Sviluppo e sostenibilità

10 Marzo 2021

AUTORE

Massimiliano Lepratti

@ Luke Best, Updates
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Il rapporto tra industria e natura

La terra è un pianeta che dall’esterno non riceve alcun apporto di materia e che invece, grazie al sole, riceve continuamente e indefinitamente un’immensa quantità di energia. Al contempo gli abitanti del pianeta terra da due secoli si procurano le principali fonti di energia attraverso la depauperazione progressiva della quantità di materia data. Uno dei meccanismi chiave delle rivoluzioni industriali è celato dietro questo paradosso: pur disponendo di una quantità limitata di materia (fossile) ad alto potenziale inquinante, il mondo 200 anni fa ne ha fatto la base per alimentare un nuovo sistema produttivo a crescita rapidissima e potenzialmente illimitata.

Oggi il paradosso si pone con forza rinnovata. Due secoli di rivoluzione industriale hanno aumentato indefinitamente il potenziale produttivo e comunicativo dell’umanità connettendo i continenti, moltiplicando le rese agricole, stimolando in soli trent’anni (1945-’75) un aumento di ricchezza globale superiore a quello verificatosi nei mille anni precedenti. Negli stessi trent’anni si è avverato appieno quanto preconizzava già nel 1873 il geologo italiano Antonio Stoppani, quando proponeva di definire l’epoca che stava vivendo con il nome di era “antropozoica” a segnare il grande potenziale di dominio che l’essere umano stava acquisendo sul resto della natura. Ma la natura ha chiesto conti che sono diventati sempre più salati, manifestandosi tra l’altro nei disastri umani e ambientali di Seveso in Italia nel 1976, di Love Canal negli Usa nel 1978, di Bhopal in India nel 1984, di Cernobyl in Urss nel 1986, della Exxon Valdez in Alaska nel 1989, dell’incendio dei pozzi petroliferi in Kuwait nel 1991.

Davanti alla contraddizione tra economia e ambiente oggi nuova rivoluzione industriale è chiamata a riconnettere lavoro e natura in un percorso che riconcili dinamiche finora contrastanti, che abbassi il consumo di materia aumentando il contenuto intellettivo dei beni e dei servizi prodotti, che rispetti i limiti climatici senza porre limiti allo sviluppo della ricchezza sociale, che restituisca all’energia illimitata dallo spazio la preminenza sulla materia fossile e limitata utilizzata finora dagli esseri umani.

Ogni rivoluzione economica provoca terremoti, quella futura li provocherà se non avverrà, quelle passate hanno lasciato i loro splendori e i loro dolori:

Andate a dire ai buoi che vadan via/ che quel che han fatto è fatto/ e che oggi si ara prima col trattore/ E piange il cuore a tutti se li guardi/ che dopo che han lavorato mille anni/ adesso se ne vanno a testa bassa / dietro la corda lunga del macello (Tonino Guerra, traduzione dell’autore)

 

Il contenuto di questo articolo è tratto dal saggio di M. Lepratti, coordinatore di Està, Sviluppo e sostenibilità, contenuto nell’ebook di Fondazione Feltrinelli Progresso inconsapevole.

Il calcolo della raccolta differenziata

 

RACCOLTA DIFFERENZIATA IN ITALIA AL 61,35% NEL 2019, MA COSA SI NASCONDE DIETRO QUESTO DATO?

In Italia nel 2019, la raccolta differenziata ha raggiunto il 61,35%. Se il metodo di calcolo non fosse stato modificato nel 2016 tramite Decreto ministeriale la percentuale si fermerebbe solo al 55,56%.

La percentuale di raccolta differenziata dei RSU (rifiuti solidi urbani) ha subito una crescita notevole di anno in anno, ma non tutto è dovuto ad una più attenta differenziazione dei rifiuti.

La principale problematica nell’elaborazione dei dati sulla gestione dei RSU riguarda la corretta computazione dei rifiuti considerati differenziati. Di fatto, se si considerasse solo il dato di andamento della percentuale di raccolta differenziata si incorrerebbe in gravi anomalie, in quanto la computazione negli anni degli RSU ha subito variazioni. Infatti dal 2016 – per effetto del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare “Linee guida per il calcolo della percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani” (pubblicato su Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 146 del 24-6-2016) – ISPRA effettua le elaborazioni sulla produzione e raccolta differenziata dei RSU considerando come rifiuti differenziati anche i rifiuti ingombranti (200307), i rifiuti da spazzamento stradale (200303), rifiuti da C&D (costruzione e demolizione, 170107 e 170904) e gli scarti provenienti dalla selezione della multimateriale.

Dal 2016 quindi i dati sono difficilmente confrontabili con quelli precedenti. ESTà ha conseguentemente rielaborato i dati con un unico metodo di calcolo per poter utilizzare un’unica serie storica.

Come si può osservare, lo scostamento tra le due metodologie è notevole. La “percentuale RD registrata” rappresenta la percentuale ufficiale dichiarata da ISPRA, mentre la “percentuale RD con unica misurazione” rappresenta la rielaborazione di ESTà che, a partire dai dati ISPRA, non imputa tra i rifiuti differenziati quelli da pulizia stradale a recupero, gli ingombranti misti a recupero e i rifiuti da C&D. In Italia la percentuale di raccolta differenziata nel 2019 è risultata al 61,35% contro il 55,56% del metodo di calcolo unico utilizzato da ESTà. Il grande balzo in avanti degli ultimi anni non è quindi solo dovuto ad una miglior gestione dei rifiuti, ma principalmente ad una normativa che ne ha variato il calcolo.

La rilevazione di una percentuale di raccolta differenziata inferiore ai dati ufficiali non deve essere letta solo come dato negativo, ma anche come maggiore possibilità di migliorare l’intercettazione delle diverse frazioni merceologiche con conseguenti risparmi in termini di costi ed emissioni di CO2.

 

Di seguito l’analisi dei dati, curata da Emanuele Camisana.

Atlante delle risorse ambientali nell’area metropolitana di Dakar

9 Febbraio 2021

AUTORI

Andrea Calori, Giulia Tagliente, Marta Maggi

 

ECOLOGIA PARTECIPATIVA PER UN’AZIONE INCLUSIVA NELL’AREA METROPOLITANA DI DAKAR

L’iniziativa ECOPAS si inserisce nel programma tematico dell’Unione europea “Organizzazioni europee Società civile e Autorità locali 2014-2020″. Ha come scopo il  rafforzamento della capacità organizzativa delle Organizzazioni della società civile (OSC), sulla base di due pilastri fondamentali: la governance e la crescita inclusiva e sostenibile.

Una delle priorità di questo programma tematico è la cooperazione a livello nazionale, che mira a rafforzare il contributo delle OSC ai processi di governance e di sviluppo, in particolare come partner nella promozione dello sviluppo sociale. In Senegal il programma tematico identifica il coinvolgimento dei cittadini nella governance ambientale nella regione di Dakar, attraverso un processo inclusivo di sviluppo delle politiche. Questo permette ai cittadini, soprattutto ai giovani, di partecipare al dialogo e alla difesa di una gestione trasparente delle risorse naturali. Il programma mira anche allo sviluppo economico delle popolazioni attraverso il sostegno e la creazione di micro-imprese verdi (GME) nell’area obiettivo del progetto.

In breve, il progetto ECOPAS contribuisce alla protezione e al ripristino dell’ambiente e degli ecosistemi per migliorare l’ambiente di vita delle popolazioni di Dakar, precisamente nei comuni di Sam Notaire, Ndiarème Limamoulaye, Wakhinane Nimzatt e Yeumbeul Nord. Così, l’obiettivo generale di ECOPAS è quello di coinvolgere i cittadini della regione di Dakar nella governance ambientale e nella crescita inclusiva e sostenibile. L’obiettivo specifico è di rafforzare e conciliare gli sforzi ecologici delle periferie: Sam Notaire, Ndiarème Limamoulaye, Wakhinane Nimzatt e Yeumbeul Nord. Tra gli altri risultati, il progetto ECOPAS prevede una riflessione su una politica territoriale per la protezione delle zone costiere, una transizione agro-ecologica, così come l’uso sostenibile delle risorse naturali acqua, terra e boschi.

L’atlante è stato pensato per essere utilizzato da interlocutori locali con competenze tecniche, ma anche come strumento per stimolare la comprensione da parte di un pubblico non tecnico e supportare il coinvolgimento attivo di attori del territorio fra loro diversi nell’ambito di processi di consultazione e partecipazione.

L’atlante fa una sintesi comunicativa delle informazioni sullo stato degli elementi territoriali e ambientali che sono stati oggetto di studio nel corso del progetto nell’ambito di ricerche specifiche svolte in collaborazione con team senegalesi.  Queste ricerche hanno riguardato la qualità delle acque, l’uso del suolo, la copertura vegetativa, il sistema alimentare e le cosiddette “biotecnologie verdi e bianche”.  Di queste cinque ricerche EStà ha realizzato quella relativa al sistema alimentare.

Progetto: CISV, Fones, Ipsia, Sunugal, Hydroaid, UE

Testi: I testi contenuti in questa pubblicazione digitale sono stati rielaborati dai rapporti tematici del progetto Ecopas. Le parti senza rilavorazione sono state debitamente citate. La rielaborazione dei testi e la loro integrazione per il progetto di questo atlante sono da attribuire a Giulia Tagliente de EStà, Economia e Sostenibilità

Design grafico, layout, mappe e computer grafica: Giulia Tagliente, EStà – Economia e Sostenibilità

Editing e revisione linguistica: Caroline Bouchat e Diop Toure Nene

Perché migliorare la raccolta differenziata

15 Gennaio 2021

AUTORI

Emanuele Camisana, Francesca Federici, Massimiliano Lepratti

© Sean Loose, The Baker
© Sean Loose, The Baker
 

 

UNA DIFFERENZIAZIONE DEI RIFIUTI PIÙ EFFICIENTE COMPORTA 1 MILIARDO DI RISPARMI ANNUI PER I CITTADINI E 8 MILIONI DI TONNELLATE DI CO2  EQUIVALENTE IN MENO PER L’AMBIENTE.

I benefici che derivano da un’ottimale gestione dei rifiuti sono innumerevoli. Quanto potrebbero risparmiare cittadini in modo diretto? Quanta CO2 equivalente si eviterebbe di disperdere nell’ambiente?

I margini di miglioramento della gestione e raccolta dei rifiuti solidi urbani (RSU) sono ancora notevoli per il futuro prossimo. ESTà ha effettuato una stima puntuale sulla base dei dati ISPRA e dei coefficienti di Legambiente, calcolando per le tre frazioni di FORSU, carta/cartone e plastica i risultati che si potrebbero ottenere qualora si riuscisse ad intercettare la quasi totalità di ciò che ad oggi finisce ancora nell’indifferenziato (o negli ingombranti misti). 

Il risultato è stato determinato fissando come obiettivo da raggiungere, per la differenziazione delle tre frazioni citate, la composizione merceologica dei rifiuti indicata da ISPRA (sul totale dei RSU il 35,5% di organico, il 22,6% di carta/cartone e il 12,9% di imballaggi in plastica) e calcolando la differenza dei costi di gestione e smaltimento delle diverse frazioni rispetto all’indifferenziato. La frazione indifferenziata infatti determina maggiore inquinamento e maggiori costi a causa delle lavorazioni aggiuntive che il rifiuto deve subire e dello smaltimento in discarica o tramite incenerimento. Le altre frazioni, invece, permettono un minor inquinamento grazie al riciclo e risparmio di materia prima vergine, e minori costi anche grazie ai contributi che le aziende coinvolte nelle filiere di plastica e carta conferiscono al sistema CONAI.

 

Andare ad intercettare la parte delle 3 frazioni indicate che ancora non viene differenziata (3,6 milioni di tonnellate di FORSU, 3,4 di carta/cartone e 2,5 di plastica) determinerà un risparmio effettivo per i cittadini di circa 1 miliardo di euro (994,34 milioni) ed una riduzione delle emissioni di CO2 equivalente per circa 8 milioni di tonnellate (7,97 milioni). La corretta gestione di queste 9,55 milioni di tonnellate aggiuntive di rifiuti urbani consentirà anche un aumento occupazionale e di valore aggiunto.

È necessario sottolineare che il modello di analisi tiene conto della situazione attuale. Gli impianti per il trattamento e riciclo dei rifiuti attualmente in funzione non saranno sufficienti a soddisfare le esigenze del nostro paese: andranno costruiti progressivamente sempre più impianti e ampliati quelli esistenti, che con ogni probabilità utilizzeranno livelli tecnologici superiori. L’economia di scala, invece, consentirà l’abbattimento dei costi unitari di trattamento determinando un ulteriore risparmio. Il miglioramento andrà a ripercuotersi anche sugli impianti di smaltimento. Lo smaltimento in discarica dei RSU avrà un flusso minimo, portando a chiusura delle discariche con progressivi piani di ripristino ambientale dei siti. Anche gli impianti di incenerimento e coincenerimento subiranno una riduzione dei conferimenti.

Di seguito l’analisi dei dati, curata da Emanuele Camisana.

Una politica industriale utile per il clima e l’occupazione

Una politica industriale utile per il clima e l’occupazione

29 Dicembre 2020

AUTORI

Massimiliano Lepratti, Roberto Romano - EStà

© Terence Eduarte, 2016
© Terence Eduarte, 2016
 

Articolo pubblicato su Il Manifesto, 29.12.2020

  

La finalità di preservare la specie umana dai danni di un innalzamento della temperatura superiore a 1,5° (tra il 1880 e il 2100) sembra mettere d’accordo buona parte della pubblicistica nazionale, così come è indubbia la popolarità delle posizioni etiche di figure carismatiche come papa Francesco. Come sempre il problema più complesso non risiede nel campo dei principi generali, ma in quello delle scelte concrete che consentono o meno la realizzazione di quei principi. E su questo conviene provare a mettere un poco di ordine, superando il livello dell’aneddotica per porsi sul piano strutturale. La ricerca “Il green deal conviene” coordinata dall’Italian Climate Network e realizzata dall’associazione Està prova a porre quest’ordine, partendo dall’analisi degli obiettivi europei e nazionali. 

L’UE ha finalmente riconosciuto la necessità di ridurre del 55% tra il 1990 e il 2030 le emissioni dei gas ad effetto climalterante, un esito non scontato fino a poco tempo addietro e, sebbene inferiore a quanto richiesto dal Parlamento europeo (60%), estremamente sfidante per le scelte da compiere nel prossimo decennio. In Italia il piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) prodotto a livello interministeriale a fine 2019, ancor prima di poter essere attuato, risulta inadeguato in quanto costruito su un’ipotesi di riduzione dei gas climalteranti pari a meno del 40%.

La prima scelta concreta da compiere è quindi un adattamento degli obiettivi: l’Italia deve ridurre le sue emissioni di un 15% in più rispetto a quanto si riteneva l’anno scorso, ma questo 15% aggiuntivo si concentra tutto nei dieci anni tra il 2020 e il 2030. Per ottenere l’obiettivo le scelte principali possono concentrarsi sui soli aspetti ambientali, oppure possono combinare virtuosamente aspetti ambientali e aspetti socioeconomici, integrando diminuzione dei gas a effetto climalterante, aumento del valore aggiunto prodotto e aumento dell’occupazione. Questa seconda strada è ovviamente di gran lunga preferibile e su di essa si concentra la ricerca.

Il primo passaggio necessario è il riconoscimento dell’attuale struttura produttiva italiana e della sua dinamica recente. Il sistema produttivo nazionale ha conosciuto negli anni della crisi post 2008 un’involontaria svolta green a forte impatto sociale, dovuta alla chiusura di un alto numero di aziende manifatturiere altamente inquinanti e poco competitive. Nel periodo più vicino (2014-2019) il sistema nel suo complesso sembra aver iniziato una dinamica di disaccoppiamento: le emissioni diminuiscono (seppur di poco) a fronte di un (leggero) aumento di valore aggiunto e occupazione, dimostrando empiricamente come sia possibile diminuire l’impatto sul cambiamento climatico, aumentando allo stesso tempo PIL e occupazione.

Ma come rinforzare questa dinamica assolutamente troppo debole? I risultati di diverse ricerche convergono nel segnalare alcune priorità: il settore dei trasporti italiano risulta aver addirittura aumentato la sua quota di emissioni climalteranti dal 1990 al 2018 e il complesso degli edifici, in grandissima parte privati, ha avuto un eguale comportamento negativo, aggravato da una scarsa efficienza energetica. Entrambi questi settori assommano ciascuno circa un quarto delle attuali quote di produzione di CO2 equivalente; aggiungendo il settore della produzione e distribuzione dell’energia si arriva al 70% delle emissioni italiane.

A queste priorità è importante corrispondere azioni conseguenti e focalizzate sulle politiche industriali che, oltre a prospettare le migliori prestazioni in termini di riduzione delle emissioni, offrano le migliori opportunità in termini di crescita della ricchezza e dell’occupazione.

I sistemi di produzione e di consumo energetico basate sull’energia solare e combinati con una varietà di sistemi di accumulo sono senz’altro una risposta efficace sul piano climatico, ma perché diventino una risorsa per l’intero sistema economico ed occupazionale, non basta installarli. Occorre indirizzare il sistema produttivo del paese, a cominciare dai suoi enti di ricerca e dai suoi grandi attori a partecipazione pubblica, affinché l’Italia sia anche in grado di produrre e vendere gli strumenti tecnologicamente più avanzati per lo sfruttamento dell’intero ciclo del solare, evitando di arricchire solo i produttori di paesi esteri. Discorsi analoghi riguardano i sistemi di trasporto, i sistemi di costruzione e ristrutturazione delle abitazioni, nonché di produzione degli strumenti per lo sfruttamento e l’accumulo dell’energia eolica. Ognuno di questi interventi è l’occasione per creare una filiera nazionale tecnologicamente avanzata, ma le condizioni per farlo sono ciò che una politica industriale seria richiede: concentrarsi su poche grandi priorità ed evitare interventi a pioggia su prospettive di breve respiro (ad esempio quelle legate all’energia fossile altamente inquinante come il gas, necessariamente destinato all’abbandono in tempi non lunghi).

Una politica industriale, per il clima, per la ricchezza e per l’occupazione. L’occasione è ghiotta, la sfida non rinviabile.

 

Massimiliano Lepratti, Roberto Romano

 

© 2020 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

VIDEO: Perchè il Green Deal conviene all’Italia

È possibile produrre più ricchezza, avere più occupazione e ridurre le emissioni di gas climalteranti? EStà, coordinata da Italian Climate Network, ha studiato come rispondere positivamente a queste domande e come l’Italia del 2030, grazie al Green Deal, possa andare verso la neutralità climatica con più ricchezza e più occupati.

L’analisi della realtà produttiva dal 1990 ad oggi ci illustra i cinque problemi che rallentano il raggiungimento degli obiettivi in Italia.

  1. Gli edifici vetusti, non ristrutturati, e di conseguenza ad alto consumo di energia fossile.
  2. I trasporti con moltissime vetture private di cui solo pochissime elettriche.
  3. Il suolo povero di carbonio e con basse capacità di assorbimento.
  4. Le foreste italiane mal gestite e il cui legname poco e mal utilizzato.
  5. Le industrie, e in particolare quelle che investono meno nelle innovazioni, come i trasporti e la produzione di energia.

Come richiesto dal Green Deal, per superare questi problemi entro il 2030 l’Italia dovrà aumentare del 78% gli investimenti previsti dal PNIEC (Piano Nazionale energia e Clima, approvato nel 2019) nei principali settori strategici. Nei trasporti incrementando il numero di veicoli elettrici; nelle energie rinnovabili, per esempio installando un gran numero di pannelli fotovoltaici; e nel settore edilizio con ampi investimenti nelle ristrutturazioni.

Questi sforzi porterebbero ad un incremento del PIL dell’8% e oltre 600.000 occupati stabili in più da qui al 2030.

Ma quali numeri potremmo ottenere se gli investimenti fossero più innovativi?

Se ad esempio attraverso l’agricoltura conservativa aumentassimo la capacità di assorbimento del carbonio nei terreni e con una migliore gestione delle foreste e un migliore utilizzo del legname riducessimo le emissioni di anidride carbonica in dieci anni il PIL salirebbe di un ulteriore 4,1%, conteremmo oltre 400.000 occupati in più e oltre centinaia di milioni di tonnellate di CO2 in meno.

Ma non è finita qui: ai benefici economici e sociali si aggiungerebbero quelli ambientali ed ecologici, la riduzione dell’inquinamento dell’aria e un miglioramento dello stato di salute di suoli e foreste.

Master Cibo e Società 2020

Master Cibo e Società 2020

22 Febbraio 2020

Economia e Sostenibilità, insieme all’ateneo di Milano-Bicocca, organizza la seconda edizione del  master Cibo e Società, mettendo a disposizione il know-how sviluppato in questi anni principalmente attorno alle Urban Food Policy, con l’obiettivo di formare specialisti capaci di ideare e gestire progetti innovativi nel settore della distribuzione e del consumo alimentare.

Per gestire la sostenibilità dei sistemi alimentari, la globalizzazione dei mercati del food e il fenomeno di urbanizzazione c’è infatti bisogno di nuovi strumenti e conoscenze integrate negli enti pubblici e privati chiamati ad elaborare soluzioni a problemi ed esigenze puntuali, così come a promuovere nuovi orientamenti nella relazione tra consumatore e sistemi del cibo.

Questo nuovo master è una opportunità, unica nel panorama italiano, per accostarsi attraverso il cibo all’antropologia, la politica, l’economia, il diritto, la sociologia, la storia e per formare specialisti di tutta la filiera agro-alimentare.

Un punto di forza è la straordinaria rete di partner per il placement, ciascuno portatore di solide esperienze imprenditoriali, istituzionali e di impresa sociale.

La sostenibilità economica e finanziaria dell’industria lombarda

La sostenibilità economica e finanziaria dell’industria lombarda

25 Giugno 2019

 

Milano 27 giugno 2019 h. 10

Auditorium Levi dell’Università Statale

Via Valvassori  Peroni 21

Discussione della ricerca

“La sostenibilità economica e finanziaria dell’industria lombarda”.

La Fiom CGIL Lombardia, con la collaborazione scientifica dell’associazione Economia e Sostenibilità (EStà), ha svolto una ricerca sull’industria lombarda. L’analisi è stata condotta attraverso due distinte prospettive, una di taglio macroeconomico e una di taglio microeconomico. La prima ha analizzato i dati relativi alla produzione metalmeccanica regionale, ponendoli in relazione con le politiche di ricerca dell’Unione europea e con i risultati di altre regioni e stati continentali. La seconda ha analizzato per l’intero periodo 2008 – 2017 i dati di bilancio delle aziende metalmeccaniche lombarde, ponendo in relazione valore aggiunto, costo del lavoro, occupazione, investimenti immateriali.

 

Programma

h. 9.45 Saluti dal rettore dell’Università statale

h. 10 Introduzione di Alessandro Pagano – FIOM CGIL Lombardia e Andrea Di Stefano – EStà.

h 10.15 Prima sessione: “Crescita, specializzazione manifatturiera e paradigma tecnologico: il caso italiano e lombardo a confronto con l’Europa”

·       Presentazione di Roberto Romano – CGIL Lombardia – EStà

·       Discussione con, Silvia Spera – Segreteria CGIL Lombardia; Gianni Pietro Girotto – Presidente Commissione Industria, Commercio, Turismo del Senato*; Mario Noera – Università Bocconi.

 

h. 11.15 Seconda sessione: “Valore aggiunto, redditività e lavoro nelle imprese metalmeccaniche lombarde”

·       Presentazione di Alessandro Santoro – Università Bicocca.

·       Discussione con Attilio Fontana – Presidente Regione Lombardia*, Elena Lattuada – Segretario Generale CGIL Lombardia; Livio Romano – Centro Studi Confindustria; Anna Maria Variato – Università di Bergamo.

h. 12.15 Conclusioni di Francesca Re David – Fiom CGIL.

Modera Massimiliano Lepratti – EStà

* In attesa di conferma

Indagine sull’economia libraria italiana

© Daniel Belchí Lorente, Books and women

Indagine sull’economia libraria italiana

8 Novembre 2017

© Daniel Belchí Lorente, Books and women
© Daniel Belchí Lorente, Books and women
 
Che cos’è? Non è mai stato fatto nulla del genere su scala nazionale: un’indagine per capire come lavorano i librai, come si organizzano, come comprano e vendono, come promuovono le loro proposte. Da dove nasce? E’ un progetto che trae origine dalla volontà di parte del mondo editoriale e del mondo dei librai di lavorare insieme, sapendo che il benessere di ogni elemento dell’ecosistema è alla base di un maggior benessere dell’ecosistema complessivo. Quali sono gli obiettivi? ALI, SIL, Letteratura rinnovabile, supportate dall’associazione EStà, provano a capire con i diretti interessati qual è lo stato dell’arte del loro lavoro e quali margini di miglioramento esistono. Margini relativi alle singole librerie: il questionario d’indagine produrrà un indice di efficienza e potrà dare privatamente ad ognuno tra i partecipanti che lo desideri la sua posizione rispetto ai parametri dell’indice. Margini collettivi: gli esiti complessivi del questionario saranno la base per riflessioni e proposte che l’insieme dei librai potrà esprimere nei momenti di presentazione pubblica dei risultati. Qual è lo strumento prodotto? Le risposte al questionario contribuiranno alla definizione di un indice di efficienza delle librerie composto grazie a un insieme di parametri: la capacità di promuovere le iniziative in modo sistemico, il mix di strategie di acquisto e di vendita scelte, l’importanza riconosciuta alla formazione del personale e alla conoscenza del panorama editoriale, la capacità di ottimizzare la gestione del tempo e dei mezzi tecnici. Quanto tempo occorre per la compilazione e come si procede? La compilazione avviene on line e richiede circa 15-20’ per ognuna delle quattro sezioni previste:
  1. (a) profilo della libreria;
  2. (b) strategie di acquisto e di vendita;
  3. (c) strategie di promozione;
  4. (d) gestione del personale e attenzione allo sviluppo.
Può essere utile dare un’occhiata preventiva a ciascuna tra esse e prepararsi per quei dati che non necessariamente ogni libraio ha sottomano. Per diluire il lavoro le diverse sezioni possono essere compilate ciascuna in un momento diverso, ma attenzione una volta iniziato l’inserimento dei dati occorre che la singola sezione sia completata, altrimenti i dati inseriti non verranno salvati.     Per accedere alle sezioni: scrivi un’email a librai@assesta.it e ti verranno inviati i link.

Una striscia di terra nuova

© Noa Snir, ComfortZone

Una striscia di terra nuova

4 Luglio 2013

© Noa Snir, ComfortZone
© Noa Snir, ComfortZone
 

L’interesse per l’imprenditorialità sociale e l’impatto positivo che essa può avere sulla società attirano l’attenzione di giovani studenti delle scuole di economia, curiosità che le università assecondano creando programmi di social business applicati a problemi sociali globali.

L’Università di Cape Town propone agli studenti MBA un impegno sul campo per lavorare sui piani industriali, sulle strategie e sui modelli finanziari delle imprese sociali sudafricane.

Reel Gardening è una start-up che ha concepito nuovi prodotti agronomici, di facile utilizzo ed economici, che rendono più accessibile l’autoproduzione di cibo. Lanciata nel 2010, la società di Johannesburg produce strisce di carta biodegradabile contenente semi, sostanze nutrienti e fertilizzanti organici. Le bobine seminate, che sono vendute ad un dollaro al metro, possono essere piantate nel terreno o collocate in un giornale o in uno shopper con un po’ di terriccio in caso di mancanza di terreno coltivabile. Tutto ciò che serve è la luce del sole e la giusta quantità di acqua.

Reel Gardening

Le strisce di carta usano l’80 per cento di acqua in meno rispetto ai convenzionali mezzi di giardinaggio in quanto trattengono la maggior parte dell’acqua e sono indicati proprio in quelle zone di difficile irrigazione. Semplici istruzioni, comprensibili anche da chi non sa leggere, sono stampate sulla carta con inchiostri naturali. Ogni nastro ha un diverso colore: indica la profondità di semina, eliminando così la necessità di comprendere aspetti più tecnici come la rotazione delle colture. Le bobine contengono diverse selezioni di semi a seconda della stagione e alternano ortaggi biologici e piante con fiori specifici per attirare gli impollinatori o scoraggiare i parassiti. Composizioni di nastri possono essere utilizzate per attrezzare parcelle di 100 metri quadri, abbassando il rischio di non germinazione per cause naturali come vento o uccelli granivori.

Reel Gardening e l’università di Cape Town stanno lavorando a numerosi progetti comunitari nelle zone povere, dove vi sono carenza di acqua e bassi livelli di istruzione. Oltre a coltivare il proprio cibo, le comunità possono aumentare il proprio reddito con la vendita dei prodotti in eccesso.

Un fenomeno sociale associato alla diffusione delle bobine di semi è il rapido sviluppo di community gardens nelle township, gli ex distretti suburbani creati durante il periodo dalla segregazione razziale, a Cape Town e Johannesburg e di orti scolastici per invogliare le giovani generazioni ad occuparsi della sovranità alimentare in zone in cui l’acqua scarseggia.

Anche in Italia il terreno è fertile per l’innovazione sociale: le business school italiane hanno coinvolto i propri studenti sul tema dell’innovazione sociale concentrandosi sulle necessità di policy making, mentre l’iniziativa Social Innovation Agenda dell’ex ministro Profumo promuove l’innovazione sociale dal basso, quella che nasce tra i più giovani.