L’innovazione tecnologica e i suoi effetti

© Harriet Lee Marrion, Invented here

L’innovazione tecnologica e i suoi effetti

29 Dicembre 2016

© Harriet Lee Marrion, Invented here
© Harriet Lee Marrion, Invented here
 

Il dibattito sull’innovazione tecnologica sembra avulso dalla società e dallo sviluppo capitalistico. Tra gli altri la materia è stata trattata dal World Economic Forum (Il futuro del lavoro) e dalla Mckinsey (Dove le macchine possono sostituire il lavoro). Il primo  affronta la così detta 4° rivoluzione industriale (Industria 4.0); il secondo indaga se e come le macchine possano sostituire il lavoro umano. La discussione è bipolare: qualcuno sostiene che le innovazioni tecnologiche siano una grande occasione per rilanciare il sistema economico; altri intravedono nel progetto il rischio di una sostituzione di lavoro umano con le macchine. L’elenco delle potenziali innovazioni tecnologiche utilizzate nei due studi sembra impressionante, ma la storia dell’economia capitalista è piena di novità – potenziali o meno – che hanno segnato il corso del come e del che cosa si produce. Freeman e Soete nel 1997 hanno proposto uno schema molto utile per rappresentare l’evoluzione storica delle meta innovazioni tecnologiche, a cui oggi si potrebbe aggiungere la green economy (se intesa correttamente, e non ridotta a mero slogan).

Il tema dell’innovazione non è un semplice problema ingegneristico – da questo punto di vista è chiaro che la tecnologia si accumula, generando sempre qualcosa di nuovo – occorre piuttosto indagarne le implicazioni economiche. Leon in Ipotesi sullo sviluppo dell’economia capitalistica, e Sylos Labini in Progresso tecnico e sviluppo ciclico sono, probabilmente, i primi ad trattato l’oggetto in modo dinamico e non meccanicista.
World Economic Forum (WEF) e Mckinsey (Mc) ci informano che Industria 4.0 e le macchine modificheranno intensamente alcune tipologie di lavoro; senza usare i toni di WEF e Mc, è il caso di ricordare che questo è un tema storico-sociale e non di mera fattibilità tecnica. L’implementazione di queste tecniche infatti è 1) soggetta a molte e spesso incalcolabili variabili; 2) ha diversi gradi e livelli di realizzazione. Considerando anche la dinamica sociale e le consuetudini, l’accettazione di alcune di queste nuove tecnologie diviene cosa non scontata. Ricordiamo solo l’esempio utilizzato dalla Mc: il lavoro delle infermiere potrebbe essere sostituito dalle macchine, ma la società nel suo insieme non considererebbe queste tecniche come una tecnica superiore e le rifiuterebbe; alcune attività sono infatti ancora molto legate al contatto umano. Inoltre vi è un’altra variabile di difficile previsione: la tecnica potrebbe creare lavoro in settori limitrofi (D. Ricardo, teoria della compensazione), oppure all’opposto potrebbe non essere adottata in ragione degli alti costi di sviluppo e diffusione. I sostenitori di Industria 4.0, così come i fautori dell’introduzione di nuove tecniche di produzione, commettono un errore: indagano la tecnica come se fosse un fenomeno di pura conoscenza, dimenticando che la società cambia assieme alla tecnica senza che si possa sapere aprioristicamente come i settori produttivi coinvolti reagiranno. Cosa accadrà nei settori produttivi maturi? E in quelli emergenti? Sebbene i settori maturi saranno investiti da un cambio di paradigma senza precedenti storici, la dimensione di questi settori suggerisce prudenza nella valutazione dell’impatto delle macchine sul lavoro. Più che un effetto sostituzione di lavoro per mezzo di macchine, probabilmente ci sarà un effetto sostituzione di lavoro a basso contenuto conoscitivo con un lavoro a maggiore conoscenza incorporata. In altri termini, il numero dei lavoratori potrebbe rimanere inalterato, ma cambierebbe la natura (il “segno”) dello stesso. Se ipotizzassimo di applicare le nuove tecnologie nell’attuale (vecchio) paradigma, il saldo tra nuovo lavoro e vecchio lavoro sarebbe certamente negativo; ma il capitale evolve e cambia assieme alla società. Il sistema economico non rimane mai uguale a stesso, cambiano le consuetudini e le abitudini: l’emergere di una nuova classe media (WEF) in accordo con la legge di Engel modificherà i consumi, ma WEF e Mc, sembrano non conoscere gli effetti sui consumi legati alla crescita del reddito. Il processo è bidirezionale e non unidirezionale e la politica economica e industriale vi hanno un ruolo fondamentale, mentre la robotica è solo un pezzo del tema. Stiamo attraversando una grande transizione e l’esito è incerto perché non riducibile alla somma di tanti microelementi (il reddito stesso non può essere spiegato come mera somma dei comportamenti individuali).
Viviamo dentro la storia e non dentro un mero ciclo economico, ma i mainstream di diversa declinazione non l’hanno ancora capito.

La logistica agroalimentare in Lombardia

© Jun Cen

La logistica agroalimentare della città di Milano può essere studiata solo in relazione ad un’area più ampia chiamata Regione Logistica Milanese, che comprende le province di Milano, Lodi, Piacenza, Pavia, Novara, Varese, Lecco, Como e Bergamo. Si tratta del crocevia più importante del sistema italiano delle relazioni economiche internazionali e comprende il 30% del fatturato italiano della logistica.

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Produrre cibo altera il nostro clima?

© Chester Holme, Jack Wills

Il sistema alimentare è uno dei principali responsabili dell’emissione di gas serra. La letteratura scientifica arriva ad attribuirgli a livello globale un contributo fino al 57% delle emissioni totali. Lo speciale descrive quali sono i contributi delle diverse componenti del sistema agroalimentare e riassume i dati disponibili dalla scala nazionale a quella locale.

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Effetti del caso Volkswagen: verso un nuovo paradigma di mobilità sostenibile

© Jim Tsinganos, The Milken Institute Review

Lo scandalo delle emissioni truccate del gruppo Volkswagen solleva temi sociali (l’impatto sulla salute), ambientali (inquinamento) ed economici (i cambiamenti nell’industria dell’auto). Solo la combinazione di forme di trasposto collettivo con l’adozione di motori elettrici può agire su tutti e tre i settori, riservando nuove occasioni di lavoro per chi saprà anticipare i futuri sviluppi.

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Per leggere la realtà non bastano gli occhiali

© Harriet Lee Marrion, Dragon

Esistono ancora i distretti industriali? Quali sono le prospettive della manifattura? Le aree montane sono destinate ad agricoltura e turismo oppure possono conservare anche altre attività economiche? Una ricerca a 360° nella capitale mondiale dell’occhialeria sui destini produttivi del territorio.

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Una striscia di terra nuova

© Noa Snir, ComfortZone

Una striscia di terra nuova

4 Luglio 2013

© Noa Snir, ComfortZone
© Noa Snir, ComfortZone
 

L’interesse per l’imprenditorialità sociale e l’impatto positivo che essa può avere sulla società attirano l’attenzione di giovani studenti delle scuole di economia, curiosità che le università assecondano creando programmi di social business applicati a problemi sociali globali.

L’Università di Cape Town propone agli studenti MBA un impegno sul campo per lavorare sui piani industriali, sulle strategie e sui modelli finanziari delle imprese sociali sudafricane.

Reel Gardening è una start-up che ha concepito nuovi prodotti agronomici, di facile utilizzo ed economici, che rendono più accessibile l’autoproduzione di cibo. Lanciata nel 2010, la società di Johannesburg produce strisce di carta biodegradabile contenente semi, sostanze nutrienti e fertilizzanti organici. Le bobine seminate, che sono vendute ad un dollaro al metro, possono essere piantate nel terreno o collocate in un giornale o in uno shopper con un po’ di terriccio in caso di mancanza di terreno coltivabile. Tutto ciò che serve è la luce del sole e la giusta quantità di acqua.

Reel Gardening

Le strisce di carta usano l’80 per cento di acqua in meno rispetto ai convenzionali mezzi di giardinaggio in quanto trattengono la maggior parte dell’acqua e sono indicati proprio in quelle zone di difficile irrigazione. Semplici istruzioni, comprensibili anche da chi non sa leggere, sono stampate sulla carta con inchiostri naturali. Ogni nastro ha un diverso colore: indica la profondità di semina, eliminando così la necessità di comprendere aspetti più tecnici come la rotazione delle colture. Le bobine contengono diverse selezioni di semi a seconda della stagione e alternano ortaggi biologici e piante con fiori specifici per attirare gli impollinatori o scoraggiare i parassiti. Composizioni di nastri possono essere utilizzate per attrezzare parcelle di 100 metri quadri, abbassando il rischio di non germinazione per cause naturali come vento o uccelli granivori.

Reel Gardening e l’università di Cape Town stanno lavorando a numerosi progetti comunitari nelle zone povere, dove vi sono carenza di acqua e bassi livelli di istruzione. Oltre a coltivare il proprio cibo, le comunità possono aumentare il proprio reddito con la vendita dei prodotti in eccesso.

Un fenomeno sociale associato alla diffusione delle bobine di semi è il rapido sviluppo di community gardens nelle township, gli ex distretti suburbani creati durante il periodo dalla segregazione razziale, a Cape Town e Johannesburg e di orti scolastici per invogliare le giovani generazioni ad occuparsi della sovranità alimentare in zone in cui l’acqua scarseggia.

Anche in Italia il terreno è fertile per l’innovazione sociale: le business school italiane hanno coinvolto i propri studenti sul tema dell’innovazione sociale concentrandosi sulle necessità di policy making, mentre l’iniziativa Social Innovation Agenda dell’ex ministro Profumo promuove l’innovazione sociale dal basso, quella che nasce tra i più giovani.

Social Impact Bond. Da un problema sociale ad un’opportunità finanziaria

© Terence Eduarte, Civil Society in Development

Social Impact Bond. Da un problema sociale ad un’opportunità finanziaria

4 Maggio 2013

© Terence Eduarte, Civil Society in Development
© Terence Eduarte, Civil Society in Development
 

In Inghilterra ci sono 7.160 bambini in attesa di adozione, il 15% in più rispetto a un anno fa. Mentre è relativamente semplice trovare famiglie per neonati e bambini piccoli, è più difficile per i gruppi di fratelli e sorelle, per i bambini con più di quattro anni e per minori appartenenti a minoranze etniche e in condizioni di salute precarie. Questi aspettano l’adozione per anni, restando in carico al welfare state britannico.

The Consortium of Voluntary Adoption Agencies (CVAA), un gruppo di agenzie per l’adozione, ha sviluppato un metodo per migliorare le performance di questo processo sociale, investendo nella formazione delle famiglie, nel supporto psicologico e nella mediazione culturale. E ha convinto il governo a finanziare con £ 52.000 ciascuna adozione andata a buon fine. Il risparmio stimato della spesa sociale per ciascun bambino adottato sarà di £ 800.000 nel medio lungo periodo. La novità è che, associato a questo progetto che mira a incrementare il numero di bambini adottati ogni anno, verrà emesso il primo Adoption Social Impact Bond: investitori privati potranno acquistare le obbligazioni finanziando direttamente CVAA. I bond saranno remunerati solo in caso di successo e se sarà chiaro e misurabile il miglioramento della spesa pubblica.

Nella figura viene descritto il modello del primo Social Impact Bond emesso da Social Finance in Gran Bretagna da cui tutti stanno traendo ispirazione. A livello mondiale esistono pochissimi casi di SIB non perché manchino investitori, quanto modelli e garanzie sul meccanismo di remunerazione. Conoscendo la propensione del mercato finanziario a costruire bolle speculative, la prudenza in questo caso è due volte più opportuna. Aderire a prodotti finanziari del genere significa, infatti, cambiare la vita delle persone, migliorare l’impatto sulla spesa pubblica e ottenere un ritorno dell’investimento.

C’è chi sostiene che strumenti come i SIB debbano essere concepiti al di fuori della finanza tradizionale. La finanza sociale si basa sulla trasparenza e sulla condivisione dei Big Data, processi che l’industria finanziaria ha sempre promosso controvoglia arrivando ad applicare modelli di rating e di valutazione dei rischi troppo complessi da sembrare opachi.
Il tema della trasparenza tocca però anche allo stato che deve ammettere, seguendo l’esempio britannico, di non sapere e di non potere più realizzare quell’innovazione sociale che il terzo settore si candida a gestire in modo misurabile. Per non enfatizzare l’attenzione più sul fronte finanziario che su quello dell’impatto sociale, occorre che gli attori in gioco, lo stato, l’investitore e l’operatore sociale, condividano garanzie e rischi comuni poiché quando un’adozione non andrà a buon fine, tutti e tre gli attori, con ruoli e misure diverse, se ne facciano carico.