Le opportunità per le imprese nel processo di trasformazione verso un’economia ecologica

© AQ studio (Adam Quest), 2013

Le opportunità per le imprese nel processo di trasformazione verso un’economia ecologica

21 Dicembre 2016

© AQ studio (Adam Quest), 2013
AQ-studio-2013

La portata delle decisioni prese durante la COP 21 di Parigi va oltre gli aspetti diplomatici e formali, vi è in gioco un processo di riduzione dei gas climalteranti e di decarbonizzazione che incide profondamente sulla programmazione del modello economico e che sta producendo impegni e accordi applicativi.
Alla COP 22 di Marrakech alcuni grandi Stati (tra cui Germania, Messico, USA) ed alcuni Stati Nordeuropei hanno presentato piani di decarbonizzazione completa della loro economia entro il 2050, piani di ampio respiro che non si limitano al solo tema, pur importantissimo, dell’energia.

L’Italia è in forte ritardo, un problema dovuto anche agli svantaggi creati da un sistema produttivo come il nostro, estremamente frazionato in piccole e medie imprese. I possibili attori produttivi nazionali che, per storia e dimensione, potrebbero essere investiti di un compito strategico sono pochi: ENI, ENEL e non molto di più (considerando che Leonardo-Finmeccanica ha altri orientamenti).
Nel complesso le scelte italiane sono molto più orientate verso l’adattamento difensivo al contesto anziché verso la proiezione strategica. Adattamento al contesto significa ad esempio che da noi il tema dell’efficienza energetica è stato interpretato come un mero problema di risparmio e non come l’occasione per un riesame sistemico di tutti i fattori che contribuiscono a creare esiti negativi.
Per modificare il senso di marcia occorrono invece politiche di ampio respiro che non possono che procedere dall’alto verso il basso (le singole aziende sono attori troppo deboli e parziali per intervenire al livello di complessità e sistematicità richiesto).
Durante la COP 22 l’Italia ha dichiarato che contribuirà per 50 milioni di dollari a uno stanziamento da 4,7 miliardi di dollari che i paesi ricchi hanno destinato ai paesi africani, per aiutarli a combattere il riscaldamento globale. Questi fondi tuttavia sono gli stessi che l’Italia avrebbe impegnato nella cooperazione allo sviluppo per cui di fatto si tratterebbe di un trasferimento da un capitolo all’altro. Una scelta di questo tipo non sarebbe negativa in sé, ma un conto è collocarla all’interno di una visione strategica di ampio periodo e con obiettivi alti, altro conto è usarla come mera scelta tattica, così come è accaduto a Marrakech.

Per pianificare una seria transizione ecologica del sistema produttivo italiano la prima cosa che occorrerebbe fare è la creazione di un’alleanza di scopo tra fondazioni bancarie, fondazioni di imprese e centri di ricerca.
La seconda strategia dovrebbe riguardare l’investimento sul capitale umano. Attualmente abbiamo Università e Centri di ricerca che formano studenti e svolgono analisi molto avanzate relativamente a singole parti del tema complessivo, manca tuttavia una visione ampia e un dialogo con il mondo delle imprese che crei unione tra teoria e applicazioni pratiche. Per sviluppare questo dialogo occorrono enti intermedi capaci di produrre ricerche orientate alla decisione e basate su casi studio, enti che facilitino le alleanze tra centri di ricerca, politica e mondo delle imprese. Per fare esempi pratici si può segnalare il caso di Milano dove si potrebbe attuare una strategia per la decarbonizzazione della città che dia un orizzonte sistemico a quanto attori o decisori hanno annunciato in campi come le energie rinnovabili e la mobilità sostenibile.
La terza strategia per la transizione all’economia ecologica riguarda la finanza. Grandi soggetti come il Parlamento europeo e i fondi sovrani degli Stati del Nord Europa stanno orientando le proprie decisioni verso una finanza etica, attenta agli impatti ambientali e sociali (il più attivo è il fondo sovrano norvegese, il più grande del mondo). Anche a livello privato vi sono iniziative di notevole interesse: in Olanda l’istituto “municipale” BNG Bank ha emesso bond per un miliardo di euro destinati a finanziare le 92 associazioni di social housing locale giudicate maggiormente sostenibili (secondo le valutazioni in merito agli aspetti ambientali e sociali degli edifici coinvolti) con un focus sui quelle che operano nei quartieri più disagiati; il 40% degli acquirenti dei bond è tedesco, circa il 20% viene dalla Francia,. mentre gli italiani sono assenti.
Il sistema finanziario nella nostra nazione, con rare eccezioni (Intesa San Paolo, alcuni fondi pensione), è in grandissimo ritardo e sul tema della transizione verso l’economia ecologica si colloca ad un livello ancora inferiore a quello del sistema industriale. Nel caso dei finanziamenti orientati verso la sostenibilità ambientale e sociale l’unico spazio immediato che pare percorribile in Italia è quello che proviene dal basso, dall’allargamento e dalla diffusione di iniziative di attori privati; la finanza francese sta provando a muovere i primi passi nel nostro Paese con questo spirito, e al momento iniziative simili vanno seguite con molta attenzione.

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Intervento nell’ambito del seminario di EStà Panorama green jobs: strategie di incontro tra domanda e offerta. Milano 5 dicembre 2016.

Social Impact Bond. Da un problema sociale ad un’opportunità finanziaria

© Terence Eduarte, Civil Society in Development

Social Impact Bond. Da un problema sociale ad un’opportunità finanziaria

4 Maggio 2013

© Terence Eduarte, Civil Society in Development
© Terence Eduarte, Civil Society in Development
 

In Inghilterra ci sono 7.160 bambini in attesa di adozione, il 15% in più rispetto a un anno fa. Mentre è relativamente semplice trovare famiglie per neonati e bambini piccoli, è più difficile per i gruppi di fratelli e sorelle, per i bambini con più di quattro anni e per minori appartenenti a minoranze etniche e in condizioni di salute precarie. Questi aspettano l’adozione per anni, restando in carico al welfare state britannico.

The Consortium of Voluntary Adoption Agencies (CVAA), un gruppo di agenzie per l’adozione, ha sviluppato un metodo per migliorare le performance di questo processo sociale, investendo nella formazione delle famiglie, nel supporto psicologico e nella mediazione culturale. E ha convinto il governo a finanziare con £ 52.000 ciascuna adozione andata a buon fine. Il risparmio stimato della spesa sociale per ciascun bambino adottato sarà di £ 800.000 nel medio lungo periodo. La novità è che, associato a questo progetto che mira a incrementare il numero di bambini adottati ogni anno, verrà emesso il primo Adoption Social Impact Bond: investitori privati potranno acquistare le obbligazioni finanziando direttamente CVAA. I bond saranno remunerati solo in caso di successo e se sarà chiaro e misurabile il miglioramento della spesa pubblica.

Nella figura viene descritto il modello del primo Social Impact Bond emesso da Social Finance in Gran Bretagna da cui tutti stanno traendo ispirazione. A livello mondiale esistono pochissimi casi di SIB non perché manchino investitori, quanto modelli e garanzie sul meccanismo di remunerazione. Conoscendo la propensione del mercato finanziario a costruire bolle speculative, la prudenza in questo caso è due volte più opportuna. Aderire a prodotti finanziari del genere significa, infatti, cambiare la vita delle persone, migliorare l’impatto sulla spesa pubblica e ottenere un ritorno dell’investimento.

C’è chi sostiene che strumenti come i SIB debbano essere concepiti al di fuori della finanza tradizionale. La finanza sociale si basa sulla trasparenza e sulla condivisione dei Big Data, processi che l’industria finanziaria ha sempre promosso controvoglia arrivando ad applicare modelli di rating e di valutazione dei rischi troppo complessi da sembrare opachi.
Il tema della trasparenza tocca però anche allo stato che deve ammettere, seguendo l’esempio britannico, di non sapere e di non potere più realizzare quell’innovazione sociale che il terzo settore si candida a gestire in modo misurabile. Per non enfatizzare l’attenzione più sul fronte finanziario che su quello dell’impatto sociale, occorre che gli attori in gioco, lo stato, l’investitore e l’operatore sociale, condividano garanzie e rischi comuni poiché quando un’adozione non andrà a buon fine, tutti e tre gli attori, con ruoli e misure diverse, se ne facciano carico.