Economia circolare del cibo a Milano

Economia circolare del cibo a Milano

15 Ottobre 2020

 

È possibile fare di Milano un laboratorio permanente di politiche integrate rivolte all’economia circolare del cibo? La ricerca Economia circolare del cibo a Milano, condotta dal centro di ricerca Economia e Sostenibilità (ESTà), fornisce gli elementi di base per connettere e valorizzare in ottica circolare le risorse esistenti nel territorio milanese: competenze, driver istituzionali, asset industriali e opportunità. L’obiettivo è sostenere il Comune di Milano e Fondazione Cariplo nel loro ruolo di impulso, supporto e facilitazione di tutte le forme di innovazione sociale, tecnologica e organizzativa che possono concorrere ad attuare gli obiettivi della Food Policy e i principi dell’economia circolare.

Il sistema alimentare (produzione, trasformazione, logistica, distribuzione, consumo, gestione delle eccedenze e dei rifiuti) è pervasivo e rilevante dal punto di vista degli impatti ambientali, sociali ed economici. L’applicazione a tale sistema dei principi dell’economia circolare, minimizza l’estrazione dall’ambiente di risorse finite, riduce i tassi e i tempi di trasformazione della materia in rifiuti, promuove modalità di riciclaggio e upcycling di questi ultimi. Le città in questo senso sono contesti privilegiati, poiché concentrano in uno spazio limitato una grande quantità di rifiuti, vedono la presenza di organizzazioni, tecnologie e saperi che lavorano per garantire diminuzione, recupero o trasformazione di questi rifiuti, combinando avanzamento tecnologico con forme di innovazione sociale che danno origine a nuove economie e nuovi servizi; infine possono promuovere, direttamente o con azioni di advocacy, politiche integrate che governano il sistema del cibo nel suo complesso.

La ricerca analizza tre ambiti che hanno grande impatto sul sistema alimentare: i rifiuti urbani legati al sistema alimentare (in particolare frazione organica dei rifiuti solidi urbani, imballaggi in plastica e in carta-cartone), le eccedenze di cibo fresco destinabili all’alimentazione umana, i fanghi di depurazione delle acque reflue. Per ciascun argomento, fornisce un inquadramento generale (funzionale sia all’individuazione delle questioni principali, sia a soddisfare una finalità divulgativa) e un’analisi specifica sulla città di Milano, analizzando gli attori del sistema connessi con l’interesse pubblico e i principali meccanismi di interazione reciproca; valutando le dimensioni dei flussi fisici, il valore economico del sistema (principalmente per i rifiuti) e i suoi impatti ambientali; segnalando le innovazioni di prodotto e di processo più significative per dimensioni e per potenzialità di miglioramento in futuro. La ricerca è stata condotta intervistando 40 esperti appartenenti sia a soggetti chiave del territorio milanese (A2A Ambiente, AMSA, AMAT, SogeMi, Milano Ristorazione, Politecnico di Milano, CAP, MM, Ufficio Food Policy del Comune di Milano, Recup, Banco Alimentare), sia a  soggetti che operano anche a scala sovralocale (Biorepack, COREPLA, COMIECO, CIC, Assocarta, Assobioplastiche, Novamont), sia a soggetti che si occupano a vario titolo di economia circolare (Materia Rinnovabile, UNISG).

Nella sezione relativa ai rifiuti urbani, l’inquadramento generale del tema presenta l’importanza di una corretta raccolta differenziata (e le strategie per favorirla), in particolare al fine di migliorare i processi di riciclo del rifiuto umido (che portano alla produzione di compost, biogas e biometano) e di produrre nuovi prodotti a valore aggiunto.

A livello di dati si segnala come: la presenza nel rifiuto umido di materiale non compostabile (MNC) generi costi pari a 52 milioni di euro (costi diretti per la separazione del MNC e costi indiretti per lo smaltimento); le modalità di raccolta porta a porta facciano registrare una percentuale di MNC pari al 4,3%, mentre quelle a cassonetto stradale una percentuale pari al 10,1%;  il principale contaminante dell’umido resti il sacchetto di plastica tradizionale (nel quale è vietato conferire l’umido) che costituisce quasi il 27% del totale del MNC. Questi dati sono ancora più rilevanti se si pensa al ruolo della raccolta differenziata dell’umido (principale frazione raccolta) nel raggiungimento dei nuovi obiettivi di riciclo fissati a livello europeo (55% al 2025, 60% al 2030 e 65% al 2035).

La sezione prosegue analizzando: i processi di trattamento della frazione organica (digestione anaerobica e compostaggio) e alcune problematiche legate agli impianti (si segnala in particolare una carenza impiantistica pari a 1 milione di tonnellate, che diventeranno 2 milioni nel 2025, per colmare la quale sarebbe necessario un investimento di 2 miliardi di euro); le relative innovazioni di processo per superare le problematiche di cui sopra (investimenti nelle tecnologie di preselezione, processi di compostaggio ad hoc per gli scarti); le recenti innovazioni di prodotto che consentono di estrarre dal rifiuto umido prodotti a valore aggiunto maggiore rispetto a compost, biogas e biometano (mangimi, prodotti per alimentazione umana, biopesticidi, bioplastiche e biomateriali vari). Nella sezione vengono evidenziati: il grande valore ambientale del compost di qualità (attenuazione dei fenomeni di desertificazione, miglioramento delle caratteristiche fisiche dei terreni, apporto dei principali elementi fertilizzanti) a cui non corrisponde un altrettanto significativo valore di mercato (5-10 euro/tonnellata); la tendenza a spostare i processi di trattamento dell’umido verso la digestione anaerobica (spinta dagli incentivi al biometano) con conseguente diminuzione della produzione di compost.

La ricerca analizza anche i processi di raccolta e trattamento dei rifiuti da imballaggi e food service in plastica e carta, individuando i casi in cui è auspicabile la sostituzione dei prodotti tradizionali (i poliaccoppiati, gli imballaggi altamente inquinati da cibo) con analoghi prodotti in materiali compostabili che possano quindi essere conferiti insieme all’umido.

In questa sezione l’analisi sulla città di Milano vede la ricostruzione dei flussi e della geografia della gestione dei rifiuti urbani, affidata ad AMSA/A2A: Milano è la più grande città europea con il sistema di raccolta porta a porta e la quantità di rifiuto umido pro capite raccolta è tra le più alte registrate nelle capitali europee: nel 2019 il tasso di raccolta differenziata era al 61,8%. L’analisi  relativa a Milano prosegue: presentando le esperienze recenti più significative realizzate all’interno del perimetro urbano (il miglioramento della raccolta dell’umido nei mercati settimanali scoperti2500 tonnellate come target, con un risparmio di 420 tonnellate di CO2 – i progetti di mediazione linguistico culturale per migliorare la raccolta differenziata degli esercizi etnici di ristorazione con somministrazione); stimando fatturato, occupati ed emissioni evitate per singola frazione raccolta, dimostrando che un sistema circolare di gestione dei rifiuti implica fatturati maggiori, un più elevato impatto occupazionale e una diminuzione di emissioni di CO2: per esempio, considerando che la frazione organica del Comune di Milano ha raggiunto nel 2019 le 154.000 tonnellate, si possono stimare 230 unità lavorative, un fatturato di oltre 41 milioni di euro (includendo anche le numerose attività correlate al riciclo, ad esempio il supporto tecnico per la realizzazione e la progettazione di impianti, le attività per la valorizzazione e l’impiego del compost) e 32.000 tonnellate annue di emissioni di CO2 evitate. La sezione si conclude segnalando i punti più deboli del sistema milanese (carenza impiantistica per la frazione umida, destinazione del plasmix ad incenerimento).

 

Nella sezione relativa alla redistribuzione delle eccedenze di cibo fresco in ottica solidaristica, l’inquadramento generale del tema presenta il problema dello spreco alimentare, le motivazioni per le quali è diventato una priorità a livello mondiale, i volumi aggregati e gli impatti (ambientali, sociali, economici, culturali), i problemi definitori e di assenza di standard di misurazione condivisi (che rendono difficile un’azione di contrasto efficace) e alcune soluzioni innovative nella prevenzione e gestione delle eccedenze. L’analisi su Milano si concentra sull’esperienza del primo hub di quartiere (microdistretto veloce di redistribuzione delle eccedenze) che nel 2019 ha recuperato e distribuito 77 tonnellate di cibo edibile a 3.950 persone (di cui 1.480 minori), con un risparmio di 170-240 tonnellate di emissioni di CO2. Tale esperienza ha consentito di ovviare alla crisi del sistema di aiuti alimentari generatasi durante l’emergenza COVID (la maggior parte dei volontari che si occupano di redistribuzione delle eccedenze è costituita da soggetti a rischio perché anziani), permettendo al Comune, in collaborazione con altri soggetti, di organizzare “Milano Aiuta”, un sistema di 10 hub temporanei dislocati nelle zone periferiche della città per la consegna di generi alimentari ai soggetti fragili durante il lockdown. Vengono poi analizzate le esperienze di recupero nei mercati settimanali scoperti (54 tonnellate recuperate da Recup, 21 tonnellate di emissioni di CO2 evitate) e delle due società possedute dal Comune di Milano che si occupano di ristorazione collettiva (Milano Ristorazione, 59 tonnellate di pane e 79 tonnellate di frutta recuperati, per un totale di 83 tonnellate di emissioni di CO2 evitate) e dell’ortomercato (SogeMI, 1.500 tonnellate di ortofrutta recuperate, 590 tonnellate di emissioni di CO2 evitate). 

Nella sezione relativa ai fanghi di depurazione delle acque reflue, l’inquadramento generale del tema presenta: i processi di produzione e trattamento dei fanghi negli impianti di depurazione (i fanghi costituiscono il 90% degli scarti prodotti dal processo di depurazione delle acque); gli impieghi attuali di tali fanghi (ovvero riutilizzo in agricoltura per spandimento, produzione di compost e di ammendanti – l’utilizzo agricolo e la possibilità di estrarre dai fanghi elementi che tornano all’agricoltura, costituiscono i motivi per i quali la ricerca ha preso in considerazione il tema – produzione di biogas, incenerimento e smaltimento in discarica -. NB: a livello nazionale poco meno del 20% dei fanghi viene smaltito in discarica, per il restante 80% la destinazione agricola è l’opzione prevalente); i principali problemi derivanti dall’utilizzo dei fanghi in agricoltura (questioni normative, presenza di inquinanti – metalli pesanti, microinquinanti organici, farmaci e sostanze psicotrope, agenti patogeni – e quindi possibile contaminazione del suolo e delle acque superficiali e sotterranee, maleodorazioni).

L’aumento del volume dei fanghi, i costi di trattamento e smaltimento (che possono incidere fino al 60% del totale di costi della depurazione, sebbene il volume dei fanghi prodotti da un depuratore rappresenti solo una minima parte delle acque in ingresso) e le limitazioni allo smaltimento in discarica, inducono a focalizzarsi sulle possibilità di riutilizzo e recupero dei fanghi (i depuratori come presidi di circolarità): massimizzazione della produzione di biogas, recupero di materia (riutilizzo in agricoltura – diretto per spandimento o indiretto con produzione di compost – per i fanghi di alta qualità,  recupero di specifici prodotti – per esempio nutrienti come il fosforo – elemento fondamentale per l’agricoltura e in via di esaurimento – e l’azoto o chemicals organici come biopolimeri o cellulosa).

In questa sezione l’analisi territoriale si è concentrata sia su Milano che sulla Città Metropolitana. In particolare vengono esaminati: i processi produttivi, le quantità e i destini dei fanghi generati da Metropolitana Milanese (i due depuratori di Milano, 59.000 tonnellate di fanghi tal quale prodotti nel 2019 e destinati all’agricoltura o a vettore energetico, nessun ricorso allo smaltimento in discarica) e CAP Holding (i 40 depuratori della Città Metropolitana, 59.000 tonnellate di fanghi prodotti nel 2018 destinati all’agricoltura – anche con produzione di fertilizzanti – e a vettore energetico, con ricorso marginale allo smaltimento in discarica); le innovazioni in termini di recupero di materia ed energia e le tendenze future: per MM la ricerca di soluzioni tecnologiche che consentano di inserire un processo di digestione anaerobica nella linea fanghi di entrambi i depuratori senza erigere cupole, la sperimentazione della produzione di fertilizzanti in linea nel depuratore di Nosedo e la sperimentazione di modalità diverse di combustione anche per il recupero di fosforo dalle ceneri; per CAP la completa uscita dallo smaltimento in discarica e dallo spandimento in agricoltura, tramite conferimento del 25% dei fanghi (quelli «alta qualità») in agricoltura come fertilizzanti, riduzione del volume dei fanghi attraverso la produzione di biogas (e biometano) e incenerimento per un recupero di fosforo dalle ceneri.

Industria e finanza alla sfida climatica

Industria e finanza alla sfida climatica

6 Dicembre 2019

Convegno "Industria e finanza alla sfida climatica". Massimiliano Lepratti, Andrea Calori, Riccardo Sanna, Alessandro Pagano, Elena Lattuada
 

Perché la Spagna ha un consumo di suolo ridotto? La manifattura condiziona gli impatti ecologi dell’agricoltura? Quanto tempo passa in Italia perché un invenzione diventi innovazione? Quanti ricercatori lavorano in Germania per le due maggiori organizzazioni di ricerca? Che rapporto c’è tra brevetti ambientali e contenuto di CO2 della produzione di un paese? Qual è il paese europeo che ha maggiormente ridotto i suoi impatti in termini di emissioni?

Le domande degli working paper presentati da EStà il 29 novembre hanno prodotto non solo risposte, ma anche una serie di nuove domande di cui nelle righe precedenti si trova un assaggio.

Capire quali settori economici emettono più CO2 per unità di euro, perché questo avviene, cosa può fare la finanza per favorire la decarbonizzazione e cosa deve fare l’ente pubblico perché l’Italia rispetti gli obiettivi di Parigi sono tutti punti di un’agenda di ricerca che durante il convegno EStà ha posto, e che ha mostrato tutte le sue potenzialità maieutiche.

Convegno “Industria e finanza alla sfida climatica”. Andrea Calori, Emanuele Camisana e Paolo Maranzano

Chi c’era ne è uscito con due punti fermi:

  1. 1. la collaborazione di economisti capaci di approcci non mainstream con i mondi produttivi, finanziari e ambientali è necessaria per indirizzare le ricerche sulla transizione ecologica verso le domande giuste; e
  2. 2. senza le risposte alle domande giuste è impossibile pensare a una transizione efficace.

Da gennaio EStà continuerà il lavoro, per capire in quali campi è prioritario proseguire le indagini, con quali domande aggiornate e con chi.

Venerdì 29 Novembre 2019 – Sala Rodolfi – Università Bicocca, Milano.

#SDGs @unimib

Indagine sull’economia libraria italiana

© Daniel Belchí Lorente, Books and women

Indagine sull’economia libraria italiana

8 Novembre 2017

© Daniel Belchí Lorente, Books and women
© Daniel Belchí Lorente, Books and women
 
Che cos’è? Non è mai stato fatto nulla del genere su scala nazionale: un’indagine per capire come lavorano i librai, come si organizzano, come comprano e vendono, come promuovono le loro proposte. Da dove nasce? E’ un progetto che trae origine dalla volontà di parte del mondo editoriale e del mondo dei librai di lavorare insieme, sapendo che il benessere di ogni elemento dell’ecosistema è alla base di un maggior benessere dell’ecosistema complessivo. Quali sono gli obiettivi? ALI, SIL, Letteratura rinnovabile, supportate dall’associazione EStà, provano a capire con i diretti interessati qual è lo stato dell’arte del loro lavoro e quali margini di miglioramento esistono. Margini relativi alle singole librerie: il questionario d’indagine produrrà un indice di efficienza e potrà dare privatamente ad ognuno tra i partecipanti che lo desideri la sua posizione rispetto ai parametri dell’indice. Margini collettivi: gli esiti complessivi del questionario saranno la base per riflessioni e proposte che l’insieme dei librai potrà esprimere nei momenti di presentazione pubblica dei risultati. Qual è lo strumento prodotto? Le risposte al questionario contribuiranno alla definizione di un indice di efficienza delle librerie composto grazie a un insieme di parametri: la capacità di promuovere le iniziative in modo sistemico, il mix di strategie di acquisto e di vendita scelte, l’importanza riconosciuta alla formazione del personale e alla conoscenza del panorama editoriale, la capacità di ottimizzare la gestione del tempo e dei mezzi tecnici. Quanto tempo occorre per la compilazione e come si procede? La compilazione avviene on line e richiede circa 15-20’ per ognuna delle quattro sezioni previste:
  1. (a) profilo della libreria;
  2. (b) strategie di acquisto e di vendita;
  3. (c) strategie di promozione;
  4. (d) gestione del personale e attenzione allo sviluppo.
Può essere utile dare un’occhiata preventiva a ciascuna tra esse e prepararsi per quei dati che non necessariamente ogni libraio ha sottomano. Per diluire il lavoro le diverse sezioni possono essere compilate ciascuna in un momento diverso, ma attenzione una volta iniziato l’inserimento dei dati occorre che la singola sezione sia completata, altrimenti i dati inseriti non verranno salvati.     Per accedere alle sezioni: scrivi un’email a librai@assesta.it e ti verranno inviati i link.

Il concetto di resilienza all’interno dell’ecosistema urbano

© Goncalo Viana, Highrise

L’ecosistema urbano è sempre più esteso in tutto il mondo e questo processo di crescita è destinato ad accelerare nei prossimi decenni. Si tratta di un sistema fragile esposto a numerosi possibili shock, compresi quelli di tipo climatico derivanti dal riscaldamento globale. Diventa imperativo accrescerne la resilienza, sotto l’aspetto strutturale ma anche sociale. Questo processo passa per la comprensione del fenomeno, la sua misura, la formulazione di azioni di intervento e la misurazione dei loro effetti.

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Le opportunità per le imprese nel processo di trasformazione verso un’economia ecologica

© AQ studio (Adam Quest), 2013

Le opportunità per le imprese nel processo di trasformazione verso un’economia ecologica

21 Dicembre 2016

© AQ studio (Adam Quest), 2013
AQ-studio-2013

La portata delle decisioni prese durante la COP 21 di Parigi va oltre gli aspetti diplomatici e formali, vi è in gioco un processo di riduzione dei gas climalteranti e di decarbonizzazione che incide profondamente sulla programmazione del modello economico e che sta producendo impegni e accordi applicativi.
Alla COP 22 di Marrakech alcuni grandi Stati (tra cui Germania, Messico, USA) ed alcuni Stati Nordeuropei hanno presentato piani di decarbonizzazione completa della loro economia entro il 2050, piani di ampio respiro che non si limitano al solo tema, pur importantissimo, dell’energia.

L’Italia è in forte ritardo, un problema dovuto anche agli svantaggi creati da un sistema produttivo come il nostro, estremamente frazionato in piccole e medie imprese. I possibili attori produttivi nazionali che, per storia e dimensione, potrebbero essere investiti di un compito strategico sono pochi: ENI, ENEL e non molto di più (considerando che Leonardo-Finmeccanica ha altri orientamenti).
Nel complesso le scelte italiane sono molto più orientate verso l’adattamento difensivo al contesto anziché verso la proiezione strategica. Adattamento al contesto significa ad esempio che da noi il tema dell’efficienza energetica è stato interpretato come un mero problema di risparmio e non come l’occasione per un riesame sistemico di tutti i fattori che contribuiscono a creare esiti negativi.
Per modificare il senso di marcia occorrono invece politiche di ampio respiro che non possono che procedere dall’alto verso il basso (le singole aziende sono attori troppo deboli e parziali per intervenire al livello di complessità e sistematicità richiesto).
Durante la COP 22 l’Italia ha dichiarato che contribuirà per 50 milioni di dollari a uno stanziamento da 4,7 miliardi di dollari che i paesi ricchi hanno destinato ai paesi africani, per aiutarli a combattere il riscaldamento globale. Questi fondi tuttavia sono gli stessi che l’Italia avrebbe impegnato nella cooperazione allo sviluppo per cui di fatto si tratterebbe di un trasferimento da un capitolo all’altro. Una scelta di questo tipo non sarebbe negativa in sé, ma un conto è collocarla all’interno di una visione strategica di ampio periodo e con obiettivi alti, altro conto è usarla come mera scelta tattica, così come è accaduto a Marrakech.

Per pianificare una seria transizione ecologica del sistema produttivo italiano la prima cosa che occorrerebbe fare è la creazione di un’alleanza di scopo tra fondazioni bancarie, fondazioni di imprese e centri di ricerca.
La seconda strategia dovrebbe riguardare l’investimento sul capitale umano. Attualmente abbiamo Università e Centri di ricerca che formano studenti e svolgono analisi molto avanzate relativamente a singole parti del tema complessivo, manca tuttavia una visione ampia e un dialogo con il mondo delle imprese che crei unione tra teoria e applicazioni pratiche. Per sviluppare questo dialogo occorrono enti intermedi capaci di produrre ricerche orientate alla decisione e basate su casi studio, enti che facilitino le alleanze tra centri di ricerca, politica e mondo delle imprese. Per fare esempi pratici si può segnalare il caso di Milano dove si potrebbe attuare una strategia per la decarbonizzazione della città che dia un orizzonte sistemico a quanto attori o decisori hanno annunciato in campi come le energie rinnovabili e la mobilità sostenibile.
La terza strategia per la transizione all’economia ecologica riguarda la finanza. Grandi soggetti come il Parlamento europeo e i fondi sovrani degli Stati del Nord Europa stanno orientando le proprie decisioni verso una finanza etica, attenta agli impatti ambientali e sociali (il più attivo è il fondo sovrano norvegese, il più grande del mondo). Anche a livello privato vi sono iniziative di notevole interesse: in Olanda l’istituto “municipale” BNG Bank ha emesso bond per un miliardo di euro destinati a finanziare le 92 associazioni di social housing locale giudicate maggiormente sostenibili (secondo le valutazioni in merito agli aspetti ambientali e sociali degli edifici coinvolti) con un focus sui quelle che operano nei quartieri più disagiati; il 40% degli acquirenti dei bond è tedesco, circa il 20% viene dalla Francia,. mentre gli italiani sono assenti.
Il sistema finanziario nella nostra nazione, con rare eccezioni (Intesa San Paolo, alcuni fondi pensione), è in grandissimo ritardo e sul tema della transizione verso l’economia ecologica si colloca ad un livello ancora inferiore a quello del sistema industriale. Nel caso dei finanziamenti orientati verso la sostenibilità ambientale e sociale l’unico spazio immediato che pare percorribile in Italia è quello che proviene dal basso, dall’allargamento e dalla diffusione di iniziative di attori privati; la finanza francese sta provando a muovere i primi passi nel nostro Paese con questo spirito, e al momento iniziative simili vanno seguite con molta attenzione.

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Intervento nell’ambito del seminario di EStà Panorama green jobs: strategie di incontro tra domanda e offerta. Milano 5 dicembre 2016.

Milano a strati

© Goncalo Viana, Highrise

Milano a strati

23 Dicembre 2013

© Goncalo Viana, Highrise
© Goncalo Viana, Highrise
 

Storia locale e scienze del territorio. Approcci che, pur insistendo sullo stesso oggetto (il ‘territorio’), sembrano appartenere ancora a mondi diversi. Da una parte, la storia “dei nostri luoghi”, antiquaria e del folklore, conservatrice per vocazione, carica di nostalgia di quello che c’era e che va scomparendo. Dall’altra, le scienze della pianificazione, orientate verso il futuro e la riorganizzazione funzionale dello spazio, soprattutto urbano. Due mondi, che però lo sviluppo del nuovo turismo culturale “esperienziale”, alimentato dalla fusione tra Internet e tecnologie mobile, e la nuova centralità del marketing territoriale nella governance locale stanno portando sempre più vicini. Un contributo, per costruire un ponte tra i due, viene oggi dal mondo, in rapida evoluzione negli ultimi anni, del computer mapping e dei Gis – quello, per intenderci, che è entrato nella nostra vita quando il Tom-Tom ha iniziato a guidarci nel traffico.
Negli Stati Uniti, e anche in Gran Bretagna e nel Nordeuropa, il computer mapping sta cambiando profondamente la geografia, ridefinendo il suo rapporto con la storia culturale, oltre che con le attività che ruotano attorno al concetto di place branding. Con la nascita degli Historical Gis (o H-Gis), i database georeferenziati dedicati ai dati storici, e con le modalità di geovisualizzazione che essi permettono, le carte geografiche, un tempo il prodotto finale, statico e definitivo, del processo di ricostruzione storica, sono diventate uno strumento duttile e creativo, che sta rivoluzionando didattica e ricerca. Attraverso la geovisualizzazione, strutture e ordini spaziali in precedenza nascosti si rivelano agli occhi degli esperti ma anche a quelli non esperti, senza la mediazione di tabelle e piani cartesiani. Nel quadro comune dello spazio georeferenziato, fatti e informazioni possono incontrarsi al di là dei limiti temporali e degli steccati disciplinari e il passato diventa “presente”.
In Italia, dove il confine tra discipline storico-umanistiche e scientifiche è ancora profondo, il concetto di H-Gis suona ancora straniero. Ed è un peccato, perché l’approccio che veicola sarebbe utilissimo per “spiegare” un territorio stracarico di storia come quello italiano a chi ci si addentra per la prima volta, scomponendolo e ricomponendolo nei suoi mille strati. Ma sarebbe utile anche per riesaminarlo con occhi nuovi, quasi “dal di fuori”. E per rivalutarne valori “diffusi” lasciati in ombra da una tradizione storico-artistica e turistica che, da sempre, nel nostro Paese e non solo, privilegia la dimensione più “verticale” e concentrata (e, in fondo, più deterritorializzata) dei grandi monumenti. Con gli H-Gis, ogni spazio antropizzato può essere guardato come se fosse quello di una città americana o di una provincia canadese, nella quale tutto (non solo i monumenti) è “storico” e può e deve essere letto come tale. E in quale spazio iniziare un esercizio simile se non a Milano, la più “americana” delle città italiane? È questa l’idea scaturita dall’incontro tra un geografo padovano trapiantato in Texas (Alberto Giordano) e un sociologo politico milanese con il pallino dell’analisi spaziale (Rocco Ronza), durante una conferenza di storici e geografi a Chicago, e trasformatosi nel progetto di PhD di un intraprendente studente toscano (Michele Tucci) grazie al supporto della Texas State University a San Marcos. Creare un database storico per l’intero sistema viario della Milano contemporanea, caricandovi tutte le informazioni utili a datarlo tanto nella sua struttura fisica (i tracciati delle vie) quanto in quella toponomastica (i nomi) come chiave per far venire alla luce tutta la storia contenuta nel tessuto urbano della città, ma non ancora nella sua autorappresentazione e nelle sue guide turistiche.

Nei record del database georeferenziato, costruito dai tre ricercatori ed esteso (per ora) al nucleo storico della metropoli lombarda (quello compreso all’interno delle mura spagnole costruite nel 1549-60), trovano nuova collocazione date e vicende storiche già immagazzinate negli scaffali un po’ impolverati dei cultori della storia milanese. L’ordine imposto dalla costruzione del database e le possibilità aperte dalla geovisualizzazione, però, le illuminano di luce nuova, rivelando strutture profonde e linee di continuità e discontinuità. Come la Troia di Schlieman, o come una torta a strati, il centro della Milano contemporanea si rivela come la risultante di diverse città storiche successive, collassate una dentro l’altro. Dal patchwork di frammenti provenienti da passati diversi, apparentemente confuso, riemerge il genoma della città. Così, la rete viaria del centro rivela la matrice profonda risalente alla Milano romana, riemersa pian piano dagli anni Sessanta con gli scavi nelle viscere del centro per la costruzione della metropolitana. Sopra di essa, si sviluppa la lunga crescita spontanea della città medievale, cinta e protetta dal Naviglio interno (quello che campeggia ancora nelle foto in bianco e nero della Milano di fine Ottocento-primo Novecento), che determina il passaggio dalla forma quadrata della prima città romana alla struttura a raggiera e alle sei porte della città medievale e moderna. Le stesse porte, come i noduli posti sulla corteccia di un grande albero secolare, si sposteranno, nel Cinquecento, sulla cerchia dei Bastioni spagnoli, anch’essa viva nel tracciato di una circonvallazione della città moderna. Dalla storia, parallela a quella dei tracciati, della datazione dei toponimi delle vie della città odierna esce una storia del potere che ha insistito sullo spazio urbano. Se la Milano medievale le ha lasciato in eredità una trapunta di nomi di vie legati alle chiese e ai palazzi patrizi, le sedi del potere sociale e religioso sociale, l’era delle dominazioni straniere vede la prima avocazione allo Stato dei compiti di pianificazione dello spazio urbano che, oltre alla fondazione dell’Accademia di Brera e alla costruzione dei primi spazi pubblici “civili”, conduce alla sanzione statale della toponomastica tradizionale voluta da Giuseppe II con la riforma affidata al conte Cusani nel 1786. Il passo successivo è la comparsa della toponomastica celebrativa, staccata dal riferimento a landmark locali e concepita consapevolmente per iscrivere un discorso e una narrazione egemonici nel paesaggio urbano, introdotta con la Repubblica giacobina e la dominazione napoleonica e sopravvissuta in una manciata di nomi riesumati, dal senso ormai perduto nella memoria collettiva milanese, dopo il 1860 (via della Moscova, via Senato, via dell’Unione). È infatti sull’esempio dell’amministrazione francese che l’élite liberale, appena insediata ai vertici del governo locale, si impegnerà nel grande progetto di riscrittura del tessuto toponomastico della citta storica che, insieme agli interventi sui tracciati e sull’edificato (la Galleria, la nuova piazza Duomo, il Cimitero monumentale, la nuova Porta Nuova), contraddistingue i decenni dal 1860 alla Prima guerra mondiale e disegna la struttura simbolica che domina ancora oggi il cuore dello spazio urbano milanese. Rispetto all’impronta della città risorgimentale, sparsi e poco incisivi appaiono i segni lasciati sulla matrice della città dalle culture politiche successive – non solo quella fascista, i cui interventi sul reticolo toponomastico sono scomparsi senza lasciar traccia, ma anche quelle (repubblicana, socialista, cattolico-democratica) che si contendono e dividono la città dopo il 1945.

La mappatura del genoma urbano (che, quando ci si muove sulla scala, rivela il genius loci dei diversi sestieri del centro: Porta Vercellina e Nuova più “risorgimentali”, Porta Ticinese medievale e viscontea, Porta Venezia più asburgica e viennese…) non è un’operazione fine a se stessa. Si inserisce, è vero, nello spirito di altre iniziative recenti (pensiamo ai percorsi della “Milano antica” lanciati dal Museo Archeologico nel 2010), ma si propone al tempo stesso come piattaforma e cornice in cui inserire progetti dedicati a periodi storici o dimensioni particolari della città, in modo che tutta la complessa “identità” del centro storico di Milano, fatta di tanti diversi “passati”, ritorni leggibile – agli stranieri ma anche ai residenti, vecchi e nuovi. Ma lo stesso potrebbe valere anche per le periferie della città, le aree apparentemente “senza storia” strappate alla campagna dopo l’avvento dell’industria e della ferrovia a partire dal piano Berruto (1884), se il progetto di un H-Gis di Milano potesse essere esteso un giorno a tutta l’area comunale e metropolitana. Anche qui, i segni lasciati sul territorio dal passato rurale o periurbano, talvolta risalenti alla notte dei tempi, si fondono e si mescolano con quelli molto più recenti sovrapposti dall’espansione urbana del secolo scorso. Storie e narrazioni diverse da quelle della città storica, ma altrettanto degne di essere ri-conosciute e ancora più nascoste di quelle, data la mancanza, o la esiguità, in un patrimonio edificato e monumentale che contraddistingue le periferie.

E in un H-Gis urbano costruito su queste linee potrebbero trovare ospitalità, infine, anche altri progetti che mettano a tema il perdurare del passato (la storia) nel presente (il territorio). Per esempio, quelli volti a censire l’età del patrimonio edificato della città, alcuni dei quali già avviati prima dell’era dei H-Gis, che potrebbero aggiungere una cruciale dimensione “verticale”, con tutte le sue evidenti implicazioni architettoniche e storiche, alle dimensioni “orizzontali” dei tracciati e della toponomastica. Purché questi progetti, però, non si limitino solo agli edifici monumentali o “di interesse storico”, ma si pongano come obiettivo la mappatura, magari graduale, di tutto l’edificato urbano. Perché la storia non smette mai di camminare e ciò che appena ieri era (banalmente) nuovo, oggi sta già trasformandosi in heritage, prezioso tassello di una memoria collettiva locale, e non solo locale, arricchendo di nuove trame il patchwork dello spazio in cui viviamo. Perfino in un Paese come il nostro, che di storia forse ne ha troppa – o dove talora si pensa che il tempo, per qualche misterioso scherzo del destino,  abbia smesso di camminare in avanti.