Voto, società, politiche e quadro finanziario

Voto, società, politiche e quadro finanziario

15 Novembre 2022

© Masha Krasnova-Shabaeva, 2010
© Masha Krasnova-Shabaeva, 2010

di Roberto Romano

 

L’esito delle elezioni (settembre 2022) ha sollevato riflessioni politiche ed economiche, se non culturali, che sottendono una serie di domande che meglio di altre potrebbero aiutare la comprensione dei fenomeni sociali alla base dei risultati.

La domanda fondamentale che la narrazione più o meno condivisa rimuove è la seguente: dopo trent’anni di politiche economiche restrittive, in cui il lavoro è scivolato non solo ai margini dell’analisi economica, ma anche al margine dell’attività politica, unitamente a una prospettiva economico-sociale che rimuove il lavoro come soggetto del cambiamento, era possibile un esito elettorale diverso? 

Sebbene la Storia ci ricordi che la partecipazione è parte integrante dello sviluppo economico e sociale, non appena si interrompe questo processo la partecipazione diventa un lusso che 1) polarizza la società e 2) la piega su dispute che riflettono lo stato d’animo (cultura) dei più o meno agiati, mentre il malessere (40% della popolazione) non si riconosce più nei partiti o leader che li guidano. 

Il voto di settembre, forse, non è mai stato così limpido. Da un lato abbiamo quasi il 40% di astensione, che per alcune categorie lambisce il 50% degli aventi diritto (disoccupati) e il 45% tra gli operai e affini; da un altro lato la potenziale coalizione di governo può contare solo sul 27% degli aventi diritto al voto. Un governo indiscutibilmente di minoranza, ma con una rappresentanza sociale che potrebbe condizionarlo. In effetti, il centrodestra intercetta il 55% del voto operaio che si è espresso, contro il 15% della coalizione di centrosinistra. I 5 Stelle intercettano quasi il 17% del voto operaio, che ben si bilancia con il 24% di disoccupati e inoccupati, diversamente dal centrosinistra (PD, Verdi-Sinistra-Più Europa) che raccoglie il 21%. A proposito di disoccupati e inoccupati, il centrodestra intercetta quasi il 43% dei voti, con un risultato (sorprendente?) di Fratelli d’Italia che sfiora il 21%. In altri termini, i 5 Stelle sono il soggetto politico più rappresentativo di questa particolare categoria. Il Reddito di Cittadinanza è stato evidentemente percepito come uno strumento utile da quelle persone di cui pochi vogliono farsi carico.

Solo i pensionati sembrano fedeli alla Storia del Paese, sebbene in misura più contenuta. Infatti, Fratelli d’Italia supera il PD con quasi il 28% dei votanti, seguito dal PD (27%) e 5 Stelle (10%).

Al netto degli studenti che hanno votato a maggioranza 5 Stelle (25%), seguiti da PD (24%), Più Europa (11%), Fratelli d’Italia (10%) e Verdi-Sinistra (9%), perché la così detta sinistra non ha intercettato il voto storico di appartenenza? Dipende dalle politiche che ha seguito quando era al governo? Dalla perdita del legame storico con le classi popolari e dalla capacità e desiderio di rappresentare il disagio sociale nella sfera politica?

Queste domande non possono essere affrontate guardando a quanto accaduto nel recente passato. La Storia è lenta, ma prima o poi presenta il conto di 30 anni di politiche economiche e sociali. Occorre partire dal 1990 per catturare come la società e il ben-essere siano cambiati nel tempo. Senza questa narrazione sarebbe tecnicamente impossibile leggere quanto accaduto. La Storia conta e senza la conoscenza di questa Storia non è possibile rimediare alcunché. 

Da un lato abbiamo un PIL reale nazionale che ormai è distante da quello tedesco e francese e, tra le altre cose, non ha nemmeno recuperato le posizioni del 2007. Gli investimenti, che restituiscono la percezione del futuro, sono in rapporto al PIL sempre più bassi dell’area euro e dei paesi considerati. In qualche modo, il livello degli investimenti è l’altra faccia della specializzazione produttiva. Al Paese non servono più investimenti data la bassa specializzazione del sistema economico in generale. Anche i consumi reali seguono l’andamento del PIL e fanno il paio con la crescita dell’avanzo commerciale, sostanzialmente legato alla dinamica del costo del lavoro e alla caduta dei consumi che hanno contratto le importazioni, unitamente a un indice GINI in costante crescita, sebbene in misura meno accentuata a partire dal 2002. 

Per comprendere come il lavoro sia stato vittima di alcune politiche, possiamo indagare l’output per occupato a partire dal 1990. La storia è poco nota, ma la cosiddetta produttività nazionale era più alta di Francia e Germania tra il 1990 e il 2002. Dopo diventa una frazione di quella dei Paesi menzionati. Ma non è tutto. I salari versus la produttività tra il 1990 e il 2021 restituiscono qualcosa di impopolare, una sorta di spirale che passa da un lieve miglioramento fino al 2007, per poi ritornare alle stesse posizioni del 1992 per ciò che riguarda i salari. In altri termini, le politiche del lavoro hanno eroso il salario e ridotto la produttività, lasciando inermi e sconsolati proprio il riferimento sociale storico della sinistra.

Si poteva fare diversamente. Sebbene le politiche europee abbiano condizionato le politiche, queste potevano anche avere un segno diverso, se solo si fosse ascoltato il proprio corpo elettorale. 

Ora la destra sembrerebbe rappresentare il lavoro, i disoccupati e una parte non banale dei pensionati. Hanno davanti a sé una legge di bilancio scritta da altri. Difficile modificare il segno date le disponibilità finanziarie, almeno che non si riscriva la matrice dell’economia italiana. Nel frattempo, la sinistra farebbe bene a raccontare tutta la storia e non cadere in un’idea di politica come esercizio riservato alle persone più agiate.

Presentazione della ricerca su transizione ecologica e automotive

 

Presentazione della ricerca su transizione ecologica e automotive

12 Ottobre 2022

© Riccardo Massarotto

La ricerca redatta da Està e commissionata dal Segretario generale Uilm, Rocco Palombella, è stata presentata per la prima volta in occasione del XVII Congresso nazionale Uilm  che si è svolto a Roma presso l’Ergife Palace Hotel il 4, 5 e 6 ottobre 2022.

L’idea è nata per offrire all’importante dibattito congressuale spunti di riflessione su una tematica complessa e attuale come quella della transizione ecologica. Un cambiamento epocale che avrà un impatto in modo trasversale su tutti i settori dell’industria e, inevitabilmente, forti ricadute sull’occupazione.


Il 5 ottobre il Congresso ha ospitato una tavola rotonda dal titolo “Transizione ecologica: rischi o opportunità?” durante la quale illustri ospiti, economisti e sindacalisti, a cominciare dal Segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri, hanno avuto la possibilità di ascoltare i contenuti della ricerca e offrire ulteriori spunti di riflessione sul tema.

Il settore metalmeccanico e manifatturiero, cuore dell’industria italiana, più di altri subirà gli effetti del cambiamento in atto ed è per questo che Rocco Palombella ritiene fondamentale, tra le altre cose, stimolare la discussione in ottica costruttiva.

INDICE:
CAP 1 La transizione ecologica:problemi e quadro politico
1.1 Perché occorre decarbonizzare l’economia globale 2
1.1.1 Introduzione: il legame tra crescita economica
e uso dell’energia fossile 2
1.1.2 Vicini al limite di insostenibilità 5
1.1.3 Una fotografia delle emissioni climalteranti attuali. 9
1.2 Parigi 2015, Green Deal, PNRR: una sintesi degli interventi
politici in atto 16
CAP 2. A che punto è la transizione in Italia?
2.1 In Italia CO2 e PIL si disaccoppiano troppo lentamente 21
2.2 La situazione dei diversi settori produttivi, tra occupazione
e CO2e 25
CAP 3. La transizione ecologica del settore automotive
3.1 Tra rischio e opportunità 39
3.2 I numeri dell’occupazione automotive italiana 50
3.3 L’impatto occupazionale della transizione ecologica
per il settore automotive in Italia 55
3.4 Politiche europee: i casi di Germania, Spagna, Francia 66
APPENDICE 74
BIBLIOGRAFIA 79

Un particolare ringraziamento ai ricercatori Bianca Minotti e Samuele Alessandrini.

ITA

Clima e rischi sociali: la transizione giusta per l’automotive

Clima e rischi sociali: la transizione giusta per l’automotive

7 Ottobre 2022

Introduzione: il metodo di EStà.

A partire dai lavori multisettoriali sulla relazione tra diminuzione della CO2 ed effetti su occupazione e valore aggiunto, EStà sta elaborando un modello di analisi che permetta di valutare contemporaneamente gli impatti carbonici e gli impatti occupazionali dei singoli settori economici, offrendo evidenze scientifiche e scenari per la scelta di policy informate.

L’applicazione del modello all’analisi del sistema automotive lombardo sta producendo una serie di dati e considerazioni di cui di seguito si restituiscono alcuni elementi chiave, come anticipazione di un lavoro completo che verrà pubblicato da EStà nei primi mesi del 2023, grazie al contributo di Fondazione Cariplo.

La crisi di vendita dell’automotive in Italia

Il settore automotive tradizionale in Italia e in Lombardia è in forte crisi da tanti anni e e vive un calo proporzionale dell’occupazione, indipendente da qualunque vincolo esterno di natura climatico-ambientale.

La crisi è attestata sia dall’andamento storico del peso manifatturiero automotive italiano (v. figura sotto), sia dal numero di vetture italiane sul totale venduto a livello nazionale e lombardo (v. tabella sotto) .

Figura 1 – Rapporto produzione automobili Italia/Mondo (elaborazione EStà su dati ANFIA)

Tabella 1 – Immatricolazioni auto Italia e Lombardia per case nazionali e straniere (elaborazione EStà su dati ANFIA)

Le nuove normative europee (Fit for 55) sul divieto di vendita di veicoli endotermici dal 2035 e il passaggio a un nuovo modello di autoveicolo, anziché essere viste immotivatamente come un fattore di crisi, sarebbe quindi più opportuno fossero inquadrate come un’opportunità di rilancio e occasione per trovare nuovi ambiti di specializzazione dentro una filiera in via di ridisegno.

Cosa dice e che obblighi concreti comporta la normativa Fit for 55 sull’automotive?

La normativa Fit for 55 prevede che dal 2035 gli autoveicoli messi in vendita non possano emettere gas climalteranti durante l’uso (NB si parla di emissioni in fase di circolazione, non di emissioni in fase di LCA) e che già dal 2030 le automobili nuove dovranno emettere il 55% in meno rispetto ai dati del 2021, mentre per i furgoni è prevista una diminuzione intermedia del 50%. Sono indicate eccezioni per le auto di lusso. È previsto che nel 2026 la Commissione Europea valuti la necessità di riesaminare il provvedimento tenendo conto degli eventuali sviluppi tecnologici.

Quali sono le tecnologie che possono realisticamente soddisfarla?

Sono poche le possibilità concrete di sostituire i motori endotermici con altre tecnologie contemporaneamente in grado di essere disponibili in tempi stretti, a costi competitivi e garantendo le emissioni climalteranti prossime allo zero in fase di circolazione. Le analisi economiche e ingegneristiche svolte da Columbia SIPA; Global CCS Institute; Kyoto club – CNR – IIA; International Council on Clean Transportation (ICCT); MIMS (Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile); Politecnico di Milano e Torino; Transport & Environment sono infatti unanimi nell’indicare che solo l’auto elettrica pura a batteria (BEV) è in grado di soddisfare tutte queste condizioni.

In particolare le principali alternative potenziali mostrano una serie di limiti: gli E-Fuel hanno il doppio vincolo della quantità insostenibile di energia pulita necessaria a produrne in quantità adeguata, e della mancanza di quantità sufficienti di carbonio pulito; i veicoli a idrogeno (FCEV) hanno un’efficienza energetica del 25-35% rispetto al 70-90% del veicolo BEV e costi e rischi superiori relativi a tutte le principali variabili (fonte di alimentazione, installazione della struttura di ricarica, raggiungibilità della struttura stessa).

Quanti sono gli occupati impattati dalla transizione ecologica-tecnologica?

Per ciò che riguarda gli occupati a livello complessivo – ossia considerando anche i nuovi settori, adiacenti a quelli strettamente legati alla filiera degli autoveicoli – i posti di lavoro rimarranno sostanzialmente gli stessi. Qui sotto la valutazione fatta a livello europeo dal Boston Consulting Group nella quale al 2030 è previsto un bilancio complessivo di sostanziale parità tra occupati persi e occupati acquisiti.

Per ciò che riguarda gli impiegati del settore automotive puro: EStà ha esaminato quali sono le parti di automobile endotermica che non saranno presenti nell’automobile elettrica, e quanti sono gli occupati dei settori Ateco relativi (considerando non solo produzione e componentistica, ma anche manutenzione –  riparazione). Da queste analisi risulta che in Lombardia il numero di occupati impattati si aggira complessivamente intorno ai 19mila – con margini significativi di approssimazione in alto e in basso. Da qui emerge un forte bisogno di politiche adeguate affinché l’impatto non dia luogo a un effetto che in partenza non è scontato: la perdita di posti di lavoro in Lombardia.

Quali sono gli interventi attivabili a livello regionale per ridurre il rischio di cui sopra?

L’impatto di cui sopra è differente in funzione dei sotto settori specifici in cui gli occupati lavorano. I tre settori maggiormente impattati dalla transizione saranno quelli della Fabbricazione di altre parti ed accessori per autoveicoli e loro motori, della Fabbricazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche e delle Riparazioni meccaniche di autoveicoli.

Anche il tipo di intervento per rispondere all’impatto non è univoco: si passa dalla necessità di un semplice aggiornamento a necessità più complesse come quelle di riqualificazione e collocamento. Di seguito si sintetizzano le principali categorie di intervento, con accanto i numeri degli occupati interessati rispetto al totale, un primo stimolo ad un dibattito interattoriale per la ricerca delle politiche adatte alla loro realizzazione:

  1. aggiornamento, per coloro che presumibilmente manterranno lo stesso profilo professionale: 0,5%  di occupati interessati rispetto al totale.
  2. aggiornamento e ricollocamento, per coloro che presumibilmente avranno un profilo professionale simile: 39%.
  3. riqualificazione e ricollocamento, per coloro che presumibilmente dovranno avere un nuovo profilo professionale: 20%.

Quattro messaggi chiave finali:

1.  Il settore automotive italiano e lombardo è in crisi da molti anni, indipendentemente dalla transizione ecologica.

2. La transizione all’auto elettrica è inevitabile e va anticipata per quanto possibile, così da non accumulare altri ritardi industriali.

3. Gli occupati nella filiera complessiva resteranno circa gli stessi, se si considera non solo il comparto automobilistico in senso stretto, ma anche le industrie adiacenti.

4. È importante tutelare gli occupati esistenti attraverso aggiornamento e formazione, così che possano continuare a lavorare anche all’interno del nuovo sistema industriale.

Ridurre la CO2, aumentando l’occupazione

Ridurre la CO2, aumentando l’occupazione

20 Luglio 2022

© Bratislav Milenkovic, Everything factory
© Bratislav Milenkovic, Everything factory

L’economia industriale, fin dai suoi albori nel 1800, si è sviluppata attraverso una serie di grandi ondate di innovazioni succedutesi nel tempo: dall’applicazione del vapore alla produzione tessile, alle rivoluzioni nei trasporti ferroviari e marittimi, guidate dalle commesse statali, all’era dell’acciaio del petrolio e dell’elettricità, fino alla produzione fordista di automobili ed elettrodomestici “bianchi” e poi ai cambiamenti introdotti dalle tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione. Negli ultimi anni le innovazioni si stanno orientando verso un paradigma intersettoriale che alcuni etichettano con il termine di Green economy e che potrebbe offrire l’occasione per il rilancio del sistema produttivo e occupazionale.

La Green economy recentemente sta usufruendo di un quadro strategico e normativo che può accompagnarlo verso quel salto di paradigma finora realizzato solo parzialmente. La strategia europea del Green Deal, fortemente voluta dall’attuale Commissione insediata a Bruxelles, offre un contesto per un rilancio e un ripensamento delle priorità industriali e agricole continentali. Il Green Deal nasce come spinta istituzionale a fare dell’Unione europea il luogo dove gli obiettivi obbligatori di decarbonizzazione decisi nella COP di Parigi del 2015 si sposino con obiettivi di rilancio produttivo dell’Europa a 27. Inizialmente disegnato come strategia generale, nel tempo il Green Deal si è dotato di strumenti cogenti tra cui la Legge climatica, che definisce obbligatoriamente le tappe di decarbonizzazione europea, e il pacchetto Fit for 55. Quest’ultimo entra nel merito di scelte riferite a singoli settori, come ad esempio il comparto automotive a cui impone il divieto di vendere dopo il 2035 autoveicoli a motore endotermico (ossia alimentato da benzina e gasolio), disegnando la cornice per nuovi percorsi di ricerca e industrializzazione.

L’elemento culturalmente, oltre che economicamente, più caratterizzante di questi percorsi è il tentativo di integrare obiettivi che fino a pochi anni fa apparivano confliggenti. Scelte di tipo economico in contrasto con priorità di tutela ambientale hanno infatti contraddistinto le diverse fasi della rivoluzione industriale ricordate all’inizio, e il contrasto è divenuto sempre più aperto a partire dagli anni Settanta del ‘900 quando, in diversi paesi, ha cominciato a maturare una sensibilità e una pratica di natura ecologista. In Italia ancora oggi l’Ilva di Taranto è uno dei principali simboli della divergenza fra le “esigenze del PIL e dell’occupazione” da un lato e le esigenze di salvaguardia della salute degli esseri umani e dell’ambiente dall’altro.

Oggi lo scenario culturale è parzialmente diverso, ma cogliere l’obiettivo di integrare la sfida di mantenere il clima planetario entro limiti che lo rendano adatto alla vita umana e di aumentare al contempo ricchezza e occupazione richiede un salto di paradigma per il quale non bastano le  dichiarazioni di principio, e si rende necessario un apparato analitico e di politiche adeguato alla sfida del tempo.

Un primo livello analitico e operativo attiene al campo degli interventi trasversali o sistemici, ossia a quelle letture e a quelle proposte che si rivolgono a un sistema nella sua interezza. Come ogni salto di paradigma anche il pieno dispiegarsi di un’economia decarbonizzata ad alto impatto di occupazione qualificata, richiede un investimento adeguato di ricerca e sviluppo e di successiva industrializzazione di brevetti che collochino l’Europa e l’Italia nei punti della filiera dove si colloca il maggior valore aggiunto. La messa in posa dei pannelli fotovoltaici e la progettazione di pannelli fotovoltaici di ultima generazione non sono la stessa cosa. La prima produce basso valore aggiunto e occupazione pagata poco e precaria, mentre un’industria dei pannelli fotovoltaici avanzati, o delle batterie al litio o al sale ad alta densità energetica produce molto più valore aggiunto e un’occupazione di qualità ben diversa. Naturalmente la ricerca e sviluppo hanno bisogno di adeguati investimenti, e la successiva industrializzazione deve disporre di lavoratori adeguatamente formati e aggiornati.

Un secondo livello analitico e operativo attiene invece ai singoli settori economici, ciascuno dei quali ha caratteristiche specifiche e richiede interventi mirati per aumentare l’occupazione. Ad esempio l’agricoltura a bassa emissione di gas climalteranti e ad alto assorbimento di carbonio tende a richiedere un’intensità di lavoro maggiore e operatori più qualificati rispetto all’agricoltura industriale convenzionale. Ancora, la produzione di energia rinnovabile, rispetto alla produzione di energia fossile, secondo gli scenari dell’agenzia IRENA prefigura impatti occupazionali circa 2,8 superiori, offrendo una prospettiva virtuosa sia a livello emissivo, sia a livello lavoratvo. Diversi sono invece gli scenari relativi ad altri comparti: il settore metallurgico e metalmeccanico offre prospettive rispetto alle quali l’intervento pubblico di accompagnamento a una transizione a saldo occupazionale positivo è fortemente necessario.

EStà dal 2020 è impegnata a fornire strumenti analitici per il miglior bilanciamento possibile tra esiti di decarbonizzazione ed esiti occupazionali. Nel 2020 ha prodotto con l’Italian Climate Network (ICN) il report di ricerca “Il Green Deal conviene” (https://assesta.it/new-site/wp-content/uploads/2020/11/Green-Deal.-Benefici-occupazionali-1.pdf) nel quale ha condotto sia una ricerca sulle politiche trasversali, sia una ricerca sui singoli settori produttivi italiani, per valutare come massimizzare la decarbonizzazione aumentando l’occupazione. Oggi EStà, attraverso metodi di analisi originali, sta indagando due settori produttivi del territorio lombardo: l’agroforestale e l’automotive. Nel primo caso per valutare scenari carbonico-occupazionali relativi a scelte sul cosa e sul come coltivare nella regione: quando e dove è meglio destinare un terreno a foresta o a un determinato tipo di coltivazione? Con quali tecniche si ottengono quali risultati ? Che tipo di combinazione di impatti carbonico-occupazionali si produce con ciascuna scelta? Nel secondo caso per analizzare i rischi effettivi e i potenziali di creazione di nuovo impiego all’interno della transizione tra auto endotermica e auto elettrica: quali tipologie di veicoli permettono di rispettare gli obiettivi della legge climatica europea? In Lombardia quali occupati e in quali settori sono esposti alla transizione e ai rischi occupazionali? Quali nuovi posti di lavoro e in che settori è legittimo attendersi dal cambio di produzione automobilistica?

Il modello di analisi applicato da EStà  deriva da una serie di presupposti teorici e di metodo applicati nell’analisi empirica: l’analisi della struttura economica complessiva e della relazione tra domanda e offerta; lo studio sul livello di specializzazione produttiva dei sistemi economici come cartina di tornasole delle potenzialità per un’occupazione di alta qualità, l’esame dei dati primari ricombinati con il sapere degli attori chiave per fotografare in maniera dettagliata e realistica gli impatti sulle emissioni e sui posti di lavoro; l’utilizzo di indicatori primari e di indicatori ricombinati per offrire diversi livelli di sintesi della situazione esaminata; l’uso di domande di ricerca che rispondano ai bisogni di chi utilizzerà i risultati per prendere decisioni; l’uso di linguaggi testuali e infografici rigorosi, ma non tecnici, per facilitare le letture; le raccomandazioni di policy argomentate da evidenze scientifiche per connettere il mondo della ricerca ai bisogni socio-politici; la scenarizzazione per facilitare la presa di decisioni attraverso cruscotti integrati socioeconomico-ambientali. Un bagaglio teorico e metodologico in continuo sviluppo per  affrontare adeguatamente una fase probabilmente epocale dello sviluppo economico: il passaggio da un modello produttivo basato sull’energia fossile, ad un modello basato sulle energie rinnovabili. L’ultima volta che l’umanità ha cambiato il tipo di fonte energetica di riferimento è iniziata la Rivoluzione industriale.

 

 

La resilienza per le PMI tra digitalizzazione e territorio. Il caso dello Spazio Alpino.

“Come rafforzare la resilienza delle PMI nello Spazio Alpino?” è la domanda di ricerca che ha guidato lo studio di EStà all’interno del progetto AlpGov2 di EUSALP, l’agenda strategica della macro regione alpina.

Il report prodotto da EStà ha investigato i concetti di vulnerabilità e resilienza attraverso una metodologia di indagine mista. Da una parte, un set di indicatori socioeconomici offre un’ampia panoramica del sistema manufatturiero della regione alpina, dall’altra i risultati dei questionari alle PMI e delle interviste ai principali stakeholders del progetto indagano le capacità di innovare, di integrare l’economia circolare e la digitalizzazione nei processi produttivi e di costruire una rete di forti relazioni esterne.

I principali risultati delle analisi quanti-qualitative hanno permesso di costruire una matrice di vulnerabilità che restituisce in modo diretto e graficamente efficace il grado di vulnerabilità delle filiere produttive (quattro oggetto della nostra analisi: legno, chimica, meccanica-meccatronica e plastica) nelle diverse regioni della fascia alpina.

Il concetto di resilienza delle PMI è stato inoltre sviluppato attraverso l’analisi del contesto geopolitico e occupazionale delle regioni alpine, producendo un aggiornamento territoriale della Resilience Dashboard elaborata dalla Commissione Europea.

Il documento delinea un campo d’azione popolato da un ampio insieme di attori che agiscono sull’innovazione in campo normativo, tecnologico e green e che, nei prossimi anni, possono rendere la macroregione alpina protagonista dello sviluppo territoriale europeo.

 L’obiettivo del report è dunque quello di fornire indicazioni strategiche e organizzative alle imprese e strumenti di analisi chiari alle istituzioni e alle organizzazioni di rappresentanza al fine di migliorare la loro offerta di politiche e servizi a sostegno della resilienza.

I giovani, il cibo, il clima. L’analisi di EStà per il progetto FOOD WAVE.

In occasione della Giornata mondiale della Terra si rende pubblico il rapporto redatto da EStà grazie con il coordinamento di Mani Tese all’interno del progetto europeo Food Wave.

Si tratta di una ricerca che analizza le 18 città partner in differenti contesti europei, offrendo un panorama molto ampio e significativo di come si sviluppano le politiche relative al cibo e al clima e dei modi in cui i giovani sono oggetto o co-protagonisti di queste politiche. 

Il rapporto pone l’attenzione su ciò che sta accadendo a livello locale con l’obiettivo di comprendere meglio l’impatto che gli attori territoriali e le istituzioni hanno nel plasmare politiche e iniziative che rafforzano il nesso cibo-clima. Mostra come le città costituiscono un osservatorio privilegiato in cui non solo si sta costruendo la consapevolezza delle interconnessioni tra temi complessi, ma si sta anche sperimentando la loro concreta attuazione.

Le esperienze delle città dimostrano che le alleanze tra istituzioni e attori territoriali sono una spinta importante verso politiche su misura del contesto, sia che si tratti di cibo, clima o giovani. Includere i destinatari delle politiche nel policy making – attraverso strutture amministrative ad hoc, progetti europei, iniziative e altro – spinge un nuovo modo di intendere l’azione sociale nella mentalità amministrativa locale. Inoltre, la raccolta ed il monitoraggio dei dati a livello locale sono un’altra parte fondamentale della creazione di politiche basate sull’evidenza, pur essendo molto complicati da raccogliere e condividere.

Rispetto ai giovani, questo rapporto dimostra la presenza di una serie di approcci diversi attraverso cui le politiche giovanili non sono solo per i giovani (relative, per esempio, all’istruzione o all’occupazione) ma sono sviluppate direttamente dai giovani. Tuttavia, mostra anche che le iniziative dei giovani non sono sempre nel radar delle amministrazioni, il che genera opportunità mancante se si considera l’impatto positivo che queste hanno nei territori.

Infine, il consumo di cibo è un punto di osservazione interessante per guardare le complessità dell’attuale sistema alimentare. L’impatto delle nostre abitudini di consumo e la possibilità di implementare alternative sostenibili, sia a livello individuale che sociale, sono importanti leve di cambiamento.

L’analisi effettuata fornisce quindi uno sguardo molto ampio su come i governi locali e i gruppi della società civile oggi affrontano questi temi, contribuendo a una base di conoscenza per stimolare sia l’azione istituzionale sia quella sociale.

Il rapporto:

Bergamo: analisi del sistema alimentare

Che cos’è il sistema del cibo di una città e perché bisogna studiarlo? E perché distinguere ciò che del sistema del cibo si sviluppa in una città come Bergamo da tutto ciò che succede nel mondo?

Il report redatto da EStà, grazie al contributo del Comune e degli attori locali intervistati, cerca di rispondere a queste domande di fondo, alle quali è connessa una serie di questioni e problemi che riguardano le diverse fasi del ciclo alimentare che sono affrontati quotidianamente da molti attori della città: la produzione locale di cibo, i canali di approvvigionamento più utilizzati dai cittadini, l’economia generata dal sistema alimentare, il cibo sprecato e quello recuperato per finalità solidaristiche, l’efficacia dell’educazione alimentare, l’attrattività di un territorio generata dal cibo.

Altre questioni sono in relazione, direttamente o indirettamente, con il modo con cui la città nel suo complesso vive il mondo del cibo. Si pensi ad esempio ai diversi impatti ambientali creati dal modo di produrre, trasportare, distribuire, consumare il cibo e smaltirne gli scarti (o lo spreco) in termini di uso del suolo e dell’acqua, di consumi energetici, di impatti sulla qualità dell’aria e sul clima. Si tratta solo di alcuni esempi che danno l’idea di quanto il cibo impatti su una serie molto ampia di attività in cui sono coinvolte non solo imprese e istituzioni, ma anche l’intera cittadinanza.

L’obiettivo principale di questo report è dunque quello di ricostruire un’immagine complessiva del sistema urbano del cibo. Ovvero intende descrivere il contesto socio-economico ed ambientale di riferimento e delle diverse fasi della filiera del cibo: produzione, trasformazione, logistica, distribuzione, consumo e gestione delle eccedenze e dei rifiuti.

“UN SACCO ET(N)ICO”: raccolta differenziata e ristorazione multiculturale

“UN SACCO ET(N)ICO”: raccolta differenziata e ristorazione multiculturale

Il progetto si rivolge alle attività di ristorazione etnica attraverso l’approccio della mediazione linguistico-culturale, con il duplice obiettivo di migliorarne la qualità della raccolta differenziata dei rifiuti, incrementarne l’avvio al riciclo e comunicare le restrizioni introdotte dalla direttiva europea SUP (Single Use Plastics) proprio su alcuni prodotti in plastica non compostabile monouso largamente utilizzati nei servizi di asporto e di consegna a domicilio del cibo (posate, piatti, cannucce e palettine per caffè; contenitori per alimenti e bevande in polistirene espanso).

Il progetto, finanziato da Fondazione Cariplo  e Novamont , si svolge contemporaneamente su tre città (Bergamo, Brescia e Milano) e vede come partner le aziende che gestiscono la raccolta differenziata (APRICA e AMSA), due realtà locali esperte di mediazione linguistico-culturale (la cooperativa Ruah  e l’associazione ADL a Zavidovici), il  Dipartimento di Scienze della Mediazione Linguistica e di Studi Interculturali dell’Università degli Studi di Milano e l’associazione Economia e Sostenibilità come capofila. I tre comuni coinvolti patrocinano il progetto, sostenuto anche da ANIPS e Ascom Bergamo.

I mediatori culturali stanno contattando le circa 340 attività di ristorazione (200 a Milano, 65 a Bergamo e 75 a Brescia) per presentare il progetto ed ottenere l’adesione da parte del ristoratore. Verranno consegnati materiali informativi (le linee guida per la raccolta differenziata, la brochure del progetto con i riferimenti principali) tradotti nella lingua madre dell’esercente (cinese, arabo, turco, spagnolo e urdu).

Gli esercenti che aderiranno al progetto saranno coinvolti in due ulteriori incontri con il personale di AMSA e APRICA, sempre accompagnati dai mediatori culturali: il primo incontro per chiarire gli eventuali dubbi sulle procedure di differenziazione dei rifiuti e sull’applicazione della direttiva europea SUP e per fornire informazioni sui prodotti in plastica monouso utilizzati. Il secondo, a distanza di qualche mese, per permettere di valutare i risultati dell’intervento, sia sulla qualità della differenziata che sul grado di sostituzione dei prodotti in plastica monouso vietati. Ciascun esercente coinvolto riceverà in omaggio circa 1.000 food bag compostabili da testare.

Il progetto è iniziato a marzo 2021 e si conclude ad agosto 2022.

www.unsaccoetnico.it

La statistica nella lettura dei fenomeni socio-economico climatici

© Harriet Lee Marrion, Fertile Earth
© Harriet Lee Marrion, Fertile Earth
 

Il ruolo della statistica nella lettura dei fenomeni socio-economico climatici

 

In una società complessa e sempre più caratterizzata dall’interazione tra uomo e macchina è inevitabile dover discutere di fenomeni economico-sociali e ambientali utilizzando dati empirici e informazioni raccolti sul campo. È altrettanto inevitabile l’utilizzo di appropriate metodologie di analisi di questi al fine di comprendere il reale contenuto informativo che essi possono fornirci. Nel corso degli ultimi anni, e la pandemia COVID ha dato una ulteriore spinta, sono entrati nel nostro vocabolario giornaliero diversi termini, quali ad esempio Big Data, Intelligenza Artificiale, Data Drive, o Modelli empirici. Tutti termini che in qualche misura hanno a che vedere con la disciplina della Statistica e dell’Analisi dei dati[1].

Anche la società si è modellata di conseguenza: i telegiornali e i media offrono sempre più servizi su queste tematiche, invitando esperti dei settori o realtà connesse; sono nati molti corsi di laurea e master per formare esperti in analisi dei dati in grado di interpretare i fenomeni che ci circondano e tentare di trasformare i fenomeni in opportunità.

In effetti diventa sempre più difficile ottenere visibilità e credibilità se non ci si trova sulla frontiera di queste tematiche. Anche EStà ha colto questa opportunità e ha cercato di espandere le proprie competenze interne sviluppando collaborazioni con il mondo accademico e della ricerca per sviluppare metodologie solide e utili per comprendere con occhi oggettivi, guidati dai dati, la sempre più intricata relazione tra lo sviluppo economico moderno, l’ambiente, il mondo dell’energia e la società in continua evoluzione.

Ma facciamo un passo indietro. Di cosa stiamo parlando davvero? Con quale realtà ci dobbiamo confrontare? Partiamo da una semplice definizione di Statistica: la statistica è una disciplina che ha come fine lo studio quantitativo e qualitativo di un particolare fenomeno collettivo in condizioni di incertezza o non determinismo, cioè di non completa conoscenza di esso o di una sua parte[2].

Già nella definizione sono racchiusi molti concetti fondamentali che è necessario sviluppare. Innanzitutto il termine disciplina indica la Statistica come una materia, un insieme di metodologie e di teorie. Non si tratta di semplici formule o numeri. È un corpus di contenuti che ha una propria filosofia sottostante, delle regole e dei metodi che permettono di interpretare i fenomeni, ossia eventi, che ci circondano. I fenomeni sono collettivi, riguardano una popolazione di interesse (un gruppo di soggetti o oggetti che si vogliono analizzare), che vengono studiati in un contesto di incertezza. Incertezza è tra tutti il vero cuore della definizione, il punto focale. La parola incertezza esprime il concetto di ignoranza (in senso positivo chiaramente) su qualcosa, la mancanza di informazioni totali e solo una conoscenza parziale e limitata del fenomeno. Indica che non tutto è controllabile (appunto, non è deterministico) e che, pur facendo il massimo nei nostri sforzi di modellistica, qualcosa sfuggirà sempre al controllo e potrebbe determinare importanti variazioni tra ciò che si afferma e la realtà. Incertezza e Caso, sono i due concetti che distinguono la Statistica e i suoi adepti, gli Statistici, da altre figure professionali e di ricerca. In un certo senso è come dire che per quanto uno si sforzi nel comprendere un fenomeno, un errore (distanza tra realtà e il nostro risultato) dovrà essere sempre tollerato. Il punto è come rendere questo errore minimo, poco influente, senza però avere la pretesa di eliminarlo o ignorarlo.

Già da qui è chiaro che si tratti di un mondo complesso, e a volte oscuro, che richiede una notevole cura e competenza nell’utilizzo degli strumenti che ci mette a disposizione. E a cosa serve davvero tutto questo? Una risposta semplice, ma non banale potrebbe essere quella di voler raccontare una storia. Prima di raccontarla, però, devo comprendere la storia e i dati ci danno una grande mano.

Torniamo al concetto di Popolazione, perché è da qui che nascono le parti più interessanti. Con la parola popolazione intendiamo qualunque gruppo di soggetti o oggetti accomunati da qualche caratteristica che li rappresenta e di cui siamo interessati ad ottenere delle informazioni. Con popolazione potremmo intendere ad esempio, l’insieme di tutte le imprese italiane operanti in un determinato settore oppure l’insieme di tutti gli studenti italiani in un dato momento. Oppure il numero di membri di una determinata specie di animali in una foresta o il numero totale di alberi di un’area.

Spesso non è possibile raggiungere tutta la popolazione complessiva. Perché troppo grande (quanti alberi ci sono esattamente in Italia? Difficile a dirsi), perché non si conoscono le ‘generalità’, i ‘nomi’ di tutti i membri della popolazione (quante sono esattamente le persone immigrate in Italia nell’ultimo anno? Tra migranti regolari e irregolari non è facile contare). Per questo motivo si utilizza un campione (un sottogruppo, sottoinsieme) della popolazione di interesse, lo si studia e analizza e infine si prova a trarre qualche conclusione sulla popolazione complessiva partendo dai risultati campionari. Questo processo di passaggio dai dati campionari a stime sulla popolazione complessiva prende il nome di Inferenza Statistica. Ovviamente, dal momento che utilizzo solo parte della popolazione e la inserisco nel campione, commetteremo un errore di approssimazione che è tanto più piccolo tanto più il campione è grande e tanto più esso rappresenta la vera natura della popolazione. Facciamo un esempio: se volessi stimare l’altezza media dei cittadini italiani (diciamo circa 60 milioni), dovrei costruire un campione quanto più ampio possibile (diciamo almeno qualche migliaio di persone) e questo campione deve rispettare la distribuzione della popolazione in termini di genere (stessa % di maschi nel campione e nella popolazione), di fascia di età (stessa % di persone tra i 40 e i 50 anni nel campione e nella popolazione) e di area geografica (stessa % di cittadini Lombardi nel campione e nella popolazione). Il campione così ottenuto è rappresentativo (rispetta le caratteristiche chiave, le proprietà) della popolazione. L’errore, come anticipato, esisterà sempre e non potrà essere eliminato. Al più possiamo cercare di ridurlo al minimo con degli appropriati metodi. L’incertezza è la chiave di comprensione dell’inferenza.

Partendo dall’inferenza posso poi fare delle previsioni nel tempo (previsione per serie storiche), nello spazio (previsione con modelli geo-statistici o spaziali) o su soggetti della popolazione non presenti nel campione (previsione cross-sezionale). Vale a dire, usando informazioni osservate posso ottenere delle stime di valori che sono ancora ignoti nel tempo (il meteo di domani), nello spazio (le concentrazioni di inquinanti in una certa città) o su un particolare soggetto (qual è la ricchezza di un soggetto che ha certe caratteristiche socio-economiche). Ancora una volta, anche la previsione dà luogo ad un errore di previsione che va considerato.

Ora, facciamo uno sforzo, e proviamo ad applicare questi concetti nei contesti dello sviluppo economico sostenibile, dell’ambiente, dell’inquinamento o della società. Ciò che EStà sta maturando in questi anni è la convinzione che alcuni fenomeni e trend ambientali ed economici possano essere interpretati e, sotto certe condizioni, previsti. Basti pensare ai cambiamenti climatici: i dati raccontano che le temperature in tutto il globo sono in evoluzione, abbiamo aree del mondo in cui la temperatura si alza e altre in cui si abbassa (lo scioglimenti dei ghiacci polari ha questa assurda contraddizione giudicata senza senso da tanti scettici, ad esempio l’ex presidente degli Stati Uniti, ma che ha solide basi scientifiche); il livello del mare si sta alzando un po’ ovunque; le concentrazioni di inquinanti si stanno riducendo in varie aree d’Italia (la Lombardia ad esempio registra ossidi e particolati in forte diminuzione dal 2014 in avanti). Escludendo eventi esogeni, cioè che non dipendono dalla struttura economico-sociale di un sistema economico, anomali come la pandemia da COVID-19, anche lo stato di salute di una economia può essere analizzata e prevista. Ogni anno gli istituti nazionali e internazionali di statistica ci offrono stime sugli andamenti della ricchezza, sia nel tempo che a livello territoriale e le banche centrali tentano di interpretare l’evoluzione dei prezzi. Non bisogna stancarsi nel dire che, pur quando sono fornite da enti certificati e accreditati (come può essere ISTAT o Banca d’Italia), le stime possono essere errate proprio in virtù di quell’errore ci sempre accompagna gli statistici.

EStà sta impegnando molte risorse e tempo nello studio delle metodologie più appropriate per sviluppare modelli e analisi di qualità che permettano di indirizzare gli interlocutori verso scelte ragionate e basate quanto più possibile su criteri oggettivi. Fermo restando che non sempre sia possibile fornire una indicazione esatta, ma quanto meno sensata e solida nei fondamenti.

 

 

[1] Facciamo attenzione ad un aspetto davvero importante parlando di dati: due concetti connessi non per forza si sovrappongono. Statistica, Machine Learning, Ingegneria del dato, sono termini tra loro connessi e identificano campi e filosofie complementari, ma al tempo stesso contrastanti. Ognuno di questi campi ha visioni diverse e richiedono competenza diverse, ma devono comunicare per una corretta evoluzione della ricerca.

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Statistica

I numeri e la società

19 Maggio 2021

© Loulou and Tummie, 2015
© Loulou and Tummie, 2015
 

I numeri e la società

I fenomeni economici e sociali non possono e non sono ravvisabili nei numeri. La statistica descrittiva aiuta a studiare i fenomeni quantitativi e qualitativi della collettività, sebbene le condizioni di incertezza, cioè di incompleta conoscenza di essa o di una sua parte, assegnano alla logica e all’intelligenza un ruolo ancor più stringente. La semplice rilevazione di un numero, per esempio l’inflazione, non permette di catturare il fenomeno dell’inflazione. Occorre accoppiare sempre un’altra rilevazione per catturare e interpretare la crescita dei prezzi: possono crescere i profitti, il costo delle materie prime, oppure gli investimenti non hanno dato i risultati attesi. Possiamo anche sostenere che la crescita della massa monetaria ha permesso la crescita dei prezzi dei titoli quotati in borsa; è una crescita del valore dei titoli trattati o una crescita dei prezzi dei titoli trattati?

La dissertazione è un avvertimento ai naviganti circa le misure e gli indicatori. Sono sempre utili e funzionali all’interpretazione dei fenomeni, ma è solo grazie al metodo e all’intelligenza che i numeri possono raccontarci qualcosa di interessante, che rimane pur sempre parziale e verificabile (Popper e la discutibilità della tesi).

L’esperienza e il lavoro aiutano. Passo dopo passo permette di affinare le informazioni statistiche, di testarle e verificare la loro attendibilità (parziale) rispetto ai fenomeni economici e sociali.

EStà ha maturato alcune convinzioni rispetto ai numeri che più e meglio di altri aiutano la comprensione della società.  Sono un supporto prezioso per catturare il ben-essere della collettività ravvisabile nei cambiamenti climatici, occupazionali e di reddito disponibile. Rispetto al reddito disponibile utilizziamo sia la contabilità dei fattori, sia quella della domanda. Si tratta di due facce della stessa medaglia, ma con un significato economico abbastanza diverso. Il primo tende a misurare il Reddito dal lato del consumo, degli investimenti e della spesa pubblica; il secondo osserva la sua distribuzione, ovvero la ripartizione tra salari, profitto e rendita. Inoltre, EStà cerca sempre di comparare le informazioni statistiche con quelle di altre realtà socioeconomiche che meglio di altre possono essere associate al Paese o alla Regione Lombardia. Diversamente i “numeri” raccolti hanno una capacità esplicativa manifestamente contenuta. La comparazione è un tratto caratteristico del nostro lavoro.

Alcune ipotesi di ricerca sviluppate nel tempo e con un certo grado di raffinatezza, pur nei limiti sopra ricordati, suggeriscono che 1) alcune variabili sono più rappresentative di altre e 2) la combinazione tra due variabili permette di catturare (in parte) alcuni tratti dei fenomeni indagati. Solo per offrire una prima rappresentazione immaginiamo di voler catturare l’innovazione tecnologica e/o il contenuto tecnico degli investimenti. La prima potrebbe essere legata all’innovazione incorporata negli investimenti (investimenti su valore aggiunto), la seconda nell’intensità tecnologica (ricerca e sviluppo su investimenti). Naturalmente il fenomeno è più complesso, ma nel tempo ha mostrato una certa solidità, anche accademica, attraverso un certo numero di pubblicazioni.

Alcuni indicatori sono consolidati nella pubblicistica e difficilmente è possibile rinunciarvi:

  • Consumi
  • Investimenti
  • Spesa pubblica

A questi possiamo associare:

  • Reddito da lavoro;
  • Reddito da profitto;
  • Reddito da rendita, ancorché quest’ultima abbia non poche implicazioni economiche di difficile soluzione.

Come è facile intuire, è solo attraverso la comparazione con altre realtà socioeconomiche omogenee che queste variabili possono consegnarci un risultato adeguato a esprimere una qualsiasi valutazione. Inoltre, è necessario considerare le poste indicate utilizzando alcune sotto categorizzazioni: pro-capite, a prezzi costanti e/o correnti, in rapporto all’aggregato e via discorrendo.

EStà ha poi indagato nelle proprie ricerche la struttura economica, ovvero il contenuto quali-quantitativo dell’offerta. Di norma utilizziamo il valore aggiunto per addetto, sostanzialmente la produttività, nella consapevolezza che il valore aggiunto è soggetto a molte considerazioni. Infatti, il valore aggiunto, così come la sua dinamica, variazione su un anno base, è legato al posizionamento del settore rispetto alla domanda, al contenuto tecnico e tecnologico dell’output e alla specializzazione produttiva. Di norma tentiamo di catturare questi fenomeni in quanto restituiscono la “resilienza” del settore e del sistema economico nel suo insieme. Il processo potrebbe essere rappresentato come una approssimazione quali-quantitativa che assume ancor più significato se le informazioni considerate vengono comparate. In particolare:

  • Investimenti su valore aggiunto (reddito)
  • Ricerca e Sviluppo su investimenti che in alcuni casi può anche rappresentare la conoscenza incorporata nei beni capitali
  • Incidenza del valore aggiunto aggregato per settore che restituisce il quanto e il come una realtà economica è specializzata

Tale approccio è apparso un punto di partenza utile per catturare la grande sfida tecno-economica sottesa al Green deal e alla digitalizzazione. In effetti, se agli indicatori appena menzionati associamo le emissioni climalteranti (CO2 eq.)  possiamo “valutare” alcune correlazioni (link) tra le emissioni di CO2 con gli investimenti, la Ricerca e Sviluppo, il valore aggiunto e la specializzazione produttiva, ottenendo indicazioni su come un ambito settoriale e/o territoriale si colloca rispetto alla sfida cogente della decarbonizzazione. Più precisamente:

  • CO2 su valore aggiunto
  • CO2 su investimenti
  • CO2 su ricerca e sviluppo
  • CO2 su intensità tecnologica
  • CO2 su reddito da lavoro.

EStà si è anche cimentata in alcune stime circa gli effetti occupazionali e di valore aggiunto di investimenti, ricerca e sviluppo tesi a ridurre l’impatto climalterante della CO2. Una sfida che affonda le sue radici in approcci metodologi diversificati perché riflettono modi differenti di vedere la società, ma utili per costruire le stime, le quali rimangono tali. In effetti, un modello che catturi il potenziale paradigma tecno-economico non esiste, nemmeno nella teoria della complessità veicolata da Mauro Gallegati.

EStà non rappresenta il mondo per quello che è, piuttosto interpreta e suggerisce delle idee rispetto ad alcune variabili testate nel tempo. La materia economica e statistica non sono una scienza neutrale. Chi guarda il mondo ha sempre occhiali e fotografie da utilizzare.

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