Il progetto Un sacco et(n)ico si rivolge ad alcune attività di ristorazione etnica nelle città di Milano, Bergamo e Brescia utilizzando l’approccio della mediazione linguistico-culturale per raggiungere due obiettivi specifici: comunicare a ristoratori e ristoratrici le restrizioni introdotte dalla Direttiva Europea Single Use Plastics (Direttiva SUP), che ha vietato l’immissione sul mercato di diversi prodotti in plastica monouso utilizzati dalle attività di ristorazione in particolare per i servizi di asporto e di consegna a domicilio; migliorare la qualità della raccolta differenziata dei rifiuti prodotti da questo tipo di attività.
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Voto, società, politiche e quadro finanziario
15 Novembre 2022
di Roberto Romano
L’esito delle elezioni (settembre 2022) ha sollevato riflessioni politiche ed economiche, se non culturali, che sottendono una serie di domande che meglio di altre potrebbero aiutare la comprensione dei fenomeni sociali alla base dei risultati.
La domanda fondamentale che la narrazione più o meno condivisa rimuove è la seguente: dopo trent’anni di politiche economiche restrittive, in cui il lavoro è scivolato non solo ai margini dell’analisi economica, ma anche al margine dell’attività politica, unitamente a una prospettiva economico-sociale che rimuove il lavoro come soggetto del cambiamento, era possibile un esito elettorale diverso?
Sebbene la Storia ci ricordi che la partecipazione è parte integrante dello sviluppo economico e sociale, non appena si interrompe questo processo la partecipazione diventa un lusso che 1) polarizza la società e 2) la piega su dispute che riflettono lo stato d’animo (cultura) dei più o meno agiati, mentre il malessere (40% della popolazione) non si riconosce più nei partiti o leader che li guidano.
Il voto di settembre, forse, non è mai stato così limpido. Da un lato abbiamo quasi il 40% di astensione, che per alcune categorie lambisce il 50% degli aventi diritto (disoccupati) e il 45% tra gli operai e affini; da un altro lato la potenziale coalizione di governo può contare solo sul 27% degli aventi diritto al voto. Un governo indiscutibilmente di minoranza, ma con una rappresentanza sociale che potrebbe condizionarlo. In effetti, il centrodestra intercetta il 55% del voto operaio che si è espresso, contro il 15% della coalizione di centrosinistra. I 5 Stelle intercettano quasi il 17% del voto operaio, che ben si bilancia con il 24% di disoccupati e inoccupati, diversamente dal centrosinistra (PD, Verdi-Sinistra-Più Europa) che raccoglie il 21%. A proposito di disoccupati e inoccupati, il centrodestra intercetta quasi il 43% dei voti, con un risultato (sorprendente?) di Fratelli d’Italia che sfiora il 21%. In altri termini, i 5 Stelle sono il soggetto politico più rappresentativo di questa particolare categoria. Il Reddito di Cittadinanza è stato evidentemente percepito come uno strumento utile da quelle persone di cui pochi vogliono farsi carico.
Solo i pensionati sembrano fedeli alla Storia del Paese, sebbene in misura più contenuta. Infatti, Fratelli d’Italia supera il PD con quasi il 28% dei votanti, seguito dal PD (27%) e 5 Stelle (10%).
Al netto degli studenti che hanno votato a maggioranza 5 Stelle (25%), seguiti da PD (24%), Più Europa (11%), Fratelli d’Italia (10%) e Verdi-Sinistra (9%), perché la così detta sinistra non ha intercettato il voto storico di appartenenza? Dipende dalle politiche che ha seguito quando era al governo? Dalla perdita del legame storico con le classi popolari e dalla capacità e desiderio di rappresentare il disagio sociale nella sfera politica?
Queste domande non possono essere affrontate guardando a quanto accaduto nel recente passato. La Storia è lenta, ma prima o poi presenta il conto di 30 anni di politiche economiche e sociali. Occorre partire dal 1990 per catturare come la società e il ben-essere siano cambiati nel tempo. Senza questa narrazione sarebbe tecnicamente impossibile leggere quanto accaduto. La Storia conta e senza la conoscenza di questa Storia non è possibile rimediare alcunché.
Da un lato abbiamo un PIL reale nazionale che ormai è distante da quello tedesco e francese e, tra le altre cose, non ha nemmeno recuperato le posizioni del 2007. Gli investimenti, che restituiscono la percezione del futuro, sono in rapporto al PIL sempre più bassi dell’area euro e dei paesi considerati. In qualche modo, il livello degli investimenti è l’altra faccia della specializzazione produttiva. Al Paese non servono più investimenti data la bassa specializzazione del sistema economico in generale. Anche i consumi reali seguono l’andamento del PIL e fanno il paio con la crescita dell’avanzo commerciale, sostanzialmente legato alla dinamica del costo del lavoro e alla caduta dei consumi che hanno contratto le importazioni, unitamente a un indice GINI in costante crescita, sebbene in misura meno accentuata a partire dal 2002.
Per comprendere come il lavoro sia stato vittima di alcune politiche, possiamo indagare l’output per occupato a partire dal 1990. La storia è poco nota, ma la cosiddetta produttività nazionale era più alta di Francia e Germania tra il 1990 e il 2002. Dopo diventa una frazione di quella dei Paesi menzionati. Ma non è tutto. I salari versus la produttività tra il 1990 e il 2021 restituiscono qualcosa di impopolare, una sorta di spirale che passa da un lieve miglioramento fino al 2007, per poi ritornare alle stesse posizioni del 1992 per ciò che riguarda i salari. In altri termini, le politiche del lavoro hanno eroso il salario e ridotto la produttività, lasciando inermi e sconsolati proprio il riferimento sociale storico della sinistra.
Si poteva fare diversamente. Sebbene le politiche europee abbiano condizionato le politiche, queste potevano anche avere un segno diverso, se solo si fosse ascoltato il proprio corpo elettorale.
Ora la destra sembrerebbe rappresentare il lavoro, i disoccupati e una parte non banale dei pensionati. Hanno davanti a sé una legge di bilancio scritta da altri. Difficile modificare il segno date le disponibilità finanziarie, almeno che non si riscriva la matrice dell’economia italiana. Nel frattempo, la sinistra farebbe bene a raccontare tutta la storia e non cadere in un’idea di politica come esercizio riservato alle persone più agiate.
Indagine sull’economia libraria italiana
Indagine sull’economia libraria italiana
8 Novembre 2017
- (a) profilo della libreria;
- (b) strategie di acquisto e di vendita;
- (c) strategie di promozione;
- (d) gestione del personale e attenzione allo sviluppo.
Infrastrutture per la mobilità cicloturistica come occasione di coesione territoriale
Infrastrutture per la mobilità cicloturistica come occasione di coesione territoriale
1 Ottobre 2016
Il cicloturismo è una forma di turismo focalizzata sulla bicicletta, come mezzo di trasporto e come scopo stesso della vacanza. In questa pratica turistica destinazione e viaggio stesso tendono ad essere obiettivi egualmente importanti. Ogni anno in Europa vengono effettuati 2,29 miliardi di viaggi di questo tipo, per un valore generato totale di 44 miliardi di euro. L’80% del valore, pari a 35 miliardi di euro, è costituito da escursioni giornaliere praticate dai residenti dei territori attraversati dalle infrastrutture cicloturistiche, mentre il 20% rimanente (9 miliardi di euro annui in Europa) è costituito da escursioni che prevedono almeno una notte fuori casa.
Diverse realtà territoriali in Francia, Germania, Austria e Trentino hanno pianificato infrastrutture cicloturistiche a lunga percorrenza, ma il mondo dell’attrattività territoriale sta diventando sempre più complesso e competitivo. Questa complessità è fonte di opportunità, per coglierle appare fondamentale porre un’infrastruttura al centro di un sistema più ampio, capace di coinvolgere un insieme coordinato di politiche pubbliche per creare occasioni di sviluppo economico che aumentino il valore generato e la sua diffusione sociale. Trasformare le ciclovie in un elemento identitario significa agire sul place branding di un territorio, intercettando ed incrementando i flussi di cicloturisti per produrre un valore aggiunto diffuso.
Nell’ottica delle applicazioni innovative di EStà le Ciclovie rappresentano dunque un bene pubblico esperienziale al centro di politiche di coesione territoriale per la mobilità, lo sviluppo economico e l’ambiente, realizzate attraverso la messa a sistema dell’attività ordinaria e di progetti innovativi realizzati degli attori locali e sovralocali.
Questo approccio è stato sperimentato da EStà all’interno dello studio di fattibilità per la Ciclovia Olona Lura, la proposta di un’infrastruttura cicloturistica leggera lungo i fiumi Olona e Lura, nel territorio compreso tra Varese, Como e Milano, in grado di connettere il confine tra Italia e Svizzera, all’interno di un itinerario europeo già esistente da Strasburgo a Como (Eurovelo5). Il progetto, sviluppato da un ampio partenariato di attori istituzionali locali e cofinanziato dalla Fondazione Cariplo, ha analizzato la fattibilità di uno scenario per realizzare l’infrastruttura come elemento di coesione territoriale, intorno alla quale sviluppare politiche per la mobilità, lo sviluppo economico e l’ambiente.
Obiettivo del progetto è il completamento dell’infrastruttura in larga parte già esistente (oltre il 48%), unendo in un unico anello diversi itinerari già presenti lungo i due fiumi. Realizzare la ciclovia per la mobilità ed il tempo libero dei residenti, arricchirà anche l’offerta turistica per la scoperta del patrimonio territoriale, con i numerosi luoghi della cultura, i due siti UNESCO ed il paesaggio pedemontano dei 7 Parchi Locali.
Nello studio di fattibilità EStà ha analizzato e mappato un’ampia varietà di elementi strutturali e di fenomeni potenzialmente legati alla costruzione della Ciclovia Olona Lura, con questo approccio sono emerse anche le relazioni di reciprocità tra tutti gli elementi: infrastrutture esistenti, flussi cicloturistici e turistici, criticità, intermodalità, paesaggio, beni culturali, dinamiche ambientali, servizi cicloturistici, economie territoriali, attori istituzionali, politiche territoriali, competenze normative.
L’analisi di contesto è il preludio per la definizione di uno scenario di sviluppo che dovrà passare da un processo di coesione e governance territoriale, per far sì che gli attori locali agiscano in modo coordinato, all’interno della cornice della ciclovia per la sua realizzazione unitaria.
Progettare Ciclovie attraverso masterplan sistemici ed integrati
In un mondo sempre più competitivo, realizzare infrastrutture significa allestire un valore aggiunto che, partendo per esempio dalla mobilità ciclistica, possa estendersi a diverse politiche pubbliche quali sviluppo economico, ambiente e coesione territoriale, con l’obiettivo di incrementarne gli impatti. La complessità di tale infrastruttura può essere ben sintetizzata all’interno di un masterplan sistemico.
Continue readingCicloturismo: moda passeggera o settore economico in crescita?
Il fenomeno del cicloturismo indica forme di turismo molto diverse in termini di obiettivo della vacanza, caratteristiche e tipologia di servizi richiesti. Si spazia da vacanze itineranti su piste ciclabili protette, alla pratica sportiva della bici da corsa su strada e della MTB. L’analisi speditiva proposta da ESTà propone una sintesi di questi diversi elementi e dei costi (diretti e indiretti) ad essi associati.
Continue readingCartografia digitale e urban heritage: il progetto Milano Web-HGIS
La Milano del futuro deve guardare al passato per crescere in identità, attrattività e internazionalità. Tradizionalmente poco attenta al proprio passato, sempre proiettata al futuro, la città è invece ricca di storia e storie, che, se dissepolte e messe in relazione con l’attuale morfologia utilizzando tecnologie digitali georeferenziate e forme comunicative innovative, possono generare nuove forme di valore.
Continue readingL’obesità, una sfida per la politica alimentare della città di Milano
Nell’analizzare il sistema alimentare di una Città, vale la pena di dare ampio spazio alla dimensione della persona: alla sua salute, alla sua educazione e alle scelte alimentari, legate al recepimento dei messaggi comunicativi e delle culture. In questo ambito, il tema dell’obesità diventa centrale, sia per le sue implicazioni sul benessere delle persone sia per i costi sociali che genera.
Continue readingMilano a strati
Milano a strati
23 Dicembre 2013
Storia locale e scienze del territorio. Approcci che, pur insistendo sullo stesso oggetto (il ‘territorio’), sembrano appartenere ancora a mondi diversi. Da una parte, la storia “dei nostri luoghi”, antiquaria e del folklore, conservatrice per vocazione, carica di nostalgia di quello che c’era e che va scomparendo. Dall’altra, le scienze della pianificazione, orientate verso il futuro e la riorganizzazione funzionale dello spazio, soprattutto urbano. Due mondi, che però lo sviluppo del nuovo turismo culturale “esperienziale”, alimentato dalla fusione tra Internet e tecnologie mobile, e la nuova centralità del marketing territoriale nella governance locale stanno portando sempre più vicini. Un contributo, per costruire un ponte tra i due, viene oggi dal mondo, in rapida evoluzione negli ultimi anni, del computer mapping e dei Gis – quello, per intenderci, che è entrato nella nostra vita quando il Tom-Tom ha iniziato a guidarci nel traffico.
Negli Stati Uniti, e anche in Gran Bretagna e nel Nordeuropa, il computer mapping sta cambiando profondamente la geografia, ridefinendo il suo rapporto con la storia culturale, oltre che con le attività che ruotano attorno al concetto di place branding. Con la nascita degli Historical Gis (o H-Gis), i database georeferenziati dedicati ai dati storici, e con le modalità di geovisualizzazione che essi permettono, le carte geografiche, un tempo il prodotto finale, statico e definitivo, del processo di ricostruzione storica, sono diventate uno strumento duttile e creativo, che sta rivoluzionando didattica e ricerca. Attraverso la geovisualizzazione, strutture e ordini spaziali in precedenza nascosti si rivelano agli occhi degli esperti ma anche a quelli non esperti, senza la mediazione di tabelle e piani cartesiani. Nel quadro comune dello spazio georeferenziato, fatti e informazioni possono incontrarsi al di là dei limiti temporali e degli steccati disciplinari e il passato diventa “presente”.
In Italia, dove il confine tra discipline storico-umanistiche e scientifiche è ancora profondo, il concetto di H-Gis suona ancora straniero. Ed è un peccato, perché l’approccio che veicola sarebbe utilissimo per “spiegare” un territorio stracarico di storia come quello italiano a chi ci si addentra per la prima volta, scomponendolo e ricomponendolo nei suoi mille strati. Ma sarebbe utile anche per riesaminarlo con occhi nuovi, quasi “dal di fuori”. E per rivalutarne valori “diffusi” lasciati in ombra da una tradizione storico-artistica e turistica che, da sempre, nel nostro Paese e non solo, privilegia la dimensione più “verticale” e concentrata (e, in fondo, più deterritorializzata) dei grandi monumenti. Con gli H-Gis, ogni spazio antropizzato può essere guardato come se fosse quello di una città americana o di una provincia canadese, nella quale tutto (non solo i monumenti) è “storico” e può e deve essere letto come tale. E in quale spazio iniziare un esercizio simile se non a Milano, la più “americana” delle città italiane? È questa l’idea scaturita dall’incontro tra un geografo padovano trapiantato in Texas (Alberto Giordano) e un sociologo politico milanese con il pallino dell’analisi spaziale (Rocco Ronza), durante una conferenza di storici e geografi a Chicago, e trasformatosi nel progetto di PhD di un intraprendente studente toscano (Michele Tucci) grazie al supporto della Texas State University a San Marcos. Creare un database storico per l’intero sistema viario della Milano contemporanea, caricandovi tutte le informazioni utili a datarlo tanto nella sua struttura fisica (i tracciati delle vie) quanto in quella toponomastica (i nomi) come chiave per far venire alla luce tutta la storia contenuta nel tessuto urbano della città, ma non ancora nella sua autorappresentazione e nelle sue guide turistiche.
Nei record del database georeferenziato, costruito dai tre ricercatori ed esteso (per ora) al nucleo storico della metropoli lombarda (quello compreso all’interno delle mura spagnole costruite nel 1549-60), trovano nuova collocazione date e vicende storiche già immagazzinate negli scaffali un po’ impolverati dei cultori della storia milanese. L’ordine imposto dalla costruzione del database e le possibilità aperte dalla geovisualizzazione, però, le illuminano di luce nuova, rivelando strutture profonde e linee di continuità e discontinuità. Come la Troia di Schlieman, o come una torta a strati, il centro della Milano contemporanea si rivela come la risultante di diverse città storiche successive, collassate una dentro l’altro. Dal patchwork di frammenti provenienti da passati diversi, apparentemente confuso, riemerge il genoma della città. Così, la rete viaria del centro rivela la matrice profonda risalente alla Milano romana, riemersa pian piano dagli anni Sessanta con gli scavi nelle viscere del centro per la costruzione della metropolitana. Sopra di essa, si sviluppa la lunga crescita spontanea della città medievale, cinta e protetta dal Naviglio interno (quello che campeggia ancora nelle foto in bianco e nero della Milano di fine Ottocento-primo Novecento), che determina il passaggio dalla forma quadrata della prima città romana alla struttura a raggiera e alle sei porte della città medievale e moderna. Le stesse porte, come i noduli posti sulla corteccia di un grande albero secolare, si sposteranno, nel Cinquecento, sulla cerchia dei Bastioni spagnoli, anch’essa viva nel tracciato di una circonvallazione della città moderna. Dalla storia, parallela a quella dei tracciati, della datazione dei toponimi delle vie della città odierna esce una storia del potere che ha insistito sullo spazio urbano. Se la Milano medievale le ha lasciato in eredità una trapunta di nomi di vie legati alle chiese e ai palazzi patrizi, le sedi del potere sociale e religioso sociale, l’era delle dominazioni straniere vede la prima avocazione allo Stato dei compiti di pianificazione dello spazio urbano che, oltre alla fondazione dell’Accademia di Brera e alla costruzione dei primi spazi pubblici “civili”, conduce alla sanzione statale della toponomastica tradizionale voluta da Giuseppe II con la riforma affidata al conte Cusani nel 1786. Il passo successivo è la comparsa della toponomastica celebrativa, staccata dal riferimento a landmark locali e concepita consapevolmente per iscrivere un discorso e una narrazione egemonici nel paesaggio urbano, introdotta con la Repubblica giacobina e la dominazione napoleonica e sopravvissuta in una manciata di nomi riesumati, dal senso ormai perduto nella memoria collettiva milanese, dopo il 1860 (via della Moscova, via Senato, via dell’Unione). È infatti sull’esempio dell’amministrazione francese che l’élite liberale, appena insediata ai vertici del governo locale, si impegnerà nel grande progetto di riscrittura del tessuto toponomastico della citta storica che, insieme agli interventi sui tracciati e sull’edificato (la Galleria, la nuova piazza Duomo, il Cimitero monumentale, la nuova Porta Nuova), contraddistingue i decenni dal 1860 alla Prima guerra mondiale e disegna la struttura simbolica che domina ancora oggi il cuore dello spazio urbano milanese. Rispetto all’impronta della città risorgimentale, sparsi e poco incisivi appaiono i segni lasciati sulla matrice della città dalle culture politiche successive – non solo quella fascista, i cui interventi sul reticolo toponomastico sono scomparsi senza lasciar traccia, ma anche quelle (repubblicana, socialista, cattolico-democratica) che si contendono e dividono la città dopo il 1945.
La mappatura del genoma urbano (che, quando ci si muove sulla scala, rivela il genius loci dei diversi sestieri del centro: Porta Vercellina e Nuova più “risorgimentali”, Porta Ticinese medievale e viscontea, Porta Venezia più asburgica e viennese…) non è un’operazione fine a se stessa. Si inserisce, è vero, nello spirito di altre iniziative recenti (pensiamo ai percorsi della “Milano antica” lanciati dal Museo Archeologico nel 2010), ma si propone al tempo stesso come piattaforma e cornice in cui inserire progetti dedicati a periodi storici o dimensioni particolari della città, in modo che tutta la complessa “identità” del centro storico di Milano, fatta di tanti diversi “passati”, ritorni leggibile – agli stranieri ma anche ai residenti, vecchi e nuovi. Ma lo stesso potrebbe valere anche per le periferie della città, le aree apparentemente “senza storia” strappate alla campagna dopo l’avvento dell’industria e della ferrovia a partire dal piano Berruto (1884), se il progetto di un H-Gis di Milano potesse essere esteso un giorno a tutta l’area comunale e metropolitana. Anche qui, i segni lasciati sul territorio dal passato rurale o periurbano, talvolta risalenti alla notte dei tempi, si fondono e si mescolano con quelli molto più recenti sovrapposti dall’espansione urbana del secolo scorso. Storie e narrazioni diverse da quelle della città storica, ma altrettanto degne di essere ri-conosciute e ancora più nascoste di quelle, data la mancanza, o la esiguità, in un patrimonio edificato e monumentale che contraddistingue le periferie.
E in un H-Gis urbano costruito su queste linee potrebbero trovare ospitalità, infine, anche altri progetti che mettano a tema il perdurare del passato (la storia) nel presente (il territorio). Per esempio, quelli volti a censire l’età del patrimonio edificato della città, alcuni dei quali già avviati prima dell’era dei H-Gis, che potrebbero aggiungere una cruciale dimensione “verticale”, con tutte le sue evidenti implicazioni architettoniche e storiche, alle dimensioni “orizzontali” dei tracciati e della toponomastica. Purché questi progetti, però, non si limitino solo agli edifici monumentali o “di interesse storico”, ma si pongano come obiettivo la mappatura, magari graduale, di tutto l’edificato urbano. Perché la storia non smette mai di camminare e ciò che appena ieri era (banalmente) nuovo, oggi sta già trasformandosi in heritage, prezioso tassello di una memoria collettiva locale, e non solo locale, arricchendo di nuove trame il patchwork dello spazio in cui viviamo. Perfino in un Paese come il nostro, che di storia forse ne ha troppa – o dove talora si pensa che il tempo, per qualche misterioso scherzo del destino, abbia smesso di camminare in avanti.