Bergamo: analisi del sistema alimentare

Che cos’è il sistema del cibo di una città e perché bisogna studiarlo? E perché distinguere ciò che del sistema del cibo si sviluppa in una città come Bergamo da tutto ciò che succede nel mondo?

Il report redatto da EStà, grazie al contributo del Comune e degli attori locali intervistati, cerca di rispondere a queste domande di fondo, alle quali è connessa una serie di questioni e problemi che riguardano le diverse fasi del ciclo alimentare che sono affrontati quotidianamente da molti attori della città: la produzione locale di cibo, i canali di approvvigionamento più utilizzati dai cittadini, l’economia generata dal sistema alimentare, il cibo sprecato e quello recuperato per finalità solidaristiche, l’efficacia dell’educazione alimentare, l’attrattività di un territorio generata dal cibo.

Altre questioni sono in relazione, direttamente o indirettamente, con il modo con cui la città nel suo complesso vive il mondo del cibo. Si pensi ad esempio ai diversi impatti ambientali creati dal modo di produrre, trasportare, distribuire, consumare il cibo e smaltirne gli scarti (o lo spreco) in termini di uso del suolo e dell’acqua, di consumi energetici, di impatti sulla qualità dell’aria e sul clima. Si tratta solo di alcuni esempi che danno l’idea di quanto il cibo impatti su una serie molto ampia di attività in cui sono coinvolte non solo imprese e istituzioni, ma anche l’intera cittadinanza.

L’obiettivo principale di questo report è dunque quello di ricostruire un’immagine complessiva del sistema urbano del cibo. Ovvero intende descrivere il contesto socio-economico ed ambientale di riferimento e delle diverse fasi della filiera del cibo: produzione, trasformazione, logistica, distribuzione, consumo e gestione delle eccedenze e dei rifiuti.

Politiche alimentari urbane per città sostenibili

© Terence Eduarte, 2016

Politiche alimentari urbane per città sostenibili

9 Gennaio 2017

© Terence Eduarte, 2016
© Terence Eduarte, 2016
 
In questo articolo ci occupiamo dell’urgenza per una città di dotarsi di una politica alimentare, degli strumenti utili per attuarla e di alcune modalità di applicazione nel mondo. Il sistema alimentare di una città si presenta come specchio di diverse problematiche, strettamente correlate con gli aspetti della vita quotidiana dei cittadini – organizzati o singoli – con le politiche messe in atto dai soggetti privati, con le iniziative del terzo settore e con le competenze e gli ambiti di intervento del governo locale. Alcuni esempi di tali problematiche sono: il benessere, quindi le relazioni del cibo con la salute e gli stili di vita; l’educazione, ovvero lo sviluppo della consapevolezza relativamente al tema dell’alimentarsi; o ancora l’ambiente e l’agroecosistema, dunque le implicazioni che il ciclo alimentare ha con l’aria, l’acqua, il suolo, le interazioni con il territorio e il paesaggio; la finanza, dunque gli investimenti e i meccanismi fiscali legati al sistema alimentare. Risulta evidente che per trattare queste problematiche non basta pensare ad interventi settoriali che coinvolgano pochi attori o addirittura la sola pubblica amministrazione; serve piuttosto una strategia, una politica alimentare urbana (che nei contesti anglosassoni viene abitualmente definita come Food Policy o Food Strategy), che si occupi di portare il sistema alimentare della città verso una situazione di maggiore sostenibilità, decidendo le modalità con cui una comunità coltiva il cibo, lo consuma, lo studia, ne discute, ne legifera. Una politica alimentare urbana deve esplicitare una visione (quanto più possibile condivisa), definire gli obiettivi che concorrono a concretizzarla, dotarsi di strumenti per realizzare gli obiettivi definiti e misurarne la realizzazione. Si tratta di una forma di politica relativamente nuova, di cui un Ente Locale si dota volontariamente al fine di mettere a sistema tutte le attività legate al cibo promosse dai diversi attori della città; per questo, alle rappresentanze istituzionali esistenti che si occupano tendenzialmente di temi di settore, spesso si affiancano i Consigli del Cibo (Food Council), strumenti importanti per definire e sviluppare una politica alimentare. Pur variando sensibilmente a seconda delle specificità locali, in generale i Consigli del Cibo sono costituiti da gruppi di attori coinvolti a vario titolo nel sistema alimentare (soggetti della filiera, consumatori, associazioni e terzo settore, soggetti istituzionali). Questi attori incrociano competenze e interessi – anche molto diversi tra loro – con lo scopo di esaminare il funzionamento del sistema alimentare (dal livello locale a quello regionale e statale) per indirizzarlo verso una condizione di maggiore sostenibilità economica, sociale e ambientale. Per portare avanti una politica alimentare non è obbligatorio creare un Consiglio del Cibo, ma in molte città del mondo la formalizzazione di queste strutture è indicata come uno degli obiettivi specifici del processo di costruzione della politica alimentare; questo sia per questioni di efficienza dei processi – anticipare i conflitti tramite l’apertura di dialoghi pubblici fino dalle fasi di impostazione preliminare delle politiche – sia per questioni di efficacia delle azioni – includere più punti di vista per facilitare l’assunzione di co-responsabilità da parte di tutti. Le declinazioni che una politica alimentare assume in diversi contesti urbani nel mondo, sono interessanti per capire le diverse urgenze. In particolare riportiamo alcuni esempi relativamente a quattro tematiche – sprechi, accessibilità, produzione e socialità – che ci paiono interessanti anche per il contesto italiano.

Le città e l’economia circolare

Le città e l’economia circolare

30 Dicembre 2016

 

Scenari e questioni rilevanti
Le città contemporanee sono sistemi in crescita, sia in dimensione, sia in complessità. Secondo le previsioni dell’ONU nel 2050 il 66% della popolazione umana vivrà nelle città (oggi la percentuale è vicina al 55%), ed in molte area del pianeta la crescita riguarderà soprattutto i centri urbani vicini ai mari.
Il tema se da un punto di vista quantitativo tocca in particolare le metropoli del Sud del mondo, da un punto di vista qualitativo riguarda le città di ogni latitudine: il mondo diviene più interrelato, differenziato, interdipendente e le città sono i luoghi dove questi flussi si incrociano ad alta velocità, producendo questioni sempre nuove.
Questa complessità crescente richiede politiche adeguate, capaci di pianificazione a medio-lungo termine in grado di affrontare in modo sistemico i problemi e di valorizzare le opportunità. Clima e ambiente, diseguaglianze sociali e migrazioni sono gli ambiti in cui negli ultimi anni le grandi città europee stanno ragionando relativamente al proprio ruolo, arrivando in alcuni casi a chiedere agli stati nazionali maggiore autonomia nella gestione delle relative politiche.
Fra le questioni sempre più rilevanti per il futuro delle città si collocano sia la dipendenza dall’esterno per ciò che attiene alcuni flussi e stock strategici (energia, cibo, acqua, suolo), sia la crescita continua dei rifiuti prodotti, anch’essi fonte di dipendenza da fattori esterni per il loro smaltimento, oltre che causa di costi e inquinamento.

L’economia circolare
A questi due temi/problemi offre una risposta sistemica l’economia circolare urbana. L’economia circolare è una modalità di organizzazione della produzione che si basa sulla trasformazione degli scarti in nuova materia prima. Questa modalità si inserisce all’interno del più ampio movimento di transizione dell’economia globale verso un modello ecologicamente e socialmente sostenibile. Se nel campo dell’energia le fonti rinnovabili (solare ed eolico in particolare) appaiono la risposta più adeguata per coniugare riduzione dei danni ecologici e innovazione economica, nel campo della materia è la cosiddetta “economia circolare” lo strumento per produrre gli stessi impatti. La progettazione di oggetti e apparecchi destinati a non divenire rifiuti, l’utilizzo degli scarti come materia prima per nuovi cicli, la riduzione della quantità di materia per unità di ricchezza prodotta (PIL) sono tutte pratiche che contribuiscono ad evitare che la materia disponibile si trasformi in scarti ambientalmente inquinanti ed economicamente inutilizzabili.

Le applicazioni urbane
Trasferito al campo urbano il principio dell’economia circolare (trasformazione degli scarti in nuova materia prima) appare sia una risposta adeguata ai due problemi segnalati in precedenza (dipendenza delle città da flussi esterni, produzione crescente di rifiuti) sia un veicolo per sviluppare nuove forme di lavoro all’interno del perimetro urbano. In generale i settori di applicazione dell’economia circolare possono essere diversi, mentre in ambito cittadino i due più interessanti appaiono la filiera delle costruzioni e la filiera del cibo. Nel caso delle costruzioni il riutilizzo di materiali provenienti da edifici precedenti riduce notevolmente il bisogno di importare nuovi materiali, abbassa la produzione di CO2 ed offre nuovi posti di lavoro in un settore che conosce una difficoltà seria negli ultimi anni. Perché la circolarità dei materiali possa trovare effettiva applicazione occorrono una serie di pre-condizioni: un disegno intelligente dei nuovi edifici, procedure efficienti per la separazione dei materiali provenienti dalle demolizioni, facilitazioni e stimoli da parte degli enti pubblici.

Cibo e circolarità urbana
Nel caso del cibo le basi della filiera circolare si appoggiano sulla vasta produzione di materiali organici che all’interno di una città provengono non solo dalle imprese produttrici e distributrici, ma anche dai mercati alimentari pubblici e privati, dai piccoli esercizi e dalla grande platea dei cittadini. La massa indistinta dei rifiuti organici può essere trattata in maniera differenziata per produrre una molteplicità di effetti: gli scarti degradati possono divenire sia fonti di energia, sia e soprattutto nuovo cibo o nuova materia prima (se separate in anticipo, alcune parti dei rifiuti organici possono essere la base per produrre nuovi alimenti, altre per produrre carta, collanti, materie plastiche); le grandi eccedenze dei mercati alimentari, prima di divenire rifiuti possono essere trasformati in conserve ( a seconda dell’alimento: marmellate, succhi, conserve sotto sale…) Queste ed altre operazioni offrono lavoro a nuove imprese, rendono la città più autonoma dall’esterno, ne riducono i rifiuti, ne sviluppano le economie e la rendono più sostenibile e competitiva.

Upcycling del cibo: impatti economici, ambientali, occupazionali
I processi di upcycling dei rifiuti organici possono essere suddivisi in diverse categorie in funzione di quanto valore aggiunto producono, quali esiti hanno sull’ambiente e quali sull’occupazione.
Il valore aggiunto economicamente più alto è generato da quelle operazioni che trasformano un rifiuto (ad esempio il pane secco) in un alimento o bevanda ad alto potenziale di mercato (ad esempio la birra). Questi casi (ai quali se ne possono aggiungere altri, tra cui la trasformazione degli scarti di caffè in funghi) producono tanto una forte crescita di valore economico tra il rifiuto iniziale e il prodotto finale, quanto uno stimolo all’innovazione e all’occupazione. All’opposto la trasformazione dei rifiuti in energia (tramite combustione) aggiunge ben poco valore economico, ha impatti ambientali negativi, produce meno innovazione, meno imprenditorialità ed occupazione. In un’area intermedia i cui valori aggiunti sono ancora da valutare si collocano infine altri utilizzi: rifiuti alimentari specifici che, in eventuale combinazione con ulteriori elementi, si trasformano in materiali altri (oltre ai citati carta, colle ad alta tenuta, in prospettiva anche bioplastiche, pneumatici etc.)

Le città di mare: un potenziale di circolarità in più
Attualmente le città e i territori situati in prossimità delle coste vivono a volte una situazione di minore coesione territoriale rispetto ai centri urbani dell’entroterra. Una delle difficoltà maggiore è dovuta alla scarsa circolarità del rapporto tra economie costiere ed economie delle aree agricole. Le esternalità prodotte dalle prime possono trasformarsi in problemi per le seconde: un’eccessiva pressione del turismo costiero può consumare terreno agricolo, mentre quantità e qualità dei rifiuti delle economie rurali possono influenzare negativamente le componenti delle economie del mare (turismo, acquacoltura, pesca). Una pianificazione strategica può rendere circolari i flussi e trasformare queste fragilità in risorse, favorendo uno scambio virtuoso tra gli ecosistemi: le eccedenze dei mercati ittici urbani, così come quelle dei mercati ortofrutticoli, possono essere trasformati in mangimi (oltre che in conserve ad alto valore aggiunto); le ricerche sulle alghe mostrano come possano essere usate a vantaggio del sistema urbano: strumento per la depurazione degli scarichi urbani e rurali, materiale grezzo da combinare con le conchiglie per realizzare ottime pavimentazioni e strati isolanti.

La pianificazione
Per rendere circolari le filiere urbane del cibo è necessario un lavoro preventivo di analisi e pianificazione. Occorre innanzitutto conoscere la realtà esistente: le filiere, le strutture, i meccanismi di interazione tra produttori, distributori, esercenti, pubbliche amministrazioni. Per farlo sono necessarie ricerche urbanistiche, economiche e sociali, completate da interviste con le diverse tipologie di soggetti chiave. La fotografia che emerge costituisce la base per una strategia di intervento urbana che ridisegni le filiere lineari trasformandole in filiere circolari agendo sulle normative, le strutture e infrastrutture urbane, lo stimolo a nuove imprese, la sensibilizzazione e le facilitazioni per i cittadini e gli esercenti; un processo di trasformazione che passa anche attraverso la riqualificazione di spazi e strutture esistenti per dedicarli a incubatori di nuove imprese e a luoghi di raccolta materiali, oltre che a hub per organizzare attività di sensibilizzazione della cittadinanza. Un intervento sistemico e realistico, adatto agli obiettivi dell’economia circolare.

Infrastrutture per la mobilità cicloturistica come occasione di coesione territoriale

© David Doran, Modus

Infrastrutture per la mobilità cicloturistica come occasione di coesione territoriale

1 Ottobre 2016

© David Doran, Modus
© David Doran, Modus
 

Il cicloturismo è una forma di turismo focalizzata sulla bicicletta, come mezzo di trasporto e come scopo stesso della vacanza. In questa pratica turistica destinazione e viaggio stesso tendono ad essere obiettivi egualmente importanti. Ogni anno in Europa vengono effettuati 2,29 miliardi di viaggi di questo tipo, per un valore generato totale di 44 miliardi di euro. L’80% del valore, pari a 35 miliardi di euro, è costituito da escursioni giornaliere praticate dai residenti dei territori attraversati dalle infrastrutture cicloturistiche, mentre il 20% rimanente (9 miliardi di euro annui in Europa) è costituito da escursioni che prevedono almeno una notte fuori casa.

Diverse realtà territoriali in Francia, Germania, Austria e Trentino hanno pianificato infrastrutture cicloturistiche a lunga percorrenza, ma il mondo dell’attrattività territoriale sta diventando sempre più complesso e competitivo. Questa complessità è fonte di opportunità, per coglierle appare fondamentale porre un’infrastruttura al centro di un sistema più ampio, capace di coinvolgere un insieme coordinato di politiche pubbliche per creare occasioni di sviluppo economico che aumentino il valore generato e la sua diffusione sociale. Trasformare le ciclovie in un elemento identitario significa agire sul place branding di un territorio, intercettando ed incrementando i flussi di cicloturisti per produrre un valore aggiunto diffuso.

Nell’ottica delle applicazioni innovative di EStà le Ciclovie rappresentano dunque un bene pubblico esperienziale al centro di politiche di coesione territoriale per la mobilità, lo sviluppo economico e l’ambiente, realizzate attraverso la messa a sistema dell’attività ordinaria e di progetti innovativi realizzati degli attori locali e sovralocali.

Questo approccio è stato sperimentato da EStà all’interno dello studio di fattibilità per la Ciclovia Olona Lura, la proposta di un’infrastruttura cicloturistica leggera lungo i fiumi Olona e Lura, nel territorio compreso tra Varese, Como e Milano, in grado di connettere il confine tra Italia e Svizzera, all’interno di un itinerario europeo già esistente da Strasburgo a Como (Eurovelo5). Il progetto, sviluppato da un ampio partenariato di attori istituzionali locali e cofinanziato dalla Fondazione Cariplo, ha analizzato la fattibilità di uno scenario per realizzare l’infrastruttura come elemento di coesione territoriale, intorno alla quale sviluppare politiche per la mobilità, lo sviluppo economico e l’ambiente.
Obiettivo del progetto è il completamento dell’infrastruttura in larga parte già esistente (oltre il 48%), unendo in un unico anello diversi itinerari già presenti lungo i due fiumi. Realizzare la ciclovia per la mobilità ed il tempo libero dei residenti, arricchirà anche l’offerta turistica per la scoperta del patrimonio territoriale, con i numerosi luoghi della cultura, i due siti UNESCO ed il paesaggio pedemontano dei 7 Parchi Locali.

Nello studio di fattibilità EStà ha analizzato e mappato un’ampia varietà di elementi strutturali e di fenomeni potenzialmente legati alla costruzione della Ciclovia Olona Lura, con questo approccio sono emerse anche le relazioni di reciprocità tra tutti gli elementi: infrastrutture esistenti, flussi cicloturistici e turistici, criticità, intermodalità, paesaggio, beni culturali, dinamiche ambientali, servizi cicloturistici, economie territoriali, attori istituzionali, politiche territoriali, competenze normative.
L’analisi di contesto è il preludio per la definizione di uno scenario di sviluppo che dovrà passare da un processo di coesione e governance territoriale, per far sì che gli attori locali agiscano in modo coordinato, all’interno della cornice della ciclovia per la sua realizzazione unitaria.

I Consigli del cibo: uno strumento di attuazione delle politiche alimentari urbane

© Max Guther

I Consigli del cibo sono istituti diffusi in tutto il mondo e rappresentano uno strumento attraverso il quale i governi locali dialogano con le diverse componenti della società in merito alle questioni che caratterizzano il sistema alimentare della città. L’analisi proposta da EStà individua le dieci dimensioni rilevanti per la strutturazione di un Consiglio del Cibo inquadrandole anche all’interno del contesto metropolitano milanese.

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Progettare Ciclovie attraverso masterplan sistemici ed integrati

© David Doran, Modus

In un mondo sempre più competitivo, realizzare infrastrutture significa allestire un valore aggiunto che, partendo per esempio dalla mobilità ciclistica, possa estendersi a diverse politiche pubbliche quali sviluppo economico, ambiente e coesione territoriale, con l’obiettivo di incrementarne gli impatti. La complessità di tale infrastruttura può essere ben sintetizzata all’interno di un masterplan sistemico.

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Cicloturismo: moda passeggera o settore economico in crescita?

© AQ studio (Adam Quest), The advantages of biking

Il fenomeno del cicloturismo indica forme di turismo molto diverse in termini di obiettivo della vacanza, caratteristiche e tipologia di servizi richiesti. Si spazia da vacanze itineranti su piste ciclabili protette, alla pratica sportiva della bici da corsa su strada e della MTB. L’analisi speditiva proposta da ESTà propone una sintesi di questi diversi elementi e dei costi (diretti e indiretti) ad essi associati.

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Le Dieci Questioni della Food Policy

© Jun Cen, Organizing kitchen utensils and gadgets

EStà ha schematizzato le diverse problematiche del sistema alimentare di una città nel modello delle Dieci Questioni; tali problematiche – correlate con gli aspetti della vita quotidiana dei cittadini, con le politiche messe in atto dai soggetti privati, con le iniziative del terzo settore e con le competenze e gli ambiti di intervento del governo locale – sono strettamente interdipendenti tra loro.

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