FOOD POLICY E MEDITERRANEO

𝗠𝗘𝗗𝗜𝗧𝗘𝗥𝗥𝗔𝗡𝗘𝗔𝗡 𝗜𝗡𝗡𝗢𝗩𝗔𝗧𝗜𝗢𝗡 𝗔𝗚𝗥𝗜𝗙𝗢𝗢𝗗 𝗪𝗘𝗘𝗞
 
EStà ha partecipato alla terza Settimana Agroalimentare Mediterranea organizzata dal CIHEAM Bari.
 
Il motto dell’evento di quest’anno è “Il futuro è giovane: cambiare le menti per affrontare il cambiamento“, con l’obiettivo di valutare i principali ostacoli che i giovani del Mediterraneo devono affrontare nel tentativo di apportare cambiamenti al sistema alimentare.
Un evento dalla grande rilevanza e partecipazione istituzionale, da attendere ogni anno.
Le politiche locali del cibo sono quell’insieme di tutte le attività che – con le istituzioni o dentro le istituzioni – si possono fare legate a tutte le componenti del sistema alimentare.
Da questo punto di vista c’è un grande spazio di innovazione da parte delle istituzioni, perchè mettere insieme tutti questi temi e lavorare in modo sistemico, richiede la capacità di
 
– 𝗰𝗼𝘀𝘁𝗿𝘂𝗶𝗿𝗲 𝗹𝗲 𝘀𝘁𝗿𝗮𝘁𝗲𝗴𝗶𝗲
– 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗶𝗻 𝗺𝗼𝗱𝗼 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗴𝗿𝗮𝘁𝗼
– 𝗰𝗼𝗹𝗹𝗮𝗯𝗼𝗿𝗮𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗴𝗹𝗶 𝗶𝗻𝗻𝗼𝘃𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗮𝗹𝗶 e imprenditoriali che contribuiscono alla trasformazione sostenibile del sistema.
 
È quindi interessante pensare, in una prospettiva mediterranea, come può cambiare il sistema alimentare del Mediterraneo partendo dai contesti locali.
Si tratta una dinamica win-win tra attori, e qui – nelle politiche locali del cibo – esiste uno spazio di innovazione molto rilevante.

Raccomandazioni per il rafforzamento delle filiere locali del legno

Raccomandazioni di policy

L’interpretazione degli indicatori socio-economici, le interviste ad alcuni attori dell’industria del legno e l’analisi della letteratura scientifica sui temi del progetto ci permettono di fornire alcune indicazioni strategiche ai decisori politici e agli stessi attori del settore nello Spazio Alpino.

Queste indicazioni sono classificate secondo sei dimensioni che abbiamo ritenuto di primaria importanza nell’odierno contesto economico e politico: le politiche pubbliche, la struttura della politiche pubbliche, la struttura della filiera, la questione dei dati, la struttura delle aziende locali e la proprietà del territorio, gli attori principali e il ruolo della comunicazione.

Questo lavoro rappresenta un approccio per raccogliere e sistematizzare opinioni, indicazioni e dati provenienti da un’ampia varietà di attori che svolgono ruoli diversi nella filiera.  Per questo motivo, le indicazioni che seguono possono essere talvolta contrastanti, ma proprio per questo offrono un’interpretazione articolata dei molteplici interessi in gioco nella catena di filiera del legno dello Spazio Alpino.

Esempi di infografiche estratte dal report

Un sacco et(n)ico: un progetto di mediazione linguistico-culturale per la sostenibilità

Il progetto Un sacco et(n)ico si rivolge ad alcune attività di ristorazione etnica nelle città di Milano, Bergamo e Brescia utilizzando l’approccio della mediazione linguistico-culturale per raggiungere due obiettivi specifici: comunicare a ristoratori e ristoratrici le restrizioni introdotte dalla Direttiva Europea Single Use Plastics (Direttiva SUP), che ha vietato l’immissione sul mercato di diversi prodotti in plastica monouso utilizzati dalle attività di ristorazione in particolare per i servizi di asporto e di consegna a domicilio; migliorare la qualità della raccolta differenziata dei rifiuti prodotti da questo tipo di attività.

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Presentazione della ricerca su transizione ecologica e automotive

 

Presentazione della ricerca su transizione ecologica e automotive

12 Ottobre 2022

© Riccardo Massarotto

La ricerca redatta da Està e commissionata dal Segretario generale Uilm, Rocco Palombella, è stata presentata per la prima volta in occasione del XVII Congresso nazionale Uilm  che si è svolto a Roma presso l’Ergife Palace Hotel il 4, 5 e 6 ottobre 2022.

L’idea è nata per offrire all’importante dibattito congressuale spunti di riflessione su una tematica complessa e attuale come quella della transizione ecologica. Un cambiamento epocale che avrà un impatto in modo trasversale su tutti i settori dell’industria e, inevitabilmente, forti ricadute sull’occupazione.


Il 5 ottobre il Congresso ha ospitato una tavola rotonda dal titolo “Transizione ecologica: rischi o opportunità?” durante la quale illustri ospiti, economisti e sindacalisti, a cominciare dal Segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri, hanno avuto la possibilità di ascoltare i contenuti della ricerca e offrire ulteriori spunti di riflessione sul tema.

Il settore metalmeccanico e manifatturiero, cuore dell’industria italiana, più di altri subirà gli effetti del cambiamento in atto ed è per questo che Rocco Palombella ritiene fondamentale, tra le altre cose, stimolare la discussione in ottica costruttiva.

INDICE:
CAP 1 La transizione ecologica:problemi e quadro politico
1.1 Perché occorre decarbonizzare l’economia globale 2
1.1.1 Introduzione: il legame tra crescita economica
e uso dell’energia fossile 2
1.1.2 Vicini al limite di insostenibilità 5
1.1.3 Una fotografia delle emissioni climalteranti attuali. 9
1.2 Parigi 2015, Green Deal, PNRR: una sintesi degli interventi
politici in atto 16
CAP 2. A che punto è la transizione in Italia?
2.1 In Italia CO2 e PIL si disaccoppiano troppo lentamente 21
2.2 La situazione dei diversi settori produttivi, tra occupazione
e CO2e 25
CAP 3. La transizione ecologica del settore automotive
3.1 Tra rischio e opportunità 39
3.2 I numeri dell’occupazione automotive italiana 50
3.3 L’impatto occupazionale della transizione ecologica
per il settore automotive in Italia 55
3.4 Politiche europee: i casi di Germania, Spagna, Francia 66
APPENDICE 74
BIBLIOGRAFIA 79

Un particolare ringraziamento ai ricercatori Bianca Minotti e Samuele Alessandrini.

ITA

Ridurre la CO2, aumentando l’occupazione

Ridurre la CO2, aumentando l’occupazione

20 Luglio 2022

© Bratislav Milenkovic, Everything factory
© Bratislav Milenkovic, Everything factory

L’economia industriale, fin dai suoi albori nel 1800, si è sviluppata attraverso una serie di grandi ondate di innovazioni succedutesi nel tempo: dall’applicazione del vapore alla produzione tessile, alle rivoluzioni nei trasporti ferroviari e marittimi, guidate dalle commesse statali, all’era dell’acciaio del petrolio e dell’elettricità, fino alla produzione fordista di automobili ed elettrodomestici “bianchi” e poi ai cambiamenti introdotti dalle tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione. Negli ultimi anni le innovazioni si stanno orientando verso un paradigma intersettoriale che alcuni etichettano con il termine di Green economy e che potrebbe offrire l’occasione per il rilancio del sistema produttivo e occupazionale.

La Green economy recentemente sta usufruendo di un quadro strategico e normativo che può accompagnarlo verso quel salto di paradigma finora realizzato solo parzialmente. La strategia europea del Green Deal, fortemente voluta dall’attuale Commissione insediata a Bruxelles, offre un contesto per un rilancio e un ripensamento delle priorità industriali e agricole continentali. Il Green Deal nasce come spinta istituzionale a fare dell’Unione europea il luogo dove gli obiettivi obbligatori di decarbonizzazione decisi nella COP di Parigi del 2015 si sposino con obiettivi di rilancio produttivo dell’Europa a 27. Inizialmente disegnato come strategia generale, nel tempo il Green Deal si è dotato di strumenti cogenti tra cui la Legge climatica, che definisce obbligatoriamente le tappe di decarbonizzazione europea, e il pacchetto Fit for 55. Quest’ultimo entra nel merito di scelte riferite a singoli settori, come ad esempio il comparto automotive a cui impone il divieto di vendere dopo il 2035 autoveicoli a motore endotermico (ossia alimentato da benzina e gasolio), disegnando la cornice per nuovi percorsi di ricerca e industrializzazione.

L’elemento culturalmente, oltre che economicamente, più caratterizzante di questi percorsi è il tentativo di integrare obiettivi che fino a pochi anni fa apparivano confliggenti. Scelte di tipo economico in contrasto con priorità di tutela ambientale hanno infatti contraddistinto le diverse fasi della rivoluzione industriale ricordate all’inizio, e il contrasto è divenuto sempre più aperto a partire dagli anni Settanta del ‘900 quando, in diversi paesi, ha cominciato a maturare una sensibilità e una pratica di natura ecologista. In Italia ancora oggi l’Ilva di Taranto è uno dei principali simboli della divergenza fra le “esigenze del PIL e dell’occupazione” da un lato e le esigenze di salvaguardia della salute degli esseri umani e dell’ambiente dall’altro.

Oggi lo scenario culturale è parzialmente diverso, ma cogliere l’obiettivo di integrare la sfida di mantenere il clima planetario entro limiti che lo rendano adatto alla vita umana e di aumentare al contempo ricchezza e occupazione richiede un salto di paradigma per il quale non bastano le  dichiarazioni di principio, e si rende necessario un apparato analitico e di politiche adeguato alla sfida del tempo.

Un primo livello analitico e operativo attiene al campo degli interventi trasversali o sistemici, ossia a quelle letture e a quelle proposte che si rivolgono a un sistema nella sua interezza. Come ogni salto di paradigma anche il pieno dispiegarsi di un’economia decarbonizzata ad alto impatto di occupazione qualificata, richiede un investimento adeguato di ricerca e sviluppo e di successiva industrializzazione di brevetti che collochino l’Europa e l’Italia nei punti della filiera dove si colloca il maggior valore aggiunto. La messa in posa dei pannelli fotovoltaici e la progettazione di pannelli fotovoltaici di ultima generazione non sono la stessa cosa. La prima produce basso valore aggiunto e occupazione pagata poco e precaria, mentre un’industria dei pannelli fotovoltaici avanzati, o delle batterie al litio o al sale ad alta densità energetica produce molto più valore aggiunto e un’occupazione di qualità ben diversa. Naturalmente la ricerca e sviluppo hanno bisogno di adeguati investimenti, e la successiva industrializzazione deve disporre di lavoratori adeguatamente formati e aggiornati.

Un secondo livello analitico e operativo attiene invece ai singoli settori economici, ciascuno dei quali ha caratteristiche specifiche e richiede interventi mirati per aumentare l’occupazione. Ad esempio l’agricoltura a bassa emissione di gas climalteranti e ad alto assorbimento di carbonio tende a richiedere un’intensità di lavoro maggiore e operatori più qualificati rispetto all’agricoltura industriale convenzionale. Ancora, la produzione di energia rinnovabile, rispetto alla produzione di energia fossile, secondo gli scenari dell’agenzia IRENA prefigura impatti occupazionali circa 2,8 superiori, offrendo una prospettiva virtuosa sia a livello emissivo, sia a livello lavoratvo. Diversi sono invece gli scenari relativi ad altri comparti: il settore metallurgico e metalmeccanico offre prospettive rispetto alle quali l’intervento pubblico di accompagnamento a una transizione a saldo occupazionale positivo è fortemente necessario.

EStà dal 2020 è impegnata a fornire strumenti analitici per il miglior bilanciamento possibile tra esiti di decarbonizzazione ed esiti occupazionali. Nel 2020 ha prodotto con l’Italian Climate Network (ICN) il report di ricerca “Il Green Deal conviene” (https://assesta.it/new-site/wp-content/uploads/2020/11/Green-Deal.-Benefici-occupazionali-1.pdf) nel quale ha condotto sia una ricerca sulle politiche trasversali, sia una ricerca sui singoli settori produttivi italiani, per valutare come massimizzare la decarbonizzazione aumentando l’occupazione. Oggi EStà, attraverso metodi di analisi originali, sta indagando due settori produttivi del territorio lombardo: l’agroforestale e l’automotive. Nel primo caso per valutare scenari carbonico-occupazionali relativi a scelte sul cosa e sul come coltivare nella regione: quando e dove è meglio destinare un terreno a foresta o a un determinato tipo di coltivazione? Con quali tecniche si ottengono quali risultati ? Che tipo di combinazione di impatti carbonico-occupazionali si produce con ciascuna scelta? Nel secondo caso per analizzare i rischi effettivi e i potenziali di creazione di nuovo impiego all’interno della transizione tra auto endotermica e auto elettrica: quali tipologie di veicoli permettono di rispettare gli obiettivi della legge climatica europea? In Lombardia quali occupati e in quali settori sono esposti alla transizione e ai rischi occupazionali? Quali nuovi posti di lavoro e in che settori è legittimo attendersi dal cambio di produzione automobilistica?

Il modello di analisi applicato da EStà  deriva da una serie di presupposti teorici e di metodo applicati nell’analisi empirica: l’analisi della struttura economica complessiva e della relazione tra domanda e offerta; lo studio sul livello di specializzazione produttiva dei sistemi economici come cartina di tornasole delle potenzialità per un’occupazione di alta qualità, l’esame dei dati primari ricombinati con il sapere degli attori chiave per fotografare in maniera dettagliata e realistica gli impatti sulle emissioni e sui posti di lavoro; l’utilizzo di indicatori primari e di indicatori ricombinati per offrire diversi livelli di sintesi della situazione esaminata; l’uso di domande di ricerca che rispondano ai bisogni di chi utilizzerà i risultati per prendere decisioni; l’uso di linguaggi testuali e infografici rigorosi, ma non tecnici, per facilitare le letture; le raccomandazioni di policy argomentate da evidenze scientifiche per connettere il mondo della ricerca ai bisogni socio-politici; la scenarizzazione per facilitare la presa di decisioni attraverso cruscotti integrati socioeconomico-ambientali. Un bagaglio teorico e metodologico in continuo sviluppo per  affrontare adeguatamente una fase probabilmente epocale dello sviluppo economico: il passaggio da un modello produttivo basato sull’energia fossile, ad un modello basato sulle energie rinnovabili. L’ultima volta che l’umanità ha cambiato il tipo di fonte energetica di riferimento è iniziata la Rivoluzione industriale.

 

 

La resilienza per le PMI tra digitalizzazione e territorio. Il caso dello Spazio Alpino.

“Come rafforzare la resilienza delle PMI nello Spazio Alpino?” è la domanda di ricerca che ha guidato lo studio di EStà all’interno del progetto AlpGov2 di EUSALP, l’agenda strategica della macro regione alpina.

Il report prodotto da EStà ha investigato i concetti di vulnerabilità e resilienza attraverso una metodologia di indagine mista. Da una parte, un set di indicatori socioeconomici offre un’ampia panoramica del sistema manufatturiero della regione alpina, dall’altra i risultati dei questionari alle PMI e delle interviste ai principali stakeholders del progetto indagano le capacità di innovare, di integrare l’economia circolare e la digitalizzazione nei processi produttivi e di costruire una rete di forti relazioni esterne.

I principali risultati delle analisi quanti-qualitative hanno permesso di costruire una matrice di vulnerabilità che restituisce in modo diretto e graficamente efficace il grado di vulnerabilità delle filiere produttive (quattro oggetto della nostra analisi: legno, chimica, meccanica-meccatronica e plastica) nelle diverse regioni della fascia alpina.

Il concetto di resilienza delle PMI è stato inoltre sviluppato attraverso l’analisi del contesto geopolitico e occupazionale delle regioni alpine, producendo un aggiornamento territoriale della Resilience Dashboard elaborata dalla Commissione Europea.

Il documento delinea un campo d’azione popolato da un ampio insieme di attori che agiscono sull’innovazione in campo normativo, tecnologico e green e che, nei prossimi anni, possono rendere la macroregione alpina protagonista dello sviluppo territoriale europeo.

 L’obiettivo del report è dunque quello di fornire indicazioni strategiche e organizzative alle imprese e strumenti di analisi chiari alle istituzioni e alle organizzazioni di rappresentanza al fine di migliorare la loro offerta di politiche e servizi a sostegno della resilienza.

Bergamo: analisi del sistema alimentare

Che cos’è il sistema del cibo di una città e perché bisogna studiarlo? E perché distinguere ciò che del sistema del cibo si sviluppa in una città come Bergamo da tutto ciò che succede nel mondo?

Il report redatto da EStà, grazie al contributo del Comune e degli attori locali intervistati, cerca di rispondere a queste domande di fondo, alle quali è connessa una serie di questioni e problemi che riguardano le diverse fasi del ciclo alimentare che sono affrontati quotidianamente da molti attori della città: la produzione locale di cibo, i canali di approvvigionamento più utilizzati dai cittadini, l’economia generata dal sistema alimentare, il cibo sprecato e quello recuperato per finalità solidaristiche, l’efficacia dell’educazione alimentare, l’attrattività di un territorio generata dal cibo.

Altre questioni sono in relazione, direttamente o indirettamente, con il modo con cui la città nel suo complesso vive il mondo del cibo. Si pensi ad esempio ai diversi impatti ambientali creati dal modo di produrre, trasportare, distribuire, consumare il cibo e smaltirne gli scarti (o lo spreco) in termini di uso del suolo e dell’acqua, di consumi energetici, di impatti sulla qualità dell’aria e sul clima. Si tratta solo di alcuni esempi che danno l’idea di quanto il cibo impatti su una serie molto ampia di attività in cui sono coinvolte non solo imprese e istituzioni, ma anche l’intera cittadinanza.

L’obiettivo principale di questo report è dunque quello di ricostruire un’immagine complessiva del sistema urbano del cibo. Ovvero intende descrivere il contesto socio-economico ed ambientale di riferimento e delle diverse fasi della filiera del cibo: produzione, trasformazione, logistica, distribuzione, consumo e gestione delle eccedenze e dei rifiuti.

Atlante delle risorse ambientali nell’area metropolitana di Dakar

9 Febbraio 2021

AUTORI

Andrea Calori, Giulia Tagliente, Marta Maggi

 

ECOLOGIA PARTECIPATIVA PER UN’AZIONE INCLUSIVA NELL’AREA METROPOLITANA DI DAKAR

L’iniziativa ECOPAS si inserisce nel programma tematico dell’Unione europea “Organizzazioni europee Società civile e Autorità locali 2014-2020″. Ha come scopo il  rafforzamento della capacità organizzativa delle Organizzazioni della società civile (OSC), sulla base di due pilastri fondamentali: la governance e la crescita inclusiva e sostenibile.

Una delle priorità di questo programma tematico è la cooperazione a livello nazionale, che mira a rafforzare il contributo delle OSC ai processi di governance e di sviluppo, in particolare come partner nella promozione dello sviluppo sociale. In Senegal il programma tematico identifica il coinvolgimento dei cittadini nella governance ambientale nella regione di Dakar, attraverso un processo inclusivo di sviluppo delle politiche. Questo permette ai cittadini, soprattutto ai giovani, di partecipare al dialogo e alla difesa di una gestione trasparente delle risorse naturali. Il programma mira anche allo sviluppo economico delle popolazioni attraverso il sostegno e la creazione di micro-imprese verdi (GME) nell’area obiettivo del progetto.

In breve, il progetto ECOPAS contribuisce alla protezione e al ripristino dell’ambiente e degli ecosistemi per migliorare l’ambiente di vita delle popolazioni di Dakar, precisamente nei comuni di Sam Notaire, Ndiarème Limamoulaye, Wakhinane Nimzatt e Yeumbeul Nord. Così, l’obiettivo generale di ECOPAS è quello di coinvolgere i cittadini della regione di Dakar nella governance ambientale e nella crescita inclusiva e sostenibile. L’obiettivo specifico è di rafforzare e conciliare gli sforzi ecologici delle periferie: Sam Notaire, Ndiarème Limamoulaye, Wakhinane Nimzatt e Yeumbeul Nord. Tra gli altri risultati, il progetto ECOPAS prevede una riflessione su una politica territoriale per la protezione delle zone costiere, una transizione agro-ecologica, così come l’uso sostenibile delle risorse naturali acqua, terra e boschi.

L’atlante è stato pensato per essere utilizzato da interlocutori locali con competenze tecniche, ma anche come strumento per stimolare la comprensione da parte di un pubblico non tecnico e supportare il coinvolgimento attivo di attori del territorio fra loro diversi nell’ambito di processi di consultazione e partecipazione.

L’atlante fa una sintesi comunicativa delle informazioni sullo stato degli elementi territoriali e ambientali che sono stati oggetto di studio nel corso del progetto nell’ambito di ricerche specifiche svolte in collaborazione con team senegalesi.  Queste ricerche hanno riguardato la qualità delle acque, l’uso del suolo, la copertura vegetativa, il sistema alimentare e le cosiddette “biotecnologie verdi e bianche”.  Di queste cinque ricerche EStà ha realizzato quella relativa al sistema alimentare.

Progetto: CISV, Fones, Ipsia, Sunugal, Hydroaid, UE

Testi: I testi contenuti in questa pubblicazione digitale sono stati rielaborati dai rapporti tematici del progetto Ecopas. Le parti senza rilavorazione sono state debitamente citate. La rielaborazione dei testi e la loro integrazione per il progetto di questo atlante sono da attribuire a Giulia Tagliente de EStà, Economia e Sostenibilità

Design grafico, layout, mappe e computer grafica: Giulia Tagliente, EStà – Economia e Sostenibilità

Editing e revisione linguistica: Caroline Bouchat e Diop Toure Nene

Cartografia digitale e urban heritage: il progetto Milano Web-HGIS

© Terence Eduarte, 2016

La Milano del futuro deve guardare al passato per crescere in identità, attrattività e internazionalità. Tradizionalmente poco attenta al proprio passato, sempre proiettata al futuro, la città è invece ricca di storia e storie, che, se dissepolte e messe in relazione con l’attuale morfologia utilizzando tecnologie digitali georeferenziate e forme comunicative innovative, possono generare nuove forme di valore.

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Milano a strati

© Goncalo Viana, Highrise

Milano a strati

23 Dicembre 2013

© Goncalo Viana, Highrise
© Goncalo Viana, Highrise
 

Storia locale e scienze del territorio. Approcci che, pur insistendo sullo stesso oggetto (il ‘territorio’), sembrano appartenere ancora a mondi diversi. Da una parte, la storia “dei nostri luoghi”, antiquaria e del folklore, conservatrice per vocazione, carica di nostalgia di quello che c’era e che va scomparendo. Dall’altra, le scienze della pianificazione, orientate verso il futuro e la riorganizzazione funzionale dello spazio, soprattutto urbano. Due mondi, che però lo sviluppo del nuovo turismo culturale “esperienziale”, alimentato dalla fusione tra Internet e tecnologie mobile, e la nuova centralità del marketing territoriale nella governance locale stanno portando sempre più vicini. Un contributo, per costruire un ponte tra i due, viene oggi dal mondo, in rapida evoluzione negli ultimi anni, del computer mapping e dei Gis – quello, per intenderci, che è entrato nella nostra vita quando il Tom-Tom ha iniziato a guidarci nel traffico.
Negli Stati Uniti, e anche in Gran Bretagna e nel Nordeuropa, il computer mapping sta cambiando profondamente la geografia, ridefinendo il suo rapporto con la storia culturale, oltre che con le attività che ruotano attorno al concetto di place branding. Con la nascita degli Historical Gis (o H-Gis), i database georeferenziati dedicati ai dati storici, e con le modalità di geovisualizzazione che essi permettono, le carte geografiche, un tempo il prodotto finale, statico e definitivo, del processo di ricostruzione storica, sono diventate uno strumento duttile e creativo, che sta rivoluzionando didattica e ricerca. Attraverso la geovisualizzazione, strutture e ordini spaziali in precedenza nascosti si rivelano agli occhi degli esperti ma anche a quelli non esperti, senza la mediazione di tabelle e piani cartesiani. Nel quadro comune dello spazio georeferenziato, fatti e informazioni possono incontrarsi al di là dei limiti temporali e degli steccati disciplinari e il passato diventa “presente”.
In Italia, dove il confine tra discipline storico-umanistiche e scientifiche è ancora profondo, il concetto di H-Gis suona ancora straniero. Ed è un peccato, perché l’approccio che veicola sarebbe utilissimo per “spiegare” un territorio stracarico di storia come quello italiano a chi ci si addentra per la prima volta, scomponendolo e ricomponendolo nei suoi mille strati. Ma sarebbe utile anche per riesaminarlo con occhi nuovi, quasi “dal di fuori”. E per rivalutarne valori “diffusi” lasciati in ombra da una tradizione storico-artistica e turistica che, da sempre, nel nostro Paese e non solo, privilegia la dimensione più “verticale” e concentrata (e, in fondo, più deterritorializzata) dei grandi monumenti. Con gli H-Gis, ogni spazio antropizzato può essere guardato come se fosse quello di una città americana o di una provincia canadese, nella quale tutto (non solo i monumenti) è “storico” e può e deve essere letto come tale. E in quale spazio iniziare un esercizio simile se non a Milano, la più “americana” delle città italiane? È questa l’idea scaturita dall’incontro tra un geografo padovano trapiantato in Texas (Alberto Giordano) e un sociologo politico milanese con il pallino dell’analisi spaziale (Rocco Ronza), durante una conferenza di storici e geografi a Chicago, e trasformatosi nel progetto di PhD di un intraprendente studente toscano (Michele Tucci) grazie al supporto della Texas State University a San Marcos. Creare un database storico per l’intero sistema viario della Milano contemporanea, caricandovi tutte le informazioni utili a datarlo tanto nella sua struttura fisica (i tracciati delle vie) quanto in quella toponomastica (i nomi) come chiave per far venire alla luce tutta la storia contenuta nel tessuto urbano della città, ma non ancora nella sua autorappresentazione e nelle sue guide turistiche.

Nei record del database georeferenziato, costruito dai tre ricercatori ed esteso (per ora) al nucleo storico della metropoli lombarda (quello compreso all’interno delle mura spagnole costruite nel 1549-60), trovano nuova collocazione date e vicende storiche già immagazzinate negli scaffali un po’ impolverati dei cultori della storia milanese. L’ordine imposto dalla costruzione del database e le possibilità aperte dalla geovisualizzazione, però, le illuminano di luce nuova, rivelando strutture profonde e linee di continuità e discontinuità. Come la Troia di Schlieman, o come una torta a strati, il centro della Milano contemporanea si rivela come la risultante di diverse città storiche successive, collassate una dentro l’altro. Dal patchwork di frammenti provenienti da passati diversi, apparentemente confuso, riemerge il genoma della città. Così, la rete viaria del centro rivela la matrice profonda risalente alla Milano romana, riemersa pian piano dagli anni Sessanta con gli scavi nelle viscere del centro per la costruzione della metropolitana. Sopra di essa, si sviluppa la lunga crescita spontanea della città medievale, cinta e protetta dal Naviglio interno (quello che campeggia ancora nelle foto in bianco e nero della Milano di fine Ottocento-primo Novecento), che determina il passaggio dalla forma quadrata della prima città romana alla struttura a raggiera e alle sei porte della città medievale e moderna. Le stesse porte, come i noduli posti sulla corteccia di un grande albero secolare, si sposteranno, nel Cinquecento, sulla cerchia dei Bastioni spagnoli, anch’essa viva nel tracciato di una circonvallazione della città moderna. Dalla storia, parallela a quella dei tracciati, della datazione dei toponimi delle vie della città odierna esce una storia del potere che ha insistito sullo spazio urbano. Se la Milano medievale le ha lasciato in eredità una trapunta di nomi di vie legati alle chiese e ai palazzi patrizi, le sedi del potere sociale e religioso sociale, l’era delle dominazioni straniere vede la prima avocazione allo Stato dei compiti di pianificazione dello spazio urbano che, oltre alla fondazione dell’Accademia di Brera e alla costruzione dei primi spazi pubblici “civili”, conduce alla sanzione statale della toponomastica tradizionale voluta da Giuseppe II con la riforma affidata al conte Cusani nel 1786. Il passo successivo è la comparsa della toponomastica celebrativa, staccata dal riferimento a landmark locali e concepita consapevolmente per iscrivere un discorso e una narrazione egemonici nel paesaggio urbano, introdotta con la Repubblica giacobina e la dominazione napoleonica e sopravvissuta in una manciata di nomi riesumati, dal senso ormai perduto nella memoria collettiva milanese, dopo il 1860 (via della Moscova, via Senato, via dell’Unione). È infatti sull’esempio dell’amministrazione francese che l’élite liberale, appena insediata ai vertici del governo locale, si impegnerà nel grande progetto di riscrittura del tessuto toponomastico della citta storica che, insieme agli interventi sui tracciati e sull’edificato (la Galleria, la nuova piazza Duomo, il Cimitero monumentale, la nuova Porta Nuova), contraddistingue i decenni dal 1860 alla Prima guerra mondiale e disegna la struttura simbolica che domina ancora oggi il cuore dello spazio urbano milanese. Rispetto all’impronta della città risorgimentale, sparsi e poco incisivi appaiono i segni lasciati sulla matrice della città dalle culture politiche successive – non solo quella fascista, i cui interventi sul reticolo toponomastico sono scomparsi senza lasciar traccia, ma anche quelle (repubblicana, socialista, cattolico-democratica) che si contendono e dividono la città dopo il 1945.

La mappatura del genoma urbano (che, quando ci si muove sulla scala, rivela il genius loci dei diversi sestieri del centro: Porta Vercellina e Nuova più “risorgimentali”, Porta Ticinese medievale e viscontea, Porta Venezia più asburgica e viennese…) non è un’operazione fine a se stessa. Si inserisce, è vero, nello spirito di altre iniziative recenti (pensiamo ai percorsi della “Milano antica” lanciati dal Museo Archeologico nel 2010), ma si propone al tempo stesso come piattaforma e cornice in cui inserire progetti dedicati a periodi storici o dimensioni particolari della città, in modo che tutta la complessa “identità” del centro storico di Milano, fatta di tanti diversi “passati”, ritorni leggibile – agli stranieri ma anche ai residenti, vecchi e nuovi. Ma lo stesso potrebbe valere anche per le periferie della città, le aree apparentemente “senza storia” strappate alla campagna dopo l’avvento dell’industria e della ferrovia a partire dal piano Berruto (1884), se il progetto di un H-Gis di Milano potesse essere esteso un giorno a tutta l’area comunale e metropolitana. Anche qui, i segni lasciati sul territorio dal passato rurale o periurbano, talvolta risalenti alla notte dei tempi, si fondono e si mescolano con quelli molto più recenti sovrapposti dall’espansione urbana del secolo scorso. Storie e narrazioni diverse da quelle della città storica, ma altrettanto degne di essere ri-conosciute e ancora più nascoste di quelle, data la mancanza, o la esiguità, in un patrimonio edificato e monumentale che contraddistingue le periferie.

E in un H-Gis urbano costruito su queste linee potrebbero trovare ospitalità, infine, anche altri progetti che mettano a tema il perdurare del passato (la storia) nel presente (il territorio). Per esempio, quelli volti a censire l’età del patrimonio edificato della città, alcuni dei quali già avviati prima dell’era dei H-Gis, che potrebbero aggiungere una cruciale dimensione “verticale”, con tutte le sue evidenti implicazioni architettoniche e storiche, alle dimensioni “orizzontali” dei tracciati e della toponomastica. Purché questi progetti, però, non si limitino solo agli edifici monumentali o “di interesse storico”, ma si pongano come obiettivo la mappatura, magari graduale, di tutto l’edificato urbano. Perché la storia non smette mai di camminare e ciò che appena ieri era (banalmente) nuovo, oggi sta già trasformandosi in heritage, prezioso tassello di una memoria collettiva locale, e non solo locale, arricchendo di nuove trame il patchwork dello spazio in cui viviamo. Perfino in un Paese come il nostro, che di storia forse ne ha troppa – o dove talora si pensa che il tempo, per qualche misterioso scherzo del destino,  abbia smesso di camminare in avanti.