Il rapporto tra industria e natura
La terra è un pianeta che dall’esterno non riceve alcun apporto di materia e che invece, grazie al sole, riceve continuamente e indefinitamente un’immensa quantità di energia. Al contempo gli abitanti del pianeta terra da due secoli si procurano le principali fonti di energia attraverso la depauperazione progressiva della quantità di materia data. Uno dei meccanismi chiave delle rivoluzioni industriali è celato dietro questo paradosso: pur disponendo di una quantità limitata di materia (fossile) ad alto potenziale inquinante, il mondo 200 anni fa ne ha fatto la base per alimentare un nuovo sistema produttivo a crescita rapidissima e potenzialmente illimitata.
Oggi il paradosso si pone con forza rinnovata. Due secoli di rivoluzione industriale hanno aumentato indefinitamente il potenziale produttivo e comunicativo dell’umanità connettendo i continenti, moltiplicando le rese agricole, stimolando in soli trent’anni (1945-’75) un aumento di ricchezza globale superiore a quello verificatosi nei mille anni precedenti. Negli stessi trent’anni si è avverato appieno quanto preconizzava già nel 1873 il geologo italiano Antonio Stoppani, quando proponeva di definire l’epoca che stava vivendo con il nome di era “antropozoica” a segnare il grande potenziale di dominio che l’essere umano stava acquisendo sul resto della natura. Ma la natura ha chiesto conti che sono diventati sempre più salati, manifestandosi tra l’altro nei disastri umani e ambientali di Seveso in Italia nel 1976, di Love Canal negli Usa nel 1978, di Bhopal in India nel 1984, di Cernobyl in Urss nel 1986, della Exxon Valdez in Alaska nel 1989, dell’incendio dei pozzi petroliferi in Kuwait nel 1991.
Davanti alla contraddizione tra economia e ambiente oggi nuova rivoluzione industriale è chiamata a riconnettere lavoro e natura in un percorso che riconcili dinamiche finora contrastanti, che abbassi il consumo di materia aumentando il contenuto intellettivo dei beni e dei servizi prodotti, che rispetti i limiti climatici senza porre limiti allo sviluppo della ricchezza sociale, che restituisca all’energia illimitata dallo spazio la preminenza sulla materia fossile e limitata utilizzata finora dagli esseri umani.
Ogni rivoluzione economica provoca terremoti, quella futura li provocherà se non avverrà, quelle passate hanno lasciato i loro splendori e i loro dolori:
Andate a dire ai buoi che vadan via/ che quel che han fatto è fatto/ e che oggi si ara prima col trattore/ E piange il cuore a tutti se li guardi/ che dopo che han lavorato mille anni/ adesso se ne vanno a testa bassa / dietro la corda lunga del macello (Tonino Guerra, traduzione dell’autore)
Il contenuto di questo articolo è tratto dal saggio di M. Lepratti, coordinatore di Està, Sviluppo e sostenibilità, contenuto nell’ebook di Fondazione Feltrinelli Progresso inconsapevole.