L’economia circolare urbana

24 Marzo 2021

AUTORE

Massimiliano Lepratti

© Anna-Kaisa Jormanainen
© Anna-Kaisa Jormanainen
 

L’economia circolare urbana

Le città e le relative aree urbane non possono pensarsi come unità economiche autosufficienti, né questo avrebbe senso per ragioni naturali, economiche e culturali. Da un punto di vista naturale le città non possiedono le superfici agricole e acquatiche sufficienti per assicurarsi l’autonomia; da  un punto di vista economico la produzione di molti beni di origine industriale diviene  più conveniente se collocata al di fuori di aree urbane, costose in termini di affitti e poco funzionali in termini di spazi e di servizi connessi; da un punto di vista culturale gli scambi relativi a beni o servizi di tipo cultural-artistico o artigianale è utile che avvengano anche su scale territoriali ampie per favorire la conoscenza e il confronto arricchente con le diversità.

Una serie di flussi di entrata e di uscita invece è opportuno che seguano principi di circolarità su scala locale, per ragioni sia ambientali, sia sociali ed economiche e per questo la distinzione tra flussi ad orientamento circolare-locale, e flussi che interessano scale territoriali diverse è un’operazione che evita approcci autarchici o semplificati e offre una chiave di lettura verso cui orientare le interpretazioni e le relative scelte politiche.

L’economia circolare a scala locale ha senso laddove la produzione, il riuso e il riciclaggio sono più efficaci economicamente, socialmente e/o ambientalmente rispetto ad opzioni diverse. Questo avviene in una parte dei flussi di approvvigionamento quotidiano, ossia nel campo del cibo e dell’energia.

Mentre già da alcuni anni sono disponibili studi sull’impatto occupazionale dell’economia circolare, ad oggi è invece difficile stimarne l’impatto economico complessivo, in termini di aumento del valore aggiunto prodotto. Occorrerebbe considerare contemporaneamente l’influsso di una serie di variabili, spesso di segno diverso, quali: la diminuzione dell’acquisto di beni nuovi; la produzione di beni a valore aggiunto maggiore; lo sviluppo di servizi di recupero (latu sensu), alcuni dei quali potrebbero portare all’estrazione di sostanze chimiche o allo sviluppo di processi di trattamento dei rifiuti ad alto valore aggiunto, oggi ancora di difficile valutazione; la presenza o meno di barriere di diverso tipo affinché alcune evoluzioni possano avvenire o meno (ad esempio barriere normative sull’utilizzo di beni end of waste).

Sul piano socio-economico un effetto indiretto poco considerato negli studi di tipo macroeconomico è il ventaglio dei vantaggi per il consumatore. Conservare nel tempo le funzioni di uso di un oggetto, progettandolo per questo scopo e poi riparandolo e rigenerandolo, diminuisce la frequenza degli acquisti, abbassando non solo l’impatto ambientale, ma anche i relativi esborsi in denaro.

 

NB. Il contenuto di questo articolo è tratto dal saggio in inglese di M. Lepratti, coordinatore di Està, The circular economy, contenuto nella pubblicazione Training for Education, Learning and Leadership towards a new MEtropolitan Discipline: Inaugural Book.

Di seguito è possibile scaricare la pubblicazone integrale del progetto TELLme, esito di una collaborazione tra università, enti di ricerca e ong in Italia, Spagna, Messico e Argentina che contribuisce allo sviluppo di una “disciplina metropolitana” per comprendere, concettualizzare, progettare e gestire la dimensione metropolitana delle città. Il progetto, pubblicato da CIPPEC, ha coinvolto partner europei e latinoamericani, tra cui: Fondazione Politecnico di Milano, Politecnico di Milano, DOBA Faculty, Universidad de Sevilla, Cnr – Irea, Universidad Autónoma Metropolitana, Universidad de Cuyo e Universidad de Guadalajara.

 

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