfare tutte queste condizioni.
In particolare le principali alternative potenziali mostrano una serie di limiti: gli E-Fuel hanno il doppio vincolo della quantità insostenibile di energia pulita necessaria a produrne in quantità adeguata, e della mancanza di quantità sufficienti di carbonio pulito; i veicoli a idrogeno (FCEV) hanno un’efficienza energetica del 25-35% rispetto al 70-90% del veicolo BEV e costi e rischi superiori relativi a tutte le principali variabili (fonte di alimentazione, installazione della struttura di ricarica, raggiungibilità della struttura stessa).
Quanti sono gli occupati impattati dalla transizione ecologica-tecnologica?
Per ciò che riguarda gli occupati a livello complessivo – ossia considerando anche i nuovi settori, adiacenti a quelli strettamente legati alla filiera degli autoveicoli – i posti di lavoro rimarranno sostanzialmente gli stessi. Qui sotto la valutazione fatta a livello europeo dal Boston Consulting Group nella quale al 2030 è previsto un bilancio complessivo di sostanziale parità tra occupati persi e occupati acquisiti.
Per ciò che riguarda gli impiegati del settore automotive puro: EStà ha esaminato quali sono le parti di automobile endotermica che non saranno presenti nell’automobile elettrica, e quanti sono gli occupati dei settori Ateco relativi (considerando non solo produzione e componentistica, ma anche manutenzione – riparazione). Da queste analisi risulta che in Lombardia il numero di occupati impattati si aggira complessivamente intorno ai 19mila – con margini significativi di approssimazione in alto e in basso. Da qui emerge un forte bisogno di politiche adeguate affinché l’impatto non dia luogo a un effetto che in partenza non è scontato: la perdita di posti di lavoro in Lombardia.
Quali sono gli interventi attivabili a livello regionale per ridurre il rischio di cui sopra?
L’impatto di cui sopra è differente in funzione dei sotto settori specifici in cui gli occupati lavorano. I tre settori maggiormente impattati dalla transizione saranno quelli della Fabbricazione di altre parti ed accessori per autoveicoli e loro motori, della Fabbricazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche e delle Riparazioni meccaniche di autoveicoli.
Anche il tipo di intervento per rispondere all’impatto non è univoco: si passa dalla necessità di un semplice aggiornamento a necessità più complesse come quelle di riqualificazione e collocamento. Di seguito si sintetizzano le principali categorie di intervento, con accanto i numeri degli occupati interessati rispetto al totale, un primo stimolo ad un dibattito interattoriale per la ricerca delle politiche adatte alla loro realizzazione:
- aggiornamento, per coloro che presumibilmente manterranno lo stesso profilo professionale: 0,5% di occupati interessati rispetto al totale.
- aggiornamento e ricollocamento, per coloro che presumibilmente avranno un profilo professionale simile: 39%.
- riqualificazione e ricollocamento, per coloro che presumibilmente dovranno avere un nuovo profilo professionale: 20%.
Quattro messaggi chiave finali:
1. Il settore automotive italiano e lombardo è in crisi da molti anni, indipendentemente dalla transizione ecologica.
2. La transizione all’auto elettrica è inevitabile e va anticipata per quanto possibile, così da non accumulare altri ritardi industriali.
3. Gli occupati nella filiera complessiva resteranno circa gli stessi, se si considera non solo il comparto automobilistico in senso stretto, ma anche le industrie adiacenti.
4. È importante tutelare gli occupati esistenti attraverso aggiornamento e formazione, così che possano continuare a lavorare anche all’interno del nuovo sistema industriale.
Ridurre la CO2, aumentando l’occupazione
Ridurre la CO2, aumentando l’occupazione
20 Luglio 2022
L’economia industriale, fin dai suoi albori nel 1800, si è sviluppata attraverso una serie di grandi ondate di innovazioni succedutesi nel tempo: dall’applicazione del vapore alla produzione tessile, alle rivoluzioni nei trasporti ferroviari e marittimi, guidate dalle commesse statali, all’era dell’acciaio del petrolio e dell’elettricità, fino alla produzione fordista di automobili ed elettrodomestici “bianchi” e poi ai cambiamenti introdotti dalle tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione. Negli ultimi anni le innovazioni si stanno orientando verso un paradigma intersettoriale che alcuni etichettano con il termine di Green economy e che potrebbe offrire l’occasione per il rilancio del sistema produttivo e occupazionale.
La Green economy recentemente sta usufruendo di un quadro strategico e normativo che può accompagnarlo verso quel salto di paradigma finora realizzato solo parzialmente. La strategia europea del Green Deal, fortemente voluta dall’attuale Commissione insediata a Bruxelles, offre un contesto per un rilancio e un ripensamento delle priorità industriali e agricole continentali. Il Green Deal nasce come spinta istituzionale a fare dell’Unione europea il luogo dove gli obiettivi obbligatori di decarbonizzazione decisi nella COP di Parigi del 2015 si sposino con obiettivi di rilancio produttivo dell’Europa a 27. Inizialmente disegnato come strategia generale, nel tempo il Green Deal si è dotato di strumenti cogenti tra cui la Legge climatica, che definisce obbligatoriamente le tappe di decarbonizzazione europea, e il pacchetto Fit for 55. Quest’ultimo entra nel merito di scelte riferite a singoli settori, come ad esempio il comparto automotive a cui impone il divieto di vendere dopo il 2035 autoveicoli a motore endotermico (ossia alimentato da benzina e gasolio), disegnando la cornice per nuovi percorsi di ricerca e industrializzazione.
L’elemento culturalmente, oltre che economicamente, più caratterizzante di questi percorsi è il tentativo di integrare obiettivi che fino a pochi anni fa apparivano confliggenti. Scelte di tipo economico in contrasto con priorità di tutela ambientale hanno infatti contraddistinto le diverse fasi della rivoluzione industriale ricordate all’inizio, e il contrasto è divenuto sempre più aperto a partire dagli anni Settanta del ‘900 quando, in diversi paesi, ha cominciato a maturare una sensibilità e una pratica di natura ecologista. In Italia ancora oggi l’Ilva di Taranto è uno dei principali simboli della divergenza fra le “esigenze del PIL e dell’occupazione” da un lato e le esigenze di salvaguardia della salute degli esseri umani e dell’ambiente dall’altro.
Oggi lo scenario culturale è parzialmente diverso, ma cogliere l’obiettivo di integrare la sfida di mantenere il clima planetario entro limiti che lo rendano adatto alla vita umana e di aumentare al contempo ricchezza e occupazione richiede un salto di paradigma per il quale non bastano le dichiarazioni di principio, e si rende necessario un apparato analitico e di politiche adeguato alla sfida del tempo.
Un primo livello analitico e operativo attiene al campo degli interventi trasversali o sistemici, ossia a quelle letture e a quelle proposte che si rivolgono a un sistema nella sua interezza. Come ogni salto di paradigma anche il pieno dispiegarsi di un’economia decarbonizzata ad alto impatto di occupazione qualificata, richiede un investimento adeguato di ricerca e sviluppo e di successiva industrializzazione di brevetti che collochino l’Europa e l’Italia nei punti della filiera dove si colloca il maggior valore aggiunto. La messa in posa dei pannelli fotovoltaici e la progettazione di pannelli fotovoltaici di ultima generazione non sono la stessa cosa. La prima produce basso valore aggiunto e occupazione pagata poco e precaria, mentre un’industria dei pannelli fotovoltaici avanzati, o delle batterie al litio o al sale ad alta densità energetica produce molto più valore aggiunto e un’occupazione di qualità ben diversa. Naturalmente la ricerca e sviluppo hanno bisogno di adeguati investimenti, e la successiva industrializzazione deve disporre di lavoratori adeguatamente formati e aggiornati.
Un secondo livello analitico e operativo attiene invece ai singoli settori economici, ciascuno dei quali ha caratteristiche specifiche e richiede interventi mirati per aumentare l’occupazione. Ad esempio l’agricoltura a bassa emissione di gas climalteranti e ad alto assorbimento di carbonio tende a richiedere un’intensità di lavoro maggiore e operatori più qualificati rispetto all’agricoltura industriale convenzionale. Ancora, la produzione di energia rinnovabile, rispetto alla produzione di energia fossile, secondo gli scenari dell’agenzia IRENA prefigura impatti occupazionali circa 2,8 superiori, offrendo una prospettiva virtuosa sia a livello emissivo, sia a livello lavoratvo. Diversi sono invece gli scenari relativi ad altri comparti: il settore metallurgico e metalmeccanico offre prospettive rispetto alle quali l’intervento pubblico di accompagnamento a una transizione a saldo occupazionale positivo è fortemente necessario.
EStà dal 2020 è impegnata a fornire strumenti analitici per il miglior bilanciamento possibile tra esiti di decarbonizzazione ed esiti occupazionali. Nel 2020 ha prodotto con l’Italian Climate Network (ICN) il report di ricerca “Il Green Deal conviene” (https://assesta.it/new-site/wp-content/uploads/2020/11/Green-Deal.-Benefici-occupazionali-1.pdf) nel quale ha condotto sia una ricerca sulle politiche trasversali, sia una ricerca sui singoli settori produttivi italiani, per valutare come massimizzare la decarbonizzazione aumentando l’occupazione. Oggi EStà, attraverso metodi di analisi originali, sta indagando due settori produttivi del territorio lombardo: l’agroforestale e l’automotive. Nel primo caso per valutare scenari carbonico-occupazionali relativi a scelte sul cosa e sul come coltivare nella regione: quando e dove è meglio destinare un terreno a foresta o a un determinato tipo di coltivazione? Con quali tecniche si ottengono quali risultati ? Che tipo di combinazione di impatti carbonico-occupazionali si produce con ciascuna scelta? Nel secondo caso per analizzare i rischi effettivi e i potenziali di creazione di nuovo impiego all’interno della transizione tra auto endotermica e auto elettrica: quali tipologie di veicoli permettono di rispettare gli obiettivi della legge climatica europea? In Lombardia quali occupati e in quali settori sono esposti alla transizione e ai rischi occupazionali? Quali nuovi posti di lavoro e in che settori è legittimo attendersi dal cambio di produzione automobilistica?
Il modello di analisi applicato da EStà deriva da una serie di presupposti teorici e di metodo applicati nell’analisi empirica: l’analisi della struttura economica complessiva e della relazione tra domanda e offerta; lo studio sul livello di specializzazione produttiva dei sistemi economici come cartina di tornasole delle potenzialità per un’occupazione di alta qualità, l’esame dei dati primari ricombinati con il sapere degli attori chiave per fotografare in maniera dettagliata e realistica gli impatti sulle emissioni e sui posti di lavoro; l’utilizzo di indicatori primari e di indicatori ricombinati per offrire diversi livelli di sintesi della situazione esaminata; l’uso di domande di ricerca che rispondano ai bisogni di chi utilizzerà i risultati per prendere decisioni; l’uso di linguaggi testuali e infografici rigorosi, ma non tecnici, per facilitare le letture; le raccomandazioni di policy argomentate da evidenze scientifiche per connettere il mondo della ricerca ai bisogni socio-politici; la scenarizzazione per facilitare la presa di decisioni attraverso cruscotti integrati socioeconomico-ambientali. Un bagaglio teorico e metodologico in continuo sviluppo per affrontare adeguatamente una fase probabilmente epocale dello sviluppo economico: il passaggio da un modello produttivo basato sull’energia fossile, ad un modello basato sulle energie rinnovabili. L’ultima volta che l’umanità ha cambiato il tipo di fonte energetica di riferimento è iniziata la Rivoluzione industriale.
La resilienza per le PMI tra digitalizzazione e territorio. Il caso dello Spazio Alpino.
“Come rafforzare la resilienza delle PMI nello Spazio Alpino?” è la domanda di ricerca che ha guidato lo studio di EStà all’interno del progetto AlpGov2 di EUSALP, l’agenda strategica della macro regione alpina.
Il report prodotto da EStà ha investigato i concetti di vulnerabilità e resilienza attraverso una metodologia di indagine mista. Da una parte, un set di indicatori socioeconomici offre un’ampia panoramica del sistema manufatturiero della regione alpina, dall’altra i risultati dei questionari alle PMI e delle interviste ai principali stakeholders del progetto indagano le capacità di innovare, di integrare l’economia circolare e la digitalizzazione nei processi produttivi e di costruire una rete di forti relazioni esterne.
I principali risultati delle analisi quanti-qualitative hanno permesso di costruire una matrice di vulnerabilità che restituisce in modo diretto e graficamente efficace il grado di vulnerabilità delle filiere produttive (quattro oggetto della nostra analisi: legno, chimica, meccanica-meccatronica e plastica) nelle diverse regioni della fascia alpina.
Il concetto di resilienza delle PMI è stato inoltre sviluppato attraverso l’analisi del contesto geopolitico e occupazionale delle regioni alpine, producendo un aggiornamento territoriale della Resilience Dashboard elaborata dalla Commissione Europea.
Il documento delinea un campo d’azione popolato da un ampio insieme di attori che agiscono sull’innovazione in campo normativo, tecnologico e green e che, nei prossimi anni, possono rendere la macroregione alpina protagonista dello sviluppo territoriale europeo.
L’obiettivo del report è dunque quello di fornire indicazioni strategiche e organizzative alle imprese e strumenti di analisi chiari alle istituzioni e alle organizzazioni di rappresentanza al fine di migliorare la loro offerta di politiche e servizi a sostegno della resilienza.