3 Gennaio 2017
DI
Massimiliano Lepratti
La circolarità sistemica
L’applicazione di principi fisici ed ecologici alle discipline socio-economiche ha permesso di affinare gli strumenti per misurare i rischi che la specie umana corre nel perseguire gli attuali metodi di produzione, trasporto e consumo. Lo Stockholm resilience center ha costruito un cruscotto per misurarli: si tratta di 9 indicatori, per ciascuno dei quali un colore semaforico indica il livello di pericolo a cui l’umanità è arrivata (il rosso indica un danno irreversibile dalle conseguenze non valutabili). Tra le molte considerazioni che il cruscotto evoca è utile ricordare che il cambiamento climatico è solo una delle variabili in gioco e che il livello di pericolo di sopravvivenza è riferito all’umanità e non al pianeta nel suo complesso (quest’ultimo è abituato a vedere scomparire specie).
In risposta a questi problemi all’inizio del decennio attuale il sistema economico ha iniziato a dare applicazione a un principio fisico estremamente razionale: poiché il nostro pianeta vive ricevendo dall’universo quantità enormi di energia (solare) e quantità pressoché nulle di materia, è molto più sensato produrre energia grazie all’infinità del sole che bruciando materia fossile limitata. Il costo calante delle tecnologie sta rendendo possibile il passaggio.
Se nel campo dell’energia le rinnovabili sono una risposta per coniugare riduzione dei danni ecologici e innovazione economica, nel campo della materia è la cosiddetta economia circolare lo strumento per produrre gli stessi impatti. La progettazione di oggetti e apparecchi destinati a non divenire rifiuti, l’utilizzo degli scarti come materia prima per nuovi cicli, la riduzione della quantità di materia per unità di ricchezza prodotta (PIL) sono tutte pratiche che contribuiscono ad evitare che la materia disponibile si trasformi in scarti ambientalmente inquinanti ed economicamente inutilizzabili.
Le capacità industriali per produrre energia e materia con processi e risultati attenti all’ecologia planetaria crescono e si diffondono rapidamente: l’edilizia adotta nuove tecniche, l’illuminazione a LED prende piede, le auto elettriche cominciano a diffondersi, la biochimica entra nella vita quotidiana con i sacchetti in mater-bi; ma in sé la somma di tanti singoli attori non garantisce che la rappresentazione raggiunga l’impatto voluto. Almeno due fattori ulteriori arricchiscono un’analisi delle tendenze produttive attuali che non voglia fermarsi agli epifenomeni. Il primo è l’effetto rimbalzo: se la quantità di impatto ecologico per unità prodotta diminuisce, ma al contempo aumenta più che proporzionalmente il numero di unità consumate, l’effetto è vanificato. Dobbiamo infatti considerare che la popolazione mondiale è destinata ad aumentare drasticamente, superando i nove miliardi nel 2050, e che ciò sarà accompagnato da un aumento della competizione per il controllo delle risorse. Il secondo fattore, più complesso, attiene agli impatti sociali. Un miglioramento del quadro ecologico non necessariamente si traduce in un miglioramento di problemi quali la disoccupazione, gli squilibri di reddito, il diseguale accesso alle risorse. Inoltre, perché le soluzioni proposte dall’economia circolare siano efficaci, oltre che efficienti, è necessario che siano accessibili e inclusive, cioè che non si traducano in soluzioni di nicchia per un mercato omogeneo e ristretto. Il problema degli scarti e delle eccedenze inutilizzate non riguarda infatti solo la materia, ma è intrinseco a tutto il sistema socio economico e ambientale.
Nella rappresentazione ideale contenuta nell’immagine qui sopra, e proposta dall’Economia Verde di Molly Scott Cato, l’economia è un subsistema – chiuso e limitato – dell’ecosistema di cui è parte integrante. Nella realtà attuale i meccanismi sono molto diversi, l’economia si percepisce come dimensione dominante e autonoma, producendo rifiuti che riversa nell’ambiente sotto forma di inquinamento (le cosiddette “esternalità”), e “scarti” che riversa nella società sotto forma di disoccupati.
Un’economia diversa potrebbe invece ispirarsi al principio ecologico della circolarità (tale per cui ogni scarto o eccedenza diviene risorsa per qualcun altro) intendendo quest’ultimo in modo sistemico, ossia come principio a cui è utile ispirare tutti i principali meccanismi legati alla produzione:
• l’economia “reale” (programmando la riduzione della produzione di scarti e riutilizzando scarti ed eccedenze come nuove materie di input);
• la finanza (minimizzando i meccanismi che creano “eccedenze” finanziarie improduttive e destinate a speculazioni, e massimizzando la circolazione della moneta a sostegno della produzione di beni e servizi ambientalmente e socialmente utili);
• i meccanismi distributivi e il mercato del lavoro (favorendo la circolazione e la migliore allocazione di ogni forma di potenziale “eccedenza”: disoccupati disponibili a impiegare la propria capacità lavorativa, risorse inutili per alcuni e utili per altri, grandi quote di ricchezza da ridistribuire socialmente…).
Un passaggio verso la circolarità sistemica non può tuttavia prodursi grazie ai soli meccanismi di mercato. Nel mercato for profit dei beni e servizi, della finanza, del lavoro ogni impresa tende ad agire per aumentare i propri vantaggi di breve e di lungo termine, e se alcune tra queste azioni possono coincidere con il benessere del sistema complessivo (come nel caso dell’adozione di tecniche produttive più ecologiche), altre non vanno nella stessa direzione (ad esempio son pochissime le imprese che riducono spontaneamente l’orario di lavoro).
Un grande cambiamento di sistema non può quindi essere prodotto senza il concorso di chi per natura svolge una funzione sistemica: gli enti pubblici e il terzo settore, accanto al mercato. Da un lato, i grandi enti pubblici (Stati nazionali, Unione europea…) possiedono la vastità di mezzi, la possibilità di investimenti a lungo termine e il potere di indirizzo dell’economia (verso la ridistribuzione di ricchezza e lavoro e verso il benessere collettivo) necessari per favorire un’innovazione di paradigma. Dall’altra, il terzo settore (imprese sociali e cooperative, associazioni di volontariato e della società civile) può garantire l’apertura dell’economia circolare alla diversità e all’inclusione sociale e, allo stesso tempo, un suo orientamento verso forme di mercato civile – in cui etica, ecologia ed economia vengono riavvicinate in modo sistemico.