Presentazione della ricerca su transizione ecologica e automotive

 

Presentazione della ricerca su transizione ecologica e automotive

12 Ottobre 2022

© Riccardo Massarotto

La ricerca redatta da Està e commissionata dal Segretario generale Uilm, Rocco Palombella, è stata presentata per la prima volta in occasione del XVII Congresso nazionale Uilm  che si è svolto a Roma presso l’Ergife Palace Hotel il 4, 5 e 6 ottobre 2022.

L’idea è nata per offrire all’importante dibattito congressuale spunti di riflessione su una tematica complessa e attuale come quella della transizione ecologica. Un cambiamento epocale che avrà un impatto in modo trasversale su tutti i settori dell’industria e, inevitabilmente, forti ricadute sull’occupazione.


Il 5 ottobre il Congresso ha ospitato una tavola rotonda dal titolo “Transizione ecologica: rischi o opportunità?” durante la quale illustri ospiti, economisti e sindacalisti, a cominciare dal Segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri, hanno avuto la possibilità di ascoltare i contenuti della ricerca e offrire ulteriori spunti di riflessione sul tema.

Il settore metalmeccanico e manifatturiero, cuore dell’industria italiana, più di altri subirà gli effetti del cambiamento in atto ed è per questo che Rocco Palombella ritiene fondamentale, tra le altre cose, stimolare la discussione in ottica costruttiva.

INDICE:
CAP 1 La transizione ecologica:problemi e quadro politico
1.1 Perché occorre decarbonizzare l’economia globale 2
1.1.1 Introduzione: il legame tra crescita economica
e uso dell’energia fossile 2
1.1.2 Vicini al limite di insostenibilità 5
1.1.3 Una fotografia delle emissioni climalteranti attuali. 9
1.2 Parigi 2015, Green Deal, PNRR: una sintesi degli interventi
politici in atto 16
CAP 2. A che punto è la transizione in Italia?
2.1 In Italia CO2 e PIL si disaccoppiano troppo lentamente 21
2.2 La situazione dei diversi settori produttivi, tra occupazione
e CO2e 25
CAP 3. La transizione ecologica del settore automotive
3.1 Tra rischio e opportunità 39
3.2 I numeri dell’occupazione automotive italiana 50
3.3 L’impatto occupazionale della transizione ecologica
per il settore automotive in Italia 55
3.4 Politiche europee: i casi di Germania, Spagna, Francia 66
APPENDICE 74
BIBLIOGRAFIA 79

Un particolare ringraziamento ai ricercatori Bianca Minotti e Samuele Alessandrini.

ITA

Clima e rischi sociali: la transizione giusta per l’automotive

Clima e rischi sociali: la transizione giusta per l’automotive

7 Ottobre 2022

Introduzione: il metodo di EStà.

A partire dai lavori multisettoriali sulla relazione tra diminuzione della CO2 ed effetti su occupazione e valore aggiunto, EStà sta elaborando un modello di analisi che permetta di valutare contemporaneamente gli impatti carbonici e gli impatti occupazionali dei singoli settori economici, offrendo evidenze scientifiche e scenari per la scelta di policy informate.

L’applicazione del modello all’analisi del sistema automotive lombardo sta producendo una serie di dati e considerazioni di cui di seguito si restituiscono alcuni elementi chiave, come anticipazione di un lavoro completo che verrà pubblicato da EStà nei primi mesi del 2023, grazie al contributo di Fondazione Cariplo.

La crisi di vendita dell’automotive in Italia

Il settore automotive tradizionale in Italia e in Lombardia è in forte crisi da tanti anni e e vive un calo proporzionale dell’occupazione, indipendente da qualunque vincolo esterno di natura climatico-ambientale.

La crisi è attestata sia dall’andamento storico del peso manifatturiero automotive italiano (v. figura sotto), sia dal numero di vetture italiane sul totale venduto a livello nazionale e lombardo (v. tabella sotto) .

Figura 1 – Rapporto produzione automobili Italia/Mondo (elaborazione EStà su dati ANFIA)

Tabella 1 – Immatricolazioni auto Italia e Lombardia per case nazionali e straniere (elaborazione EStà su dati ANFIA)

Le nuove normative europee (Fit for 55) sul divieto di vendita di veicoli endotermici dal 2035 e il passaggio a un nuovo modello di autoveicolo, anziché essere viste immotivatamente come un fattore di crisi, sarebbe quindi più opportuno fossero inquadrate come un’opportunità di rilancio e occasione per trovare nuovi ambiti di specializzazione dentro una filiera in via di ridisegno.

Cosa dice e che obblighi concreti comporta la normativa Fit for 55 sull’automotive?

La normativa Fit for 55 prevede che dal 2035 gli autoveicoli messi in vendita non possano emettere gas climalteranti durante l’uso (NB si parla di emissioni in fase di circolazione, non di emissioni in fase di LCA) e che già dal 2030 le automobili nuove dovranno emettere il 55% in meno rispetto ai dati del 2021, mentre per i furgoni è prevista una diminuzione intermedia del 50%. Sono indicate eccezioni per le auto di lusso. È previsto che nel 2026 la Commissione Europea valuti la necessità di riesaminare il provvedimento tenendo conto degli eventuali sviluppi tecnologici.

Quali sono le tecnologie che possono realisticamente soddisfarla?

Sono poche le possibilità concrete di sostituire i motori endotermici con altre tecnologie contemporaneamente in grado di essere disponibili in tempi stretti, a costi competitivi e garantendo le emissioni climalteranti prossime allo zero in fase di circolazione. Le analisi economiche e ingegneristiche svolte da Columbia SIPA; Global CCS Institute; Kyoto club – CNR – IIA; International Council on Clean Transportation (ICCT); MIMS (Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile); Politecnico di Milano e Torino; Transport & Environment sono infatti unanimi nell’indicare che solo l’auto elettrica pura a batteria (BEV) è in grado di soddisfare tutte queste condizioni.

In particolare le principali alternative potenziali mostrano una serie di limiti: gli E-Fuel hanno il doppio vincolo della quantità insostenibile di energia pulita necessaria a produrne in quantità adeguata, e della mancanza di quantità sufficienti di carbonio pulito; i veicoli a idrogeno (FCEV) hanno un’efficienza energetica del 25-35% rispetto al 70-90% del veicolo BEV e costi e rischi superiori relativi a tutte le principali variabili (fonte di alimentazione, installazione della struttura di ricarica, raggiungibilità della struttura stessa).

Quanti sono gli occupati impattati dalla transizione ecologica-tecnologica?

Per ciò che riguarda gli occupati a livello complessivo – ossia considerando anche i nuovi settori, adiacenti a quelli strettamente legati alla filiera degli autoveicoli – i posti di lavoro rimarranno sostanzialmente gli stessi. Qui sotto la valutazione fatta a livello europeo dal Boston Consulting Group nella quale al 2030 è previsto un bilancio complessivo di sostanziale parità tra occupati persi e occupati acquisiti.

Per ciò che riguarda gli impiegati del settore automotive puro: EStà ha esaminato quali sono le parti di automobile endotermica che non saranno presenti nell’automobile elettrica, e quanti sono gli occupati dei settori Ateco relativi (considerando non solo produzione e componentistica, ma anche manutenzione –  riparazione). Da queste analisi risulta che in Lombardia il numero di occupati impattati si aggira complessivamente intorno ai 19mila – con margini significativi di approssimazione in alto e in basso. Da qui emerge un forte bisogno di politiche adeguate affinché l’impatto non dia luogo a un effetto che in partenza non è scontato: la perdita di posti di lavoro in Lombardia.

Quali sono gli interventi attivabili a livello regionale per ridurre il rischio di cui sopra?

L’impatto di cui sopra è differente in funzione dei sotto settori specifici in cui gli occupati lavorano. I tre settori maggiormente impattati dalla transizione saranno quelli della Fabbricazione di altre parti ed accessori per autoveicoli e loro motori, della Fabbricazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche e delle Riparazioni meccaniche di autoveicoli.

Anche il tipo di intervento per rispondere all’impatto non è univoco: si passa dalla necessità di un semplice aggiornamento a necessità più complesse come quelle di riqualificazione e collocamento. Di seguito si sintetizzano le principali categorie di intervento, con accanto i numeri degli occupati interessati rispetto al totale, un primo stimolo ad un dibattito interattoriale per la ricerca delle politiche adatte alla loro realizzazione:

  1. aggiornamento, per coloro che presumibilmente manterranno lo stesso profilo professionale: 0,5%  di occupati interessati rispetto al totale.
  2. aggiornamento e ricollocamento, per coloro che presumibilmente avranno un profilo professionale simile: 39%.
  3. riqualificazione e ricollocamento, per coloro che presumibilmente dovranno avere un nuovo profilo professionale: 20%.

Quattro messaggi chiave finali:

1.  Il settore automotive italiano e lombardo è in crisi da molti anni, indipendentemente dalla transizione ecologica.

2. La transizione all’auto elettrica è inevitabile e va anticipata per quanto possibile, così da non accumulare altri ritardi industriali.

3. Gli occupati nella filiera complessiva resteranno circa gli stessi, se si considera non solo il comparto automobilistico in senso stretto, ma anche le industrie adiacenti.

4. È importante tutelare gli occupati esistenti attraverso aggiornamento e formazione, così che possano continuare a lavorare anche all’interno del nuovo sistema industriale.

I numeri e la società

19 Maggio 2021

© Loulou and Tummie, 2015
© Loulou and Tummie, 2015
 

I numeri e la società

I fenomeni economici e sociali non possono e non sono ravvisabili nei numeri. La statistica descrittiva aiuta a studiare i fenomeni quantitativi e qualitativi della collettività, sebbene le condizioni di incertezza, cioè di incompleta conoscenza di essa o di una sua parte, assegnano alla logica e all’intelligenza un ruolo ancor più stringente. La semplice rilevazione di un numero, per esempio l’inflazione, non permette di catturare il fenomeno dell’inflazione. Occorre accoppiare sempre un’altra rilevazione per catturare e interpretare la crescita dei prezzi: possono crescere i profitti, il costo delle materie prime, oppure gli investimenti non hanno dato i risultati attesi. Possiamo anche sostenere che la crescita della massa monetaria ha permesso la crescita dei prezzi dei titoli quotati in borsa; è una crescita del valore dei titoli trattati o una crescita dei prezzi dei titoli trattati?

La dissertazione è un avvertimento ai naviganti circa le misure e gli indicatori. Sono sempre utili e funzionali all’interpretazione dei fenomeni, ma è solo grazie al metodo e all’intelligenza che i numeri possono raccontarci qualcosa di interessante, che rimane pur sempre parziale e verificabile (Popper e la discutibilità della tesi).

L’esperienza e il lavoro aiutano. Passo dopo passo permette di affinare le informazioni statistiche, di testarle e verificare la loro attendibilità (parziale) rispetto ai fenomeni economici e sociali.

EStà ha maturato alcune convinzioni rispetto ai numeri che più e meglio di altri aiutano la comprensione della società.  Sono un supporto prezioso per catturare il ben-essere della collettività ravvisabile nei cambiamenti climatici, occupazionali e di reddito disponibile. Rispetto al reddito disponibile utilizziamo sia la contabilità dei fattori, sia quella della domanda. Si tratta di due facce della stessa medaglia, ma con un significato economico abbastanza diverso. Il primo tende a misurare il Reddito dal lato del consumo, degli investimenti e della spesa pubblica; il secondo osserva la sua distribuzione, ovvero la ripartizione tra salari, profitto e rendita. Inoltre, EStà cerca sempre di comparare le informazioni statistiche con quelle di altre realtà socioeconomiche che meglio di altre possono essere associate al Paese o alla Regione Lombardia. Diversamente i “numeri” raccolti hanno una capacità esplicativa manifestamente contenuta. La comparazione è un tratto caratteristico del nostro lavoro.

Alcune ipotesi di ricerca sviluppate nel tempo e con un certo grado di raffinatezza, pur nei limiti sopra ricordati, suggeriscono che 1) alcune variabili sono più rappresentative di altre e 2) la combinazione tra due variabili permette di catturare (in parte) alcuni tratti dei fenomeni indagati. Solo per offrire una prima rappresentazione immaginiamo di voler catturare l’innovazione tecnologica e/o il contenuto tecnico degli investimenti. La prima potrebbe essere legata all’innovazione incorporata negli investimenti (investimenti su valore aggiunto), la seconda nell’intensità tecnologica (ricerca e sviluppo su investimenti). Naturalmente il fenomeno è più complesso, ma nel tempo ha mostrato una certa solidità, anche accademica, attraverso un certo numero di pubblicazioni.

Alcuni indicatori sono consolidati nella pubblicistica e difficilmente è possibile rinunciarvi:

  • Consumi
  • Investimenti
  • Spesa pubblica

A questi possiamo associare:

  • Reddito da lavoro;
  • Reddito da profitto;
  • Reddito da rendita, ancorché quest’ultima abbia non poche implicazioni economiche di difficile soluzione.

Come è facile intuire, è solo attraverso la comparazione con altre realtà socioeconomiche omogenee che queste variabili possono consegnarci un risultato adeguato a esprimere una qualsiasi valutazione. Inoltre, è necessario considerare le poste indicate utilizzando alcune sotto categorizzazioni: pro-capite, a prezzi costanti e/o correnti, in rapporto all’aggregato e via discorrendo.

EStà ha poi indagato nelle proprie ricerche la struttura economica, ovvero il contenuto quali-quantitativo dell’offerta. Di norma utilizziamo il valore aggiunto per addetto, sostanzialmente la produttività, nella consapevolezza che il valore aggiunto è soggetto a molte considerazioni. Infatti, il valore aggiunto, così come la sua dinamica, variazione su un anno base, è legato al posizionamento del settore rispetto alla domanda, al contenuto tecnico e tecnologico dell’output e alla specializzazione produttiva. Di norma tentiamo di catturare questi fenomeni in quanto restituiscono la “resilienza” del settore e del sistema economico nel suo insieme. Il processo potrebbe essere rappresentato come una approssimazione quali-quantitativa che assume ancor più significato se le informazioni considerate vengono comparate. In particolare:

  • Investimenti su valore aggiunto (reddito)
  • Ricerca e Sviluppo su investimenti che in alcuni casi può anche rappresentare la conoscenza incorporata nei beni capitali
  • Incidenza del valore aggiunto aggregato per settore che restituisce il quanto e il come una realtà economica è specializzata

Tale approccio è apparso un punto di partenza utile per catturare la grande sfida tecno-economica sottesa al Green deal e alla digitalizzazione. In effetti, se agli indicatori appena menzionati associamo le emissioni climalteranti (CO2 eq.)  possiamo “valutare” alcune correlazioni (link) tra le emissioni di CO2 con gli investimenti, la Ricerca e Sviluppo, il valore aggiunto e la specializzazione produttiva, ottenendo indicazioni su come un ambito settoriale e/o territoriale si colloca rispetto alla sfida cogente della decarbonizzazione. Più precisamente:

  • CO2 su valore aggiunto
  • CO2 su investimenti
  • CO2 su ricerca e sviluppo
  • CO2 su intensità tecnologica
  • CO2 su reddito da lavoro.

EStà si è anche cimentata in alcune stime circa gli effetti occupazionali e di valore aggiunto di investimenti, ricerca e sviluppo tesi a ridurre l’impatto climalterante della CO2. Una sfida che affonda le sue radici in approcci metodologi diversificati perché riflettono modi differenti di vedere la società, ma utili per costruire le stime, le quali rimangono tali. In effetti, un modello che catturi il potenziale paradigma tecno-economico non esiste, nemmeno nella teoria della complessità veicolata da Mauro Gallegati.

EStà non rappresenta il mondo per quello che è, piuttosto interpreta e suggerisce delle idee rispetto ad alcune variabili testate nel tempo. La materia economica e statistica non sono una scienza neutrale. Chi guarda il mondo ha sempre occhiali e fotografie da utilizzare.

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Una politica industriale utile per il clima e l’occupazione

Una politica industriale utile per il clima e l’occupazione

29 Dicembre 2020

AUTORI

Massimiliano Lepratti, Roberto Romano - EStà

© Terence Eduarte, 2016
© Terence Eduarte, 2016
 

Articolo pubblicato su Il Manifesto, 29.12.2020

  

La finalità di preservare la specie umana dai danni di un innalzamento della temperatura superiore a 1,5° (tra il 1880 e il 2100) sembra mettere d’accordo buona parte della pubblicistica nazionale, così come è indubbia la popolarità delle posizioni etiche di figure carismatiche come papa Francesco. Come sempre il problema più complesso non risiede nel campo dei principi generali, ma in quello delle scelte concrete che consentono o meno la realizzazione di quei principi. E su questo conviene provare a mettere un poco di ordine, superando il livello dell’aneddotica per porsi sul piano strutturale. La ricerca “Il green deal conviene” coordinata dall’Italian Climate Network e realizzata dall’associazione Està prova a porre quest’ordine, partendo dall’analisi degli obiettivi europei e nazionali. 

L’UE ha finalmente riconosciuto la necessità di ridurre del 55% tra il 1990 e il 2030 le emissioni dei gas ad effetto climalterante, un esito non scontato fino a poco tempo addietro e, sebbene inferiore a quanto richiesto dal Parlamento europeo (60%), estremamente sfidante per le scelte da compiere nel prossimo decennio. In Italia il piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) prodotto a livello interministeriale a fine 2019, ancor prima di poter essere attuato, risulta inadeguato in quanto costruito su un’ipotesi di riduzione dei gas climalteranti pari a meno del 40%.

La prima scelta concreta da compiere è quindi un adattamento degli obiettivi: l’Italia deve ridurre le sue emissioni di un 15% in più rispetto a quanto si riteneva l’anno scorso, ma questo 15% aggiuntivo si concentra tutto nei dieci anni tra il 2020 e il 2030. Per ottenere l’obiettivo le scelte principali possono concentrarsi sui soli aspetti ambientali, oppure possono combinare virtuosamente aspetti ambientali e aspetti socioeconomici, integrando diminuzione dei gas a effetto climalterante, aumento del valore aggiunto prodotto e aumento dell’occupazione. Questa seconda strada è ovviamente di gran lunga preferibile e su di essa si concentra la ricerca.

Il primo passaggio necessario è il riconoscimento dell’attuale struttura produttiva italiana e della sua dinamica recente. Il sistema produttivo nazionale ha conosciuto negli anni della crisi post 2008 un’involontaria svolta green a forte impatto sociale, dovuta alla chiusura di un alto numero di aziende manifatturiere altamente inquinanti e poco competitive. Nel periodo più vicino (2014-2019) il sistema nel suo complesso sembra aver iniziato una dinamica di disaccoppiamento: le emissioni diminuiscono (seppur di poco) a fronte di un (leggero) aumento di valore aggiunto e occupazione, dimostrando empiricamente come sia possibile diminuire l’impatto sul cambiamento climatico, aumentando allo stesso tempo PIL e occupazione.

Ma come rinforzare questa dinamica assolutamente troppo debole? I risultati di diverse ricerche convergono nel segnalare alcune priorità: il settore dei trasporti italiano risulta aver addirittura aumentato la sua quota di emissioni climalteranti dal 1990 al 2018 e il complesso degli edifici, in grandissima parte privati, ha avuto un eguale comportamento negativo, aggravato da una scarsa efficienza energetica. Entrambi questi settori assommano ciascuno circa un quarto delle attuali quote di produzione di CO2 equivalente; aggiungendo il settore della produzione e distribuzione dell’energia si arriva al 70% delle emissioni italiane.

A queste priorità è importante corrispondere azioni conseguenti e focalizzate sulle politiche industriali che, oltre a prospettare le migliori prestazioni in termini di riduzione delle emissioni, offrano le migliori opportunità in termini di crescita della ricchezza e dell’occupazione.

I sistemi di produzione e di consumo energetico basate sull’energia solare e combinati con una varietà di sistemi di accumulo sono senz’altro una risposta efficace sul piano climatico, ma perché diventino una risorsa per l’intero sistema economico ed occupazionale, non basta installarli. Occorre indirizzare il sistema produttivo del paese, a cominciare dai suoi enti di ricerca e dai suoi grandi attori a partecipazione pubblica, affinché l’Italia sia anche in grado di produrre e vendere gli strumenti tecnologicamente più avanzati per lo sfruttamento dell’intero ciclo del solare, evitando di arricchire solo i produttori di paesi esteri. Discorsi analoghi riguardano i sistemi di trasporto, i sistemi di costruzione e ristrutturazione delle abitazioni, nonché di produzione degli strumenti per lo sfruttamento e l’accumulo dell’energia eolica. Ognuno di questi interventi è l’occasione per creare una filiera nazionale tecnologicamente avanzata, ma le condizioni per farlo sono ciò che una politica industriale seria richiede: concentrarsi su poche grandi priorità ed evitare interventi a pioggia su prospettive di breve respiro (ad esempio quelle legate all’energia fossile altamente inquinante come il gas, necessariamente destinato all’abbandono in tempi non lunghi).

Una politica industriale, per il clima, per la ricchezza e per l’occupazione. L’occasione è ghiotta, la sfida non rinviabile.

 

Massimiliano Lepratti, Roberto Romano

 

© 2020 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE